LA GRANDE OCA DAL PICCOLO CERVELLO
Negli anni Novanta ero adolescente e, come tutti gli adolescenti, pensavo che il mondo fosse molto interessante e tutto da scoprire. Erano gli anni dei centri sociali, delle giacchette di peluche lilla, dei piercing, dei rave, dei Crazy Colors, dei cabò1 e delle maglie a righe. Durante le trasferte bolognesi alla ricerca di queste cose e di tutte le meraviglie che comportavano, spesso vedevo un simbolo ripetersi sui muri. Non era la solita tag da writer più o meno comprensibile, ma un disegno. Il disegno di un’oca. Un uccellino, che mi faceva venire in mente il mio cult book infantile Cipì2.
Si ripeteva qua e là, a volte formando delle vere e proprie piste lungo i muri, come i sassolini luminosi nel bosco di Pollicino. Era tracciata con un tratto da bimbo, semplicissimo, spesso aveva pomelli sulle guance e le zampine lunghe e snodate. Era come una costellazione: un simbolo enigmatico, perché portava ad interrogarsi sul suo significato e sul perché della sua ubiquità, e potente, perché connetteva la nostalgia dell’infanzia con quella del futuro prossimo. Era come la promessa, di qualcosa di bellissimo e sconosciuto che sarebbe arrivato da lì a poco. Su quest’oca sentivo fiorire leggende. “La disegna una tipa. È la protesta contro la stupidità al potere, e contro la televisione.” “Sì, ho sentito dire che una volta ha preso una cartina topografica della città e ci ha disegnato sopra un’oca. Poi è andata a dipingerla sui muri seguendo il tracciato della cartina. È venuta fuori un’enorme oca, visibile da una prospettiva aerea, però nello stesso tempo virtuale.”
Quasi quindici anni sono passati da allora, ma a livello affettivo Peabrain rimarrà sempre il simbolo della mia giovinezza.
GLI ARTEFICI
Monica Cuoghi e Claudio Corsello sono una coppia di bellissime teste, ben dischiuse e sintonizzate su frequenze molto difficili da captare. Sempre alla ricerca di sentieri nascosti, di luoghi privi di mappature ufficiali, di interstizi in fermento. La loro arte è stata mille cose: un modo per riappropriarsi della città, un inchino di fronte alla potenza della natura, una risposta criptata all’enigma della morte. Un gioco, una presa in giro di se stessi, un poema per la bellezza dei luoghi. La loro arte è stata soprattutto uno stile di vita magico, ovvero capace di generare nuove realtà.
L’oca Peabrain è la loro interfaccia più nota.
Peabrain è la punta dell’iceberg.Viene alla luce quando Monica Cuoghi ha vent’anni, ma in realtà arriva da molto tempo prima.
Prima nasce la compulsione: alle elementari la piccola Monica passava le lezioni a disegnare sui banchi, quindi poi le toccava perdere l’intervallo a pulirli. Alle medie cambiò supporto, passando dai banchi alle proprie braccia, ma il preside la sgridava lo stesso.
Dopo la compulsione, cominciò pian piano a delinearsi la forma. Negli anni del liceo Monica disegnava creature elfiche, “donnine ispirate alle donne farfalle di Anna Chiavelli, tra il classico e il fiabesco nordico. Esili come formiche, nere, con la testa a mandorla, e le ali trasparenti e colorate,”
Poi tutta questa pozione, che sobbolliva nel calderone da anni, si legò insieme ed esplose a contatto col contesto cittadino.
Monica Cuoghi: “Sui muri all’inizio mi divertivo a fare tanti disegni diversi: il cavallino, l’elefante, lo sberleffo, il tavolo con la lampada e le sedie, i pianeti. Poi una bambina triangolare con la testa a spirale, e spesso con la passarina da dove uscivano umori vaginali o pipì. Peabrain è la sua forma semplificata graficamente, più figurativa. Sintetica, espressiva, amorosa, divertita. È stata istintiva la sua comparsa e la scelta che fosse lei la protagonista sui muri prevalendo su tutti gli altri.”
LA CITTA’ APERTA
La città è fondamentale per il progetto di Cuoghi e Corsello. La città è una rete, che unisce, che accomuna. È antichissima, è ancorata al presente e proiettata nel futuro. Può essere modificata.
Si può usare la città come supporto per comunicare. Lo fanno i politici e i pubblicitari dei grandi marchi, quindi perché non dovrebbero farlo i suoi abitanti? Disegnarla significa prenderne possesso, ma anche fare un regalo a tutta la sua popolazione. Un regalo fatto con le proprie mani, qualcosa che prima non esisteva. Un dono che, come tutti i doni, non esige nulla in cambio, né voti, né adorazione mercantile.
E chi non lo apprezza non lo merita. A causa della legislazione che accomuna la pittura non autorizzata sui muri al vandalismo, i writers sono creature prevalentemente notturne.
M.C.: “Scrivere sui muri è una riappropriazione visiva della città, dei nostri luoghi, di doverose fonti di sapere e congregazione. Sì! Combattere l’ipocrisia della facciata pulita, in mezzo ad un’umanità che lascia scie di pensieri immondi e insensati, che perde la coscienza, che sa solo difendersi con l’apparenza. (…) Il sentimento che accompagna le scorribande notturne e non solo è oltre l’amicizia e il gioco eccitante di sfida con i tuoi compagni.” MC: “È l’abbraccio della città: ti senti come se più la disegni, più la guardi, e più la ami. È un legame profondo che ora mi sta ripagando di tutte le tristezze, perché incontro continuamente delle persone giovani che amano Peabrain, ed è per loro un importante riferimento, incoraggiamento nella vita. Sono grata di ciò, e penso che le persone sentano e ricevono l’abbraccio d’amore che porta il segno. Allora ho pensato che forse Pea Brain è magica, io sono stata un mezzo per questo segno benefico sugli uomini. Infatti la sua bidimensionalità, il suo colore quasi sempre nero, ha qualcosa di severo e importante, qualcosa che viene non so da dove per sempre … è lei che ha deciso di arrivare.”
Claudio Corsello: “Noi lavoravamo in trance, come posseduti da una divinità devastatrice. Monica dipingeva le Peabrain incontrollata. Se per esempio eravamo a una festa, i muri venivano presto aggrediti, creando a volte scompiglio e orrore. Le manifestazioni di affetto verso P. Brain sono sempre ben accette, e mi stupiscono per la varietà di sentimenti e suggestioni. C’è una grande fantasia, i P-lovers ci portano soddisfazioni, anche a distanza di tempo da quando Monica bombardava la città. Ognuno ha una storia personale da raccontarci, storie d’amore. A parte quei tizi che volevano appenderci in Piazza Maggiore.”
Durante le lezioni di Storia dell’Arte Contemporanea al Dams di Bologna, ho appreso che PeaBrain ha fatto anche un film porno. Monica lo ricorda così:
“Mi sono diplomata all’Accademia delle Belle Arti di Bologna insieme a Simonetta Perlini, con una tesi intitolata Fregna pelosa e Pippa Rasata vanno al mare. Era un montaggio di belle parti di film porno a colori, e parti di riprese della città in bianco e nero che indicavano lo squallore della società risaltando la dolcezza rosa del porno. Erano intervallate da frasi scritte elementarmente, quasi tutte Dada, e c’era anche una P.Brain video. Inoltre, c’è un porta preservativi dell’ARCI Gay che ti insegna ad usare il preservativo, e in questo caso P. Brain ha un grande pene.”
I PULCINI DELL’OCA
Adottando un metodo di partenogenesi figurativa, da Peabrain sono nate altre creature. Ad esempio Petronilla “una bambina con le mani, le zampe, e la testa di papera, e per corpo una passarona, tridimensionale, di lattice, di gres, le prime anche di das”
Poi Cane Cotto, autoritratto di Claudio Corsello. Monica lo definisce “un mostro digrignante … autocritico, o meglio auto flagellatore”. Claudio invece racconta che “vive nell’ombra e dietro gli angoli, e se sposti lo sguardo lo vedi di lato. Non ti guarda negli occhi e non ti saluta, il suo carattere distintivo è l’egomania. Il suo proverbio è: “Se oggi hai fatto anche solo una tag non è stata una giornata sprecata.”
Poi c’è Bello “una specie di Cane Cotto ma con le linee dolci di Peabrain. Rappresenta la classicità, la bellezza che è armonica ma imperfetta, e come la Venere disorienta lo sguardo”.
Nel 2000, nasce SUF. Una soft child che viaggia nel tempo, e che può modificare il suo corpo a piacere. Ha la gonnella e le orecchie da Topolino, e il suo nome è l’acronimo di Sono Un Folletto. Come tutte le rappresentazioni di figure infantili si connette all’irrazionale, all’estro creativo, ed anche al passato mitico, in questo caso i trascorsi da writers.
M.C: “Suf è nata dal voler imparare qualcosa di cui non ero capace: ho deciso di sfidare il writing, sfidare più che altro me stessa dato che non sono mai stata capace di avere un bel rapporto con le lettere e le lingue. Rusty, il mio maestro, diceva sempre suf, e ho pensato: ecco, io voglio diventare almeno sufficiente in questa disciplina. Il puppet era nato poco prima: volevo fare finalmente una bambina, solo che è venuta con le orecchie grandi, e ho pensato che forse sarebbe diventata una musicista. L’importante di SUF non è il personaggio ma la scritta, lo stile delle lettere, delle mie lettere, un ponte tra l’arte e il writing. Sono Un Folletto, lo disse la mia “fidanzata” di Trento, infatti le lettere di Suf sono arzigogolate come il mondo della natura. E allora mi chiedo: sono mondi opposti quello delle lettere e della natura? Dell’Astratto e del Panteistico?”
Per il Festival della Filosofia del 2008 Suf si è trasformata in un filosofo. A partire dall’acronimo. Sono un Filosofo: una grossa testa bianca gonfiata ad aria, sospesa sulla facciata di un palazzo settecentesco di Sassuolo. Una testa che potrebbe decollare da un momento all’altro, e perdersi fra le nuvole come i pensatori. Ha grandi orecchie topoline, per ascoltare bene ogni cosa, e occhioni neri, per guardarsi intorno. Ma è senza bocca, perché i filosofi dell’ultima generazione non amano le chiacchiere. Deleuze sostiene che la comunicazione è persuasione, e mira al consenso, mentre la filosofia è concetto, e spesso è più dissenso che consenso.
SUF ha anche un alterego cattivo, un fratellino demone che si chiama Skifio. Non è cattivo sul serio, ma fa sempre l’altalena fra i poli bene e male, come forse è giusto che sia.
M.C.: “Avevo fatto un’animazione autogenerante, dove tante testine di Suf erano alla finestra e si muovevano nello spazio casualmente, trasformandosi da buone a cattive, diventando come dei demoni. Da cattive a buone, da buone a cattive… Ne avevo paura, anche che entrassero dalla finestra. Poi il mio bambino spirituale Cap mi disse:
“Cosa sono quegli SCHIFII che disegni!?”
Ed io pronta risposi
“Bravo! Ecco come si chiama: Schifio”.
Mi affezionai e compresi che i demoni hanno il potere del libero arbitrio di asservire il bene o il male, come gli uomini. Così non ne ebbi più paura e Skifio diventò un importante personaggio.”
I CASTELLI INCANTATI
Collateralmente al bombardamento visivo delle città, Monica Cuoghi e Claudio Corsello iniziano nel ‘94 a squattare complessi industriali abbandonati. Il Giardino dei Bucintori, Cime Tempestose, la Fiat. L’occupazione di fabbriche diventa un atto artistico, in cui politica ed estetica si sposano a parità di diritti. Un atto artistico ancora una volta imprescindibile dal supporto cittadino. C.C: “Noi siamo stati squatter per vivere come principini, le nostre fabbriche erano occupate nel segno dell’ordine e della disciplina. E questo ci vuole per combattere la normalità.”
M.C. : “Occupando le fabbriche la quotidianità diventò una continua installazione. Componevamo ogni cosa, dai sassi, fino alla scopa e la paletta. Cercammo di concentrarci su ogni cosa come se fosse la più importante. Cominciammo a capire la sincronicità degli eventi e ad avere sempre meno paura della vita. Nel 2001 dalla fabbrica occupata Cime Tempestose arrivammo alla Fiat. Integrammo così l’astratto, severo, umile stile Fiat con quello di Cime Tempestose, arzigogolato, luminoso, da giardino d’inverno e candele.”
L’appropriazione delle fabbrica assume la valenza di un atto di esorcismo. Le cattedrali della fatica, dell’alienazione, dello sfruttamento, dell’atomizzazione e dell’esproprio del tempo vengono trasformate in cerchi magici, in cui la bellezza è l’unica regola. Zone temporaneamente autonome in cui si fanno feste e in cui si rinnega il principio meccanicistico di decrittazione dell’universo, preferendo quello fisico, basato sui guizzi e sui campi di energia.
M.C.: “Nelle grandi fabbriche ogni cosa aveva il suo posto ed era energeticamente libera da soffocamenti. Tutte le relazioni spaziali si creavano per piacere o per esprimere qualcosa. I mobili erano creature distanti dai muri perché l’aria girasse loro attorno, e potesse danzare armonicamente dappertutto. Spazzavo come un rito creando spirali, e alla fine contavo i mucchietti che si formavano intuendo una mantica per il luogo, o per una condizione degli eventi. Spostavo mobili, luci, tronchi, bambole, divani, a momenti anche i muri, componendo e scomponendo per capire e intuire la giusta posizione, che nel tempo cambiava. Claudio a volte si spazientiva e mi lasciava sola nella pazzia della composizione, e così, incredibilmente, riuscivo a spostare armadi, credenze, case di ferri e cellofan. Cose inimmaginabili. La forza che arriva quando si ha fede nelle intenzioni è infinita.”
SPACE CURE
L’intervento rituale sull’ambiente, per spostare e riallineare i flussi elettronici e i campi dell’energia, sarà una costante nel lavoro di Cuoghi e Corsello. Arte, quindi, come intervento che aggiusta le cose.
Come rimappatura della realtà.
In quest’ottica possono venir interpretate le sculture-teatri trasparenti, degli ambienti creati con il cellophan, il quale delinea delle stanze immateriali, dalle pareti semi-invisibili. Queste opere vengono ricostruite ogni inverno, come delle serre, o delle case di fiaba dalle pareti trasparenti come il ghiaccio.
M.C.: “La grande sala (40 metri x 20) che ospitava le case sculture di cellofan si chiamava Chandelier, per il primo oggetto attaccato, cioè un lampadario con le gocce. Questa sala sembrava una piazza, era circondata da grandi finestre per tutto il perimetro, e dalle finestre le edere e gli alberi proteggevano il luogo come il castello di Biancaneve. Sembrava un sogno. Qui si realizzava figurativamente il ripetersi quotidiano di un’eterna performance: la vita, il rosso del tramonto che l’inondava con le colorate candele all’interno. Era molto suggestivo.”
Nell’installazione Lo spirito delle Ragazze, presentata nel 1999 per la mostra Tuscia Electa a Radda in Chianti (SI), Cuoghi e Corsello realizzarono un allagamento artificiale nelle cantine di un palazzo quattrocentesco. Tappezzarono lo stabile di plastica nera fino al livello desiderato, e fecero scorrere l’acqua come un ruscello, mediante un sistema di pompe. Gli spettatori transitavano su delle passerelle di alluminio. “Nel frattempo una proiezione video simulava “lo spirito delle ragazze” che si alzava dall’acqua, si prostrava, dimenando le anche con le braccia sopra ad esse, e poi a sorpresa spariva nel muro.” (M.C.)
Alla città e all’intervento magico sul suo habitat è dedicato anche L’Albero Blu, dipinto in un momento in cui, in concomitanza con le ultime elezioni cittadine, sembrava dover iniziare una nuova fase politica a Bologna.
M.C.: “Voleva essere una porta per una nuova stagione della città. L’albero blu con le stelle e la luna rappresentava la conoscenza della parte non integrata in questa società: la notte, la femminilità, l’occulto. L’albero voleva essere un invito verso il sapere antico di tutte le arti, il ritorno ad unir le scienze, le culture diverse, il ritorno di Federico II3…”
L’ALBERO-FEMMINA
L’albero è un simbolo antichissimo, è il simbolo della religione di prima, e ha lo stesso significato della croce e della stella a sei punte. Connette ciò che sta sopra con ciò che sta sotto, armonizza le dicotomie oppositive, è l’emblema della forza della natura, e della sua bellezza. A questi temi si ricollega anche la scultura Tavolo Giardino, un antico tavolino Chippendale su cui Monica ha lavorato quotidianamente, collocandovi sopra delle zolle di terra prelevate in giardino. Il processo è stato lungo, ed integrato ad un complesso sistema di irrigazione. Dopo un po’ ci è cresciuta l’erba, e al suo centro sono nati dei gigli. Spontaneamente. La natura, il caso, ciò che è per tradizione privo di pensiero ed intenzionalità si è unito con sorprendente armonia formale alle linee curve ed arboree del tavolino. La cultura e la natura hanno collaborato per creare un’opera d’arte viva, interattiva, che ha bisogno di cure costanti per mantenere la propria bellezza.
Il Bosco che respira è un’installazione ambientale di singolare suggestione, realizzata per la mostra “In Pressione” alla Bovisa di Milano. Un inno alla vita e alla luce, alla connessione fra noi e il mondo. L’elemento su cui si fonda il lavoro è il soffio, lo spirito. Il nostro respiro, e quello di tutte le creature viventi. La Psychè dalle ali di farfalla, la Ruah femminile, proprio quella che aleggiava sulle acque prima che il Dio dell’Antico testamento si incapricciasse di creare il mondo.
M.C: “In mezzo al bosco accanto all’ex gasometro di Milano avevamo fatto installare dei grandi fari, che dal basso illuminavano l’alto bosco. Una centralina faceva alzare e abbassare la luce come un ritmo di respirazione profondo: per 6 secondi si alzava, per 3 rimaneva accesa, per 6 si abbassava, e per 3 rimaneva spenta. E poi ricominciava, dando la sensazione di un profondo respiro frondoso.”
FIAT LUX
Dire che la luce sia uno dei materiali preferiti di Cuoghi e Corsello suona forse un po’ buffo. Buffo perché la luce è immateriale. Non si può toccare, eppure è un elemento che fa sentire fortemente la sua presenza, nell’arte come nel mondo. Un mondo senza luce sarebbe un mondo morto. Usare la luce nel campo artistico è, ancora una volta, un modo meraviglioso di far compenetrare le coppie oppositive. Luce e buio, materia e spirito, paura e speranza, e chi più ne ha più ne metta.
Ricordiamo a questo proposito l’installazione Ombra, del 1996, per la mostra Romantico Contemporaneo a Bentivoglio (BO).
M.C.: “Una struttura di metallo faceva muovere la bambola Ombra da destra a sinistra, e da sinistra a destra. La struttura muoveva anche dietro alla bambola un faro che la puntava e la proiettava grande sul castello. Il suo corpicino e le braccia alzate si muovevano dolcemente da destra a sinistra, da sinistra a destra, come un Papa, accogliendo il pubblico. Quattro fari roteanti blu della polizia delimitavano l’opera nel giardino.”
Nel segno della luce sono state realizzate anche molte altre opere: la scultura al neon del disegno di Bello, 1996, per la mostra Martiri e Santi, alla galleria L’attico a Roma, in cui “il trasformatore non adeguato lo fa tremare come i vecchi neon che non funzionano bene. Dopo tanto tempo, sta ancora funzionando in questo modo”. (M.C.)
Poi la Suf Light-Box, per la mostra Chiarimenti a Chiari (Br), in cui nella testa nera di Suf spiccavano un paio di occhioni che si accendevano e si spegnevano dolcemente “come la lucina del Mac in stand-by”.
E anche la performance La resurrezione di Petronilla, fatta nel ’94 a Bagnocavallo in provincia di Ravenna, in occasione di una sagra. Cuoghi e Corsello presero possesso dell’hotel abbandonato Il Nano, e lo dipinsero di rosa scuro. Poi, su una sua facciata, tracciarono la sagoma di una grande Petronilla con un pigmento fluorescente trasparente. Infine si rintanarono in una stanza nascosta, suonando per tutta la sera la stessa canzone, la marcia per la resurrezione di Petronilla. “Un timer alternava la luce e il buio: quando la luce era accesa si vedeva il vuoto albergo rosa, quando si spegneva appariva la luminosa Petronilla. Le persone che incontravano il momento della selezione sul buio dovevano attraversare un lungo corridoio cieco per raggiungere la sala con la Petronilla. L’organizzatore dell’evento ci disse che, facendo affrontare alle persone del luogo la paura del buio e la prova dell’attraversamento del corridoio, abbiamo sconfitto una maledizione antica che pendeva sul paese, il quale esorcizzava facendo questa festa.” (M.C.)
LA MORFOLOGIA DELLA FIABA E LA TEORIA DELLA SINCRONICITA’
A questa dimensione di rito magico si connette un altro lavoro molto importante di Cuoghi e Corsello, ovvero l’installazione Il compleanno di Eleonora, realizzata nel 1987 per la mostra Traviata nell’isola Boschina di Ostiglia. La forma dell’isola ricordava un triangolo, e al suo centro c’era un campo triangolare in cui si ergeva un cerchio di alberi altissimi. Monica Cuoghi sospese otto altalene con gli sgabelli di legno e delle lunghissime catene arrugginite. Su ogni altalena era sospesa una doppia cartolina con due immagini di bambine.
M.C.: “Era una festa di compleanno dove era morta Eleonora, la festeggiata. Stando dentro al cerchio si aveva una particolare, fortissima sensazione. Indescrivibile. Dentro e fuori dal cerchio erano due mondi, due stadi di percezione diversi della realtà; dopo molto tempo ho scoperto che le due bambine per ogni altalena che si alternavano girando con il vento erano una buona e una cattiva. (…) Quando ho installato “Il Compleanno di Eleonora” ho preso coscienza che un’artista è un’interprete del mondo magico sottile, e che attraverso la sua arte comprende se stesso e la vita.”
In questa stessa atmosfera da fiaba si colloca un’installazione di dieci anni dopo, Incidente aereo.
“Grandi moquette rosse sconnesse simulavano la pista aerea divelta. Cicciodoro vestito con uno smoking molto più lungo di lui stava a terra e recitava lo sposo morto, la sua parrucca rossa a qualche metro di distanza. Il bambino americano che interpretava la sposa vestita di bianco guardava allucinato come avvertendo la sciagura. Accanto alla sposa c’erano i suoi amici, il maiale e il coniglio. Una piscina gonfiabile su moquette verde ospitava un tricheco rosa, dalla sua pancia usciva l’acqua come una fontana. Prima della pista divelta c’era un mobile anni ’70 con sopra un coniglio che guardava attonito con il giubbotto salvataggio dell’ aereo, nella mensola sotto una sveglia rossa ferma”
In questo scenario, che sembra l’illustrazione di una fiaba, il richiamo all’infanzia è evidente. Lo stesso che troviamo in tutte le creature iconiche di Cuoghi e Corsello, da Peabrain a Suf, nell’installazione con le altalene Il compleanno di Eleonora, nella bambola Ombra. L’infanzia come luogo magico delle infinite possibilità. Età per eccellenza altra, capace di vedere il mondo molto meglio di come lo vediamo noi. Di capire intuitivamente la dottrina della sincronicità4.
M.C: “Nel 1996, per la mostra “Pop Planet” nella galleria THE a Napoli, espongo la scultura-composizione con i miei orsi Aldo di quando ero bambina. Imitando volontariamente il mio primo amico Marco, tutti i miei orsi si chiamavano Aldo. Poi, a New York, compro un orso da una bambina per 5 dollari … Finalmente un orso che non si chiama Aldo, ma Dakin. Tornata in Italia il giorno dopo, mi pagano i miei orsi con 5 milioni di lire.”
NUOVE STRUTTURE DI PENSIERO
Quando scrivo dell’opera di un artista cerco di procedere per connessioni. Nell’opera di Cuoghi e Corsello i ponti fra un elemento e l’altro sono molteplici, e per tanto la struttura del loro operare è assimilabile a quella di un rizoma, di una radicetta con un reticolo infinito di micro canali interconnessi. La stessa configurazione del labirinto, che all’origine della civiltà era rappresentato come una spirale. E pure la spirale ricorre qua e là nel lavoro e nelle parole di Cuoghi e Corsello. La spirale, la forma simbolica dell’arte contemporanea, ovvero il suo simbolo più rappresentativo. La spirale, il rizoma, la rete, sono splendidi a livello formale, e nello stesso tempo sono simboli di conoscenza di una altissima densità. Il lavoro di Cuoghi e Corsello, sotto alla sua maschera naif, riesce ad essere sincronicamente arcaico, classico e post-moderno.
Pubblicato il 30 luglio 2009 su Succo Acido
NOTE
1 Marinare la scuola in quel di Modena.
2 Novella per bambini che racconta gli escamotage di sopravvivenza di un passerotto. Crudele quanto basta, animistico, ultra-poetico.
3 Federico II Hohenstaufen, fu re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d’Italia e re di Germania. Popolarmente conosciuto con gli appellativi stupor mundi (“meraviglia del mondo”) o puer Apuliae (“fanciullo di Puglia”), fu Sacro Romano Imperatore dal 1220 al 1250. Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l’attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione tecnologica e culturale, volte ad unificare le terre ed i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso apprezzabile letterato, fu convinto protettore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.
4 La sincronicità è un termine introdotto da Carl Jung nel 1950 per descrivere una connessione fra eventi, psichici o oggettivi, che avvengono in modo sincrono, cioè nello stesso tempo, e tra i quali non vi è una relazione di causa-effetto ma una evidente comunanza di significato. La sincronicità è relativa quindi alle “coincidenze significative”.