Vescovo Tichon: “Vi ucciderà la bruttezza”
Nicolaj Vsevolodovic Stavrogin: “La bruttezza! Quale bruttezza?”
Vescovo Tichon: “Del delitto. Ci sono delitti veramente brutti. I delitti, qualunque siano, quanto più c’è sangue, quanto più c’è orrore, tanto più sono suggestivi, per così dire, pittoreschi: ma ci sono delitti vergognosi, ignominiosi, oltre a qualsiasi orrore, per così dire, anche troppo poco eleganti.”
Fiodor Dostojevskij, I Demoni
“Cerco carne calda: falla a pezzetti.
Sangue sul video, crimine video, cannibale nella notte profonda”
David Bowie, Video Crime
Vivi nascosto
Epicuro
I will fuck you till your bones will break
Mayhem, Necrolust
Certe cose sono sconvolgenti ed inaccettabili alla comune coscienza. La comune coscienza è inadattabile alle atrocità. E ci sarà pure qualche ragione. Forse perché essa, in realtà, le vuole.
Pier Paolo Pasolini
Mickey Knox: “E Manson? Dimmi, la puntata dedicata a noi ha battuto quella di Manson?”
Wayne Gale: “ Eh no, Mickey, mi dispiace. Manson ti batte.”
Mickey Knox: “Ehhh… E’ difficile battere il Re.”
Oliver Stone, Natural Born Killers, 1994
Very Friendly è il titolo di un album dei Throbbing Gristle, pericolosi performer di fine anni Settanta e padri fondatori della musica industrial. Questo disco è dedicato all’orribile coppia composta da Myra Hindley ed Ian Brady, gli Assassini della Brughiera, che negli anni Sessanta terrorizzarono l’Inghilterra uccidendo in modo efferato cinque bambini.
A parte il tributo dei Throbbing Gristle, Myra Hyndley è stata ritratta in una gigantografia pixelata da Marcus Harvey, un esponente degli Young British Artists, ed è stata omaggiata da Jordan, la musa in latex della stilista Vivienne Westwood, che le ha dichiaratamente copiato la pettinatura. I Sex Pistols citano la coppia in No One Is Innocent, e i Sonic Youth hanno messo sulla celebre copertina di Goo la rappresentazione fumettistica dei parenti della Hindley, fotografati mentre andavano a testimoniare contro di lei al processo. Anche Kate Moss si è fatta ritrarre da Russell Young come Myra nel mugshoot fatto al momento della cattura, assieme al fidanzato Pete Doherty nei panni di Ian Brady.
Very Friendly_ Ematologi, Cannibali, Assassini Serial ed altri Demoni Illustri è la mostra personale di Ramona A. Stone dedicata alle stelle più nere dello star system contemporaneo, orbitanti in uno dei campi più oscuri ed inspiegabili della fama. Il culto dei serial killer genera inesauribili meccanismi di rimbalzo, fra la cronaca, la biografia, la fiction letteraria, cinematografica e televisiva, le citazioni nell’ambito della musica estrema (ma non solo), le rifrazioni in rete, le rielaborazioni artistiche. Tutto questo dispiegamento mediatico ha come epicentro referenziale degli esseri dediti ad atroci pratiche di terrore, tortura e morte, di fronte ai quali siamo tutti potenziali vittime. Ramona A. Stone si propone di impostare l’esplorazione di questo territorio tenebroso partendo da un confronto (raffinatissimo, com’è proprio delle sue modalità espressive) fra due titani del culto degli assassini seriali nel mondo seriale delle serie televisive, Dexter ed Hannibal. Da una parte, per la scelta del supporto, abbiamo la più riuscita disneyzzazione del pluriomicida, Dexter Morgan.
Ematologo alle dipendenze della squadra omicidi di Miami, nel tempo libero è un giustiziere che applica un codice insegnatogli dal padre poliziotto, per dirigere virtuosamente i suoi istinti omicidi contro criminali sfuggiti alle maglie della giustizia. Dexter prova una voluttà infinita ad uccidere, colleziona vetrini col sangue delle sue vittime come trofei, però, soprattutto, ama la sua famiglia, come qualsiasi eroe solare dell’universo di Walt Disney. Ramona A. Stone presenta una serie di minuscoli vetrini con miniature raffiguranti quelli che possono essere gli indizi, gli emblemi, i trofei di venti assassini seriali. Sull’altro fronte, per la tematica trasversale del cannibalismo, abbiamo Hannibal Lecter, forse il re assoluto degli assassini seriali di finzione, creato dal romanziere Thomas Harris con il nucleo narrativo di Drago Rosso e de Il Silenzio degli Innocenti. Il Silenzio degli Innocenti si è trasformato in cult-movie, grazie all’interpretazione di Anthony Hopkins, poi è stato dotato di sequel e prequel, sia in versione letteraria che cinematografica, con Hannibal e Le Origini del Male. Hannibal Lecter è infine approdato al medium che consacra l’apogeo della popolarità, ovvero la televisione, con la serie di Bryan Fuller. L’adorazione per il cannibale gentiluomo non si è fermata ai picchi d’audience del piccolo schermo, ma è rimbalzata in rete, in cui proliferano siti, blog e Tumblr sui quali vengono postati senza soluzione di continuità spoiler, evocativi collage critici fatti a partire dai fermo-immagine del telefilm, elaborazioni grafiche, opere d’arte. Brillante psicologo, sofisticato intellettuale, fuorilegge radicale incurante del tabù del cannibalismo, virtuoso di un’arte culinaria ottima per gli animalisti ma non molto adatta agli umanisti, indiscutibile artista dell’omicidio, Hannibal usa i corpi delle sue vittime come gli elementi di un’installazione, componendo di tableaux ispirati a Hieronymous Bosch, Damien Hirst, Gustav Dorè e al sanguinario Cinquecento fiammingo.
L’omicidio come possibile genere artistico ha solleticato l’immaginario di svariati operatori del settore, dagli esponenti dalla rinascenza della Body Art degli anni Novanta, a David Bowie, con il suo concept album Outside, sull’indagine del Dipartimento di Crimini Artistici intorno all’omicidio rituale della quattordicenne Baby Blue Grace, fino a Nicoletta Vallorani, con il suo romanzo Eva.
La realtà referenziale è chiaramente molto diversa. Non esistono assassini raffinati. Tutti i mostri sembrano essere campioni di cattivo gusto, sia per quello che riguarda le loro installazioni di corpi (Jeffrey Dahmer), i loro macabri manufatti (Ed Gein), per non parlare delle velleità pittoriche dei vari John Wayne Gacy, Richard Ramirez, Ottis Toole, i cui cosiddetti murderabilia godono purtroppo di un florido mercato.Eppure c’è un’omologia, un’identità di funzionamento fra le opere d’arte e le scene del crimine. Entrambe sono campi semantici, che gli esperti devono cercare di decrittare, partendo dai singoli microelementi contenuti al loro interno, e dai significati che scaturiscono dalla loro giustapposizione. La pratica analitica del critico è simile al lavoro che patologo svolge sul tavolo settorio, entrambi dividono ai minimi termini, dai quali traggono conclusioni, e si occupano entrambi di oggetti inanimati.
RAMONA A. STONE
Per il FestivalFilosofia sulla gloria, attributo che più di ogni altro si lega da millenni all’identità personale e alla sua esaltazione, l’artista che espone da Cayce’s Lab compie un’operazione concettuale, scomparendo dietro ad uno pseudonimo, celandosi dietro ad una maschera narrativa, una persona nel senso latino del termine. Chi sia questa maschera, Ramona A. Stone – assassina, sciamana vestita di lacerti cadaverici trasformati in gioielli, Medusa che si è appropriata dello specchio, madre divoratrice, maestra di un’arte abissale, che chiama ed incanta il suo fruitore nonostante il pericolo di morte – ce lo racconta David Bowie, nel booklet del concept album Outside, realizzato con la tecnica del cut-up di William Burroughs ed amato alla follia da Fernanda Pivano.
“Ramona A. Stone. Femmina. Caucasica. Anni metà-40. Attività di mantenimento consolidate: trafficante di droga e Futurista Tirannica. Nessuna reclusione. Contatti: Leon Blank, Baby Grace Blue, Algeria Touchshriek. (…) Dopo un intervento chirurgico e un investimento in una maschera antiproiettile, Ramona comparve a Londra, Canada, come proprietaria di una catena di negozi di parti-corporee-gioiello. Girocollo di pene di agnello, borsette di scroto di capra, capezzoli-orecchini, quel tipo di roba. Le voci in giro, comunque, dicevano che non era l’affare migliore diventare suoi clienti, dato che occasionalmente il compratore poteva entrare nella sua bottega e non uscirne mai più. L’allarme suonò dopo che un’amatissima e rispettatissima celebrità, conosciuta per essere conosciuta, mancò di comparire ad una mostra dove lei aveva esposto dei suoi specchi. Altre celebrità, parimenti conosciute per essere conosciute, alcune solo alla propria vicina, la giudicarono la più profonda esposizione degli ultimi anni e non riuscivano più a staccare gli occhi dalle opere. Tutti i pezzi furono venduti in un’ora, molti a prezzi record. Quando il critico della rivista “Tate” richiese un’intervista con la celebre artista, il proprietario della galleria si ricordò di non averla più vista da qualche ora prima. Aveva detto di voler andarsi a comprare un cordone ombelicale incrostato di diamanti come oggetto celebrativo per annunciare la propria gravidanza. Sarebbe tornata in un’ora. Solo un saltino da “Calcoli Biliari”. 1986. La gravidanza avrebbe prodotto un essere che sarebbe attorno ai 14 anni di età. Se fosse ancora vivo.”
David Bowie, oltre ad essere il padre di Ramona A. Stone, è una delle icone del rock più fulgide degli ultimi quarant’anni. Il suo passare indenne attraverso quattro decadi di mode è dovuto ad un particolare approccio con le tendenze estetiche. Bowie, piuttosto che appropriarsi di segni, ha inventato dei personaggi in cui incarnarsi, rappresentativi di uno stile e con alle spalle una solida narrazione. Una storia, e quindi, di conseguenza, una mitologia. Le storie dei suoi personaggi sono sempre state labirintiche, narrate nelle canzoni dei suoi concept album, dislocate spesso in trilogie, giocate sulle figure retoriche della prolessi, dell’analessi, della reticenza, della confusione, della suggestione data da tenui indizi che tocca al lettore-ascoltatore mettere insieme e ricostruire. Quella che segue è solo una breve carrellata sugli universi mitologici degli avatar di Bowie.
Nel primo quinquennio degli anni Settanta ci fu Ziggy Stardust, l’androgino alieno pan/transessuale profeta dell’Apocalisse (mediatica ed esistenziale, prima che nucleare) dagli sgargianti paludamenti glam, concepito a New York studiando i travestiti e i protopunk della Silver Factory di Andy Warhol.
Nella seconda metà degli anni Settanta ci fu poi l’esangue Duca Bianco, minimale e monocromatico, vampiro morfinomane stagliato contro i cieli liquidi ed espressionisti di Berlino, che morì e rinacque all’inizio degli anni Ottanta sotto le spoglie del suo opposto speculare, uno yuppie dalla chioma platinata, rictus adrenalinico e completi alla Don Johnson, gran mattatore del commercio. Ci sono stati il Maggiore Tom, astronauta nato un anno dopo l’uscita del cult-movie 2001 Odissea nello Spazio, coevo allo sbarco dell’uomo sulla luna, sopraffatto dall’immensità dello spazio siderale, dentro al cui abisso decide di lasciarsi andare alla deriva. Il Major Tom ricompare nel pezzo Ashes to Ashes del disco Scary Monsters, come bianco Pierrot preda della bile nera, che constata il proprio fallimento, le proprie dipendenze e la propria prossimità alla morte.
OUTSIDE E IL DIARIO DI NATHAN ADLER
Ma quello che ci interessa nello specifico è l’incarnazione che avvenne a metà degli anni Novanta, quando David Bowie osservò la nascita di una nuova generazione di superstar dell’arte contemporanea, e ne venne ispirato. Questa malefica covata si schiuse in parallelo al ritorno della Body Art, uno stile artistico arcaico e profondamente legato a quello che riteniamo essere il nucleo fondante dell’arte occidentale, la speculazione sul sacrificio come atto generativo della civiltà.Il concept album in questione è Outside, e l’incarnazione di Bowie in questo caso è plurima. Nel booklet del disco David Bowie si trasforma tramite metamorfosi digitali in tutti i personaggi di questo “Dramma Gotico”, uomini e donne, neri o caucasici, giovani e vecchi, umani o ibridi mostruosi.
Bowie diventa Algeria Touchschriek, un ottant’enne che si mantiene facendo il “ricettatore di ogni apparizione su qualunque medium”, poi Leon Blank, ventiduenne creolo, descritto come “outsider”, un essere separato dai suoi simili che vive ai margini della società. Lo “spirito multidotato al nero” che compie l’omicidio artistico rituale di Baby Grace è chiamato anche Artista Minotauro. Dante Alighieri pone il Minotauro a guardia degli assassini, sul limitare del settimo cerchio dell’Inferno: “e ‘n su la punta della rotta lacca – l’infamia di Creti era distesa – che fu concetta nella falsa vacca; – e quando vide noi, se stesso morse, – sì come quei cui l’ira dentro fiacca. – Lo savio mio inver’lui gridò : “Forse – tu credi che qui si ‘l duca di Atene, – che su nel mondo la morte ti porse?” Il Minotauro era separato dagli uomini dentro al suo labirinto, come ha rappresentato Borges nel suo atroce racconto La Casa di Asterione.
Bowie si trasfigura nella quattordicenne Baby Blue Grace, uccisa, dissezionata e utilizzata nelle sue varie componenti come serbatoio semiotico per comporre un’installazione nel Museo di Parti Moderne di Oxford Town. “Le braccia della vittima vennero ridotte a puntaspilli da 16 aghi ipodermici che le pompavano dentro quattro conservanti principali, sostanze coloranti, fluidi da trasporto per informazioni memorizzate e certa altra roba verde. L’area dello stomaco fu slabbrata con cura e gli intestini rimossi, sbrogliati e rilavorati a maglia così come si presentavano, in una piccola rete o tela e appesi tra i pilastri del luogo del delitto, l’ingresso principale del Museo di Parti Moderne di Oxford Town, New Jersey. Gli arti di Baby furono recisi dal torso (…) Gli arti e i loro componenti furono poi appesi all’interno della rete, come la flaccida preda di qualche inimmaginabile creatura.”
Infine Bowie si trasforma in Nathan Adler, il detective cercatore, l’analista del dipartimento di Crimini Artistici Seriali, “la società di recente istigazione fondata con un contributo del Protettorato delle Arti di Londra, non appena ci si rese conto di come l’investigazione sui crimini d’arte fosse in sé inseparabile dalle altre forme di espressione, e perciò degna di essere supportata da un ente di tale importanza”. Nathan Adler riferisce che perfino Sir Nicolas Serota, direttore del Turner Prize ed ideatore della Tate Modern, ha benedetto la squadra invitandola ad esporre le loro testimonianze e i loro studi comparati alla Biennale di Venezia. La sede del Dipartimento si trova nell’ex studio di Mark Rothko, celeberrimo espressionista astratto creatore di opere dalla potenza immane, morto suicida. A differenza degli altri artisti citati da Nathan Adler, il suo sangue sacrificale è vero, e la sua morte, in cui si sdraiò assumendo “la posizione del crocifisso prima di trovare la leggera pompa turchina del proprio polso,” per portata e mistero è comparabile alle sue opere.
Altre manufatti artistici menzionati da Adler sono quelli di Damien Hirst, chiamati beffardamente “pecora in una scatola”. Le sue celebri sezioni di animali sotto formalina ripercorrono la storia della civiltà per figure, dalle macellazioni rituali del Neolitico, alle solenni performance sacrificali dei sacerdoti sulle ziggurath babilonesi, attraverso tutte le martirologie di matrice cristiana, passando per le spettacolari esecuzioni pubbliche dell’età moderna (con la cui efferatezza nessun psycho-killer seriale dei nostri Dexter Files potrebbe competere), fino ad approdare ai tavoli settori e alla loro cristallizzazione nell’arte ceroplastica. “Poi arrivò Damien Hirst con l’affare dello Squalo-Vacca-Pecora. Niente esseri umani, rituali commestibili per il pubblico planetario” Gli animali in formalina di Hirst potrebbero essere i congelamenti museali del Teatro delle Orge e dei Misteri di Hermann Nitsch.
Anche Nitsch viene citato nel diario di Adler, assieme ai “castrazionisti viennesi” in riferimento alla leggenda che vuole Rudolf Schwartzkogler morto durante la sua ultima performance, per dissanguamento conseguente ad un’autocastrazione. In realtà Schwartzkogler si suicidò attraverso una finestra, proprio come il fratello di David Bowie. Nella trattazione sui precedenti che hanno portato al Dipartimento di Crimini Artistici, Adler menziona Chris Burden, performer sempre sul limite della sopravvivenza fisica, con azioni in cui si fece sparare addosso, (Shoot, 1971), in cui strisciò su vetri acuminati con le mani legate dietro la schiena (Through the Night Soflty, 1973), si fece crocifiggere sul tettuccio di un’automobile (Trans-fixed, 1974), o in cui stette fermo immobile senza bere né mangiare né parlare per giorni su una piattaforma sopraelevata nella galleria Ronald Feldman Fine Arts di New York, come uno stilita nel deserto siriano (White Light/White Heat (1975). Bowie cita infine Ron Athey, che propose una rivisitazione performativa dell’iconografia di San Sebastiano, offrendo il proprio corpo contaminato dal virus dell’HIV e dall’orientamento sessuale discordante dalla normativa eterosessuale come incarnazione del santo efebo patrono della peste, e come bersaglio per balestrieri scelti e dardi più reali del vero.
Le figure più ricorrenti dell’indagine di Nathan Adler sono i martiri, i santi cristiani, i suicidi.
Ma torniamo un attimo a Ramona A. Stone. Di lei Nathan Adler ricorda la densità, e il fatto che negli anni Settanta gestisce un Tempio Caucasico del Suicidio, in un vicolo malfamato di Berlino, lercio, dal buio rotto da lampioni gialli. Chi aspira alla santità va da Ramona, viene flagellato come preliminare, ed infine scaraventato giù per le scale per un ultimo volo glorioso. Ramona è edotta nella dottrina della “morte-come-festino-eterno (…) di pura gioia.” “Le stanze dell’ultimo piano erano i cancelli d’uscita verso il sacrificio al santo spirito”.
Questo sacerdozio di Ramona, assieme ai riferimenti a Rothko e Schwarzkogler, sembra porre una domanda subliminale. Se nel mondo contemporaneo secolarizzato l’arte risulta essere l’unica struttura di pensiero capace di sostituire l’idea di Dio, per la sua peculiare facoltà di parlare per simboli dai significati inesauribili, e di contenere al suo interno la totalità trinitaria di creatore, fruitore e mondo, allora per quale motivo l’arte non ci salva dalla morte? Perché l’arte non salva i suoi più grandi esponenti dall’autoannientamento? Forse perché l’idea di Dio esige il sacrificio?
Piuttosto che trovare l’assassino di Baby Grace, il labirinto costruito da David Bowie, con la sua carrellata di grandi artisti e di personaggi inafferrabili, sembra voler trovare risposta a questa domanda.
Testo scritto e curatela per la mostra “VERY FRIENDLY _ Ematologi, Cannibali, Assassini Seriali ed Altri Demoni Illustri“, di Ramona A. Stone [pseudonimo di Enrica Berselli], in occasione di FestivalFilosofia 2014 [sulla Gloria], inaugurazione 12 settembre 2014 presso Cayce’s Lab
Per leggere la seconda parte del testo di Very Friendly, con le opere di Ramone A. Stone e le storie degli assassini seriali che le hanno ispirate, andate qui
BIBLIOGRAFIA
David Bowie, The Nathan Adler Diaries, booklet allegato all’album Outside, 1994.
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Colin Wilson, Donald Seaman, Il libro nero dei serial killer, 2006, Newton Compton Editori.
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Linda G. STunell, Donne criminali, Newton Compton Editori, 2008.
Shelley Klein, Miranda Twiss, I personaggi più malvagi della storia, Newton Compton Editori, 2006.
Cristina Cattaneo, Morti senza nome. Una patologa forense racconta, Oscar Mondadori, 2005.
Poppy Z. Brite, Cadavere Squisito, Frassinelli, 1998.
www.occhirossi.it,www.Serialkillers.it.,
http://web.mclink.it/MH0077/LeStagionidellaFollia/stagioni%202/Catalano_Manson.htm,