Corpoclastia significa distruzione del corpo, in una composizione di etimi che riecheggia il furore della Chiesa d’Oriente, rivolto contro le immagini e le opere d’arte. L’opera d’arte, nel caso di Virginia Micagni, è il corpo.
La corpoclastia non è autodistruzione, ma ciclica catarsi.
È elevare il corpo a materiale duttile e sperimentale, dargli una forte valenza semantica, rilevarlo come supporto di segni. Corpoclastia è l’orgoglio per tutti i segni del corpo, da quelli voluti come tatuaggi e scarificazioni, a quelli meno estetizzanti e più viscerali, come cicatrici, smagliature, caratteristiche peculiari. I segni del corpo raccontano la storia di chi lo possiede.
Il ricorso al sistema iconico tipico dell’ambiente del BDSM configura il gioco dialettico fra vittima e carnefice, e cita la tradizione pittorica del martirio, astratta dall’orizzonte religioso, e riconfigurata in un ambito profano.
Il corpo erotico diventa il corpo santificato mediante il sacrificio, spettacolo da guardare per eccellenza. In questo corpo carnale, fatto di santità e passione, si attua uno spostamento dei significati. Per cui le legature della tradizione giapponese shibari diventano metafora della complessa bellezza e del dolore che ogni legame ha insito dentro di sé, e la tecnica della sospensione simula il volo delle creature dell’aria, ma anche la claustrofobica prigione della preda del ragno.
THE ANTIDOTE
Angoscia, tensione, desiderio. Tutta l’opera di Virginia Micagni si compone di quegli attimi fuori dal tempo, in cui la vittima attende la mano del carnefice.
Virginia Micagni ci racconta la paura: la paura del corpo, la paura di quello che c’è dentro la testa, la paura degli altri.
Il corpo fa paura. Il corpo che si rifiuta di rispondere ai comandi, che cambia in continuazione ma non ci soddisfa mai, il corpo che non è mai all’altezza. Quel corpo che si ammala, esplode, implode, per chiedere attenzioni ed amore.
La testa fa paura, perché non è abbastanza forte, perché è piena di sotterranei e di segreti che non si possono dire.
Gli altri fanno paura, perché sono diversi da noi. Oppure, ancora di più, perché sono uguali. Gli altri sono il nostro specchio. Anche quando mordono, picchiano, imprigionano, straziano. Anche quando se ne vanno via.
La paura, nascosta e dissimulata, genera mostri.
L’unico antidoto alla paura è la sua pubblica ammissione.
Le Stationes Cruciatus sono la cura per la nostra malattia peggiore.
Testo critico scritto in occasione della mostra personale di Virginia Micagni Corpoclastie, inaugurazione 14 novembre 2009 presso Magazzini Criminali.