Nuda, eccettuato un calzino e il braccialetto portafortuna, a gambe e braccia aperte sul letto dove il mio filtro l’aveva abbattuta …così la anticipavo nella mia fantasia; un nastro di velluto ancora stretto fra le dita, il corpo di un miele ramato, con un rudimentale costume da bagno disegnato in negativo sull’abbronzatura, mi offriva i pallidi boccioli del seno. Nella luce rosata della lampada una leggera lanugine pubica luccicava sulla sua paffuta collinetta”
Vladimir Nabokov, Lolita
“Sei rivoltante. La pornografia infantile è peccato!!!
Tutta la pornografia è peccato. Pregherò perché tu
ti possa redimere da tutto questo!!! Che Dio ti aiuti….”
“Non credo nella censura, ma qualcuno dovrebbe uccidere quello stronzo. Nascondersi dietro la maschera dell’arte
non è una scusa sufficiente per quello che Trevor Brown fa.”
“Fottuto pazzo fuori di testa … sei un fottuto demente ritardato pezzo di merda … penso che la gente come te debba essere bruciata sul rogo come le merdose streghe. Sei solo un bastardo satanista malato mentale. Voi psicopatici dovete aver avuto qualcuno che vi picchiava a sangue da bambini, oppure qualche frocio che vi scopava.”
Libro dei visitatori della mostra Doll Hospital di Trevor Brown,
Kyoto, 1996
Nella civiltà delle immagini tutto può essere rappresentato. Tutto deve essere rappresentato. Per dovere di conoscenza. Per piacere gossiparo. Per ansia di essere visibili, invidia voyeuristica, o voyeuristico disprezzo. Dopo il sito necrofilo Rotten, che spettacolarizza i modi più atroci di morire, dopo le porno-enciclopedie popolate da arzille ottantenni e voraci coprofaghi, sembra che un’unica tematica sia rimasta interdetta agli occhi dell’Occidente contemporaneo.
L’ultimo tabù che ci resta, la sessualità dei bambini.
Ma, come al solito, il mostro cacciato dalla porta è già rientrato dalla finestra. Basta guardare la stragrande maggioranza di pubblicità di prodotti per l’infanzia. La fotografia di bambini – dalle fantasie ninfolettiche del diacono Lewis Carroll, fino ad arrivare all’advertising delle linee infantili di abbigliamento, con i suoi baby-modelli torbidi ed atteggiati – non è mai stata innocente. Proprio in questi innominabili interstizi del visibile si inserisce la ricerca artistica di Trevor Brown.
Egli lavora sul concetto di limite, si spinge oltre i confini della rappresentabilità, rimuove la patina glamour dei concorsi di bellezza per piccole Miss Mondo.
Brown raffigura bambine con rossetto sbavato, nursery piene di giocattoli sessuali, pre-adolescenti adornate dei paramenti di lattice del mondo BDSM. Lividi, segni di frustate, rivoli di sangue verginale.
La fenomenologia sadomasochista applicata all’infanzia porta ad una riflessione sulle dinamiche di potere, di cui i bambini sono vittime esemplari. Tutti i bambini prima o poi subiscono il potere degli adulti, a partire da piccole, innocenti ingiustizie nevrotiche, passando attraverso la manipolazione mentale, fino ad arrivare alle declinazioni del soverchiamento fisico.
Questa è in fondo una lunga storia.
Nell’antica Grecia pedagogia fa sempre rima con pederastia. Per i Padri della Chiesa il bambino è un essere imperfetto e peccaminoso, e i suoi capricci sono la prova del peccato originale. Nel Medioevo è normale contrarre matrimoni con bambine di dieci anni, per quanto la legge postuli che le sposine debbano averne almeno dodici (l’età della Laura di Petrarca, e della Lolita di Nabokov). L’Inquisizione non esita a torturare i bambini e a bruciarli vivi. Lombroso dice che i bambini sono per natura cattivi, e Freud gli fa eco dicendo che sono perversi. Nell’Ottocento poi, la prostituzione infantile è diffusissima, e i clienti abituali delle kinderwhore sono rispettabili membri della borghesia, colti e raffinati, in cerca di purezza.
Trevor Brown toglie il velo alla storia dell’infanzia in Occidente, mostrando come, più che al paese dei balocchi, essa assomigli ad un tour nel castello di Barbablù. Nelle opere di Brown ricorre il tema dell’ospedalizzazione: attrezzi paramedici, protesi ortopediche, occhi pesti come make-up ornamentale e bocche gonfie di contusioni invece che di lip-gloss. Perché le ferite sono sexy, e i segni del dolore promettono la disponibilità a subirne dell’altro. Le opere di Brown rappresentano l’innocenza e la sua diretta connessione con il sacrificio.
Un altro topos ricorrente è quello della bambola. Doppio artificiale, completamente passiva ed inerte, la bambola può essere smontata e montata a piacere. Brown raffigura Barbie armate di frusta, bambolette a braccia spalancate che invitano a giocare con loro, bambole a pile con organi sessuali infantili in piena visibilità.
Sesso_ violenza_ morte_ bambini, come un mantra di Gilles de Rais. Le componenti delle opere di Trevor Brown rivelano che l’universo dell’infanzia non può salvarsi dal male. Prima o poi il male arriva. Arriva sempre.
Ma ciò che non bisogna dimenticare è che il male è prima di tutto nel mondo. L’arte non può fare altro che rifletterlo.
Per rifrazione sintomatologica.
Bibliografia_
Vladimir Nabokov, Lolita, Adelphi, 1955.
Trevor Brown, The Trevor Brown Black Box Recordings, Mondo Bizzarro Press, 2000.
Trevor Brown, My Alphabet, Treville, 1999.
E. Hasler, La strega bambina, trad. it. Longanesi, 1999.
E. Becchi, I bambini nella storia, Laterza, 1994.
A. Giallongo, Il bambino medioevale, Dedalo, 1990.
F. Amodeo, Innocenti senza innocenza. I bambini e i grandi fotografi, Phototeca, 1981.
http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/furfaro/cap3.htm
Pubblicato il 22 marzo 2011 su Lobodilattice