Per molto tempo abbiamo avuto come screen saver del computer una foto senza crediti, trovata in rete. Era l’immagine di una coppia di amanti acefali. Le due figure erano sedute, lui stava dietro di lei, e lei aveva una posa di abbandono assoluto, di inerzia, come di bambola dalla mente annebbiata. I colori erano lividi, con i bianchi ed i blu plumbei in evidenza. Lui stava infilando la mano sotto la gonna di lei. Il vestito di lei era di pizzo bianco. La ragazza era molto magra, e l’attenzione dello spettatore cadeva sulle giunture degli arti di entrambe le figure. Le loro articolazioni, a paragone delle membra sottili, erano nodose, in risalto, enfatizzavano la grazia con cui le membra si piegavano. La fotografia era contemporanea, ma non poteva essere collocata con precisione sulla linea del tempo. Il suo fondale temporale aveva qualcosa di ottocentesco, ma anche una morbosità anni Settanta à la Picnic a Hanging Rock, qualcosa nella tavolozza che ricordava Walerian Borowczyk, qualcos’altro nella composizione che rimandava a Stanisław Lenartowicz.
L’immagine non mostrava niente, ma aveva una grande potenza erotica. Rispecchiava qualcosa della nostra mente a quel tempo. Poi il tempo è cambiato, assieme allo screen saver. Ma la memoria dell’immagine è rimasta, finchè non abbiamo scoperto chi è la sua autrice. Laura Makabresku ha meno di trent’anni ed abita vicino a Cracovia. Ha un blog bianco, che usa come un diario per immagini, postandovi più volte al mese le sue fotografie. A volte le immagini sono accompagnate da parole. Nel banner del blog ci sono tre illustrazioni di Katrin Berge, raffiguranti degli strani embrioni di uccello dagli occhi tondi e scuri, con appendici che sembrano cordoni ombelicali. Quasi un’allusione allo stato indifferenziato prenatale dei primi stadi della vita, in cui gli embrioni di tutte le specie, terrestri, celesti o acquatiche, sono assolutamente identici. A quanto abbiamo potuto capire, Laura Makabresku soffre di agorafobia. Non può affrontare un lavoro regolare di otto ore al giorno, esce di casa raramente e viaggiare per lei è molto difficile. Dal suo bozzolo chiuso in cui vive assieme al suo ragazzo, ai suoi libri e ai suoi oggetti, Laura Makabresku è stata in grado di dar vita ad un seguito enorme, che l’ha fatta definire “cult on-line photographer”. Andremo ora a analizzare le sue fotografie. Vedremo se, individuando gli elementi di cui si compone la sua poetica, i corpi, il sesso, la morte, gli oggetti, la natura e gli animali, saremo in grado di cogliere il mistero della bellezza delle sue opere.
CORPO
Laura Makabresku traccia la topografia del suo mondo, partendo da ciò che permette – o meno – tutte le indagini ulteriori, il corpo. Il proprio corpo, quello dell’amato e i corpi di pochissime altre persone sono elementi centrali di questa mappatura. Del corpo rappresentato da Makabresku, la cosa meno importante sono i volti. I volti ci sono, compaiono di tanto in tanto, vengono sondati con grande interesse quando appartengono a soggetti femminili dai lineamenti delicati o all’amato, ma non sono l’elemento centrale dell’indagine. Nelle opere migliori di Makabresku, i volti sono tagliati fuori dall’inquadratura, oppure vengono nascosti, dalla posa o da maschere integrali di capelli. I volti devono rimanere nell’ombra, per favorire l’immedesimazione di chi guarda l’opera. L’opera, grazie a questo mistero, diventa magnetica. Assume una connotazione spettrale.
Un grandissimo valore hanno invece i capelli, le mani e gli incarnati, che riflettono la luce come interni di conchiglie di madreperla.
I capelli sono un attributo sessuale secondario. Hanno a che fare con il sesso e con la morte. Nonostante la natura tattile ed invitante dei capelli, nessuno li può toccare, solo gli amanti. Oppure i consanguinei, che sono legati fra di loro da antichi atti d’amore. I capelli rimangono nella bara assieme alle ossa per molto tempo dopo che le carni si sono dissolte. Nell’Ottocento gli innamorati si scambiavano piccoli reliquiari di vetro contenenti le proprie ciocche di capelli. I vittoriani, nei loro morbosi apparati di prescrizioni luttuose, avevano creato il mestiere di hair artist, una figura esperta di legature fatte con piccoli uncini, che con i capelli del caro estinto realizzava ghirlande, minuscoli giardini e cornucopie di nodi.
Jack lo Squartatore prendeva dai corpi devastati delle sue vittime un ciuffo di capelli, come trofeo d’amore e morte. Laura Makabresku colleziona capelli, e chiunque senta di amare la sua arte e di volerle dare qualcosa in cambio della sua diffusione può mandarle la propria ciocca di capelli all’indirizzo di Brzesko indicato sul suo Tumblr. I capelli rappresentano i nostri desideri più nascosti, l’immaginario, le fantasie che, come insegna la fiaba di Rapunzel, crescono più rigogliose in situazioni di reclusione.Poi ci sono le mani. Le mani si allungano verso l’obiettivo, con dita incurvate, piene di segni e linee. Sopra di loro c’è una piccola traccia di sangue. Il corpo, tagliato ad altezza della testa e del busto, rimane sotto, fuori fuoco. Le mani sono ciò che ci permette di operare nel mondo, di autodefinirci facendo cose. Ma le mani di Makabresku non sono così. Anzi, spesso sono mani completamente inerti, incapaci di afferrare, di portare nel mondo i propri desideri e di renderli operativi. Sull’inerzia delle mani femminili, Makabresku ha scritto e fotografato una personale versione della fiaba tradizionale La Fanciulla Senza Mani. Un vedovo ha due figlie. Ne tiene una reclusa nella soffitta di casa perché ha un’orribile malformazione alle mani, che le fanno sembrare due appendici scheletriche ed annerite. L’unica persona che non ne ha orrore è la sorella, che le bacia e le avvolge di nastri colorati. Un giorno che il padre è lontano, la sorella maggiore porta a quella deforme un magnifico cigno bianco, affinchè possa conoscere l’amore. Ma il padre torna all’improvviso e le due ragazze, per coprire le tracce di quello che hanno fatto, uccidono il cigno e si nutrono delle sue carni nere e delle sue piume bianche. Ma, smembrando l’animale, lasciano una traccia di sangue sul pavimento, indelebile all’acqua e alla cenere. Quando torna, il padre se ne accorge. Le ragazze vengono murate nella loro stanza, finchè il sonno non arriva a lenire il loro dolore. La sorella maggiore è un riflesso della ragazza deforme, in realtà la ragazza è sola.Le mani di Makabresku sono connotate più in senso erotico che poietico. Grande enfasi hanno le mani maschili, grandi, venose, bianche come quelle di una statua. Sono mani che si insinuano, che tengono stretto, che esplorano, che modulano il corpo come se fosse uno strumento musicale. In un’altra favola scritta da Laura Makabresku, la protagonista subisce tutta le notti delle visitazioni demoniache, in cui i demoni le appaiono sotto forma di pesanti mani maschili.
Il sesso viene rappresentato nei momenti liminali di avvicinamento, quando la massa scura del corpo maschile si staglia a fianco di quella femminile, ed infine la copre. Anche nelle immagini più liriche, c’è sempre sottintesa l’idea di predazione, della violenza in sé dell’atto sessuale. Una violenza purificata, che si rivela nei segni sul collo o nei titoli di alcune opere, come The girl who loved the Devil, oppure nella condivisione di rituali di autolesionismo.L’autolesionismo fa parte della rappresentazione del corpo, su cui il rosso scuro del sangue dona e le ferite si aprono come segni di bellezza.Laura Makabresku racconta che l’autolesionismo, il darsi dolore per provare una scarica emotiva, è stato per lei una sorta di inconsapevole iniziazione erotica. Racconta che da adolescente aveva fantasie di creature nude e indifese che si aggiravano perdute nel bosco, nottetempo, mentre il male, incarnato in bestie fameliche, le osservava, per poi tormentarle per giorni e farle infine a pezzi. In queste fantasie, il dolore si legava ad un piacere estatico, che culminava nella morte. All’apertura del corpo Makabresku dedica anche un meraviglioso ritratto del suo amante, reduce da un intervento al cuore. “A volte diciamo che il tuo cuore fa un suono come se fosse immerso nell’acqua. In quei momenti si espandono sorde onde ed echi, ed io sto in piedi al limitare del tuo corpo come su una riva e penso che vorrei annegare.” I corpi sono lattescenti, le ossa in rilievo come ornamenti gioiello. Laura Makabresku ama raffigurare le gabbie toraciche e le spine dorsali irte di vertebre. Alla bellezza delle ossa e al cerchio vita-morte-vita sono dedicate anche le opere Cabinet of Souls e Crying Souls, in cui i raggi X della cassa toracica la mostrano piena di fiori invece che di alveoli polmonari. I corpi di Makabresku sono tutti virati in bianco, come perfette opere d’arte di marmo freddo, o come meravigliosi, inerti, invitanti cadaveri.Dall’Ottocento proviene anche il topos figurativo dell’estetica del cadavere. Ofelia galleggia in una vasca piena di foglie morte, oppure di fiori, come Elizabeth Siddal, la musa dei preraffaelliti. Nella vasca il corpo femminile si mostra con un giglio rosso al posto del sesso. C’è una serie di fotografie mosse dedicata a una passeggiata fra le tombe. Il corpo della visitatrice viva è come un fantasma, confuso, dai contorni incerti. Di questa serie fa parte un’apparentemente incongrua fotografia di cigni, in cui gli animali si affollano gli uni sugli altri, con i loro lunghi, eleganti colli flessi. Il cigno è simbolo di rigenerazione e cambiamento, di quella forza che trasforma il brutto anatroccolo che nessuno vuole nel superbo animale adulto. Presso molte culture il cigno rappresenta il dono della profezia, la capacità di prevedere il futuro, di riconoscere il momento in cui arriva la morte, per poter lasciare al mondo un ultimo, supremo canto. Il cigno ritorna come suggestione in un’altra serie di fotografie mosse, dedicate appunto alla morte del cigno, in cui la traccia del movimento di braccia e scapole si trasforma in ali. Nella produzione di Makabresku, il valore dell’amore è fortissimo, esclusivo, ed acquista ulteriore rilevanza proprio per la presenza della morte. “La morte si avvicina alla nostra casa, arriva fino alla soglia della porta, come la neve o le bestie selvatiche. Lascia delle tracce. A volte esco fuori e sento l’impulso di seguire quelle tracce, come un cacciatore.” La rappresentazione della morte è sempre un esorcismo, per scacciare la morte che si allunga dentro la vita, che la impregna ed impedisce la sua fioritura.
OGGETTI
Lettere, blister di medicine, fiori pressati, fotografie antiche di parenti, santini, piccole bottiglie di alcol, tazze di tè, libri, vasi di fiori, centrini di pizzo, diari, geometrie di riti privati e solitari: Laura Makabresku evidenzia una grande attenzione nei confronti degli oggetti, ma anche verso il macro-oggetto della casa, che contiene ed ordina tutti gli oggetti più piccoli. Gli oggetti sono i piccoli componenti strutturali del nostro nido, che ci protegge, ci conforta e ci separa dagli altri. Il nido a volte si trasforma in gabbia.Laura Makabresku compone delle vere e proprie nature morte, con fiori secchi, uccelli impagliati, ciocche di capelli, minerali. Makabresku ricontestualizza il genere pittorico della vanitas del XVII secolo, citando i suoi elementi costitutivi: la candela, il teschio, il fiore appassito, la sveglia arrugginita che sostituisce la clessidra barocca. I nostri oggetti sono nostre rappresentazioni e nostre protesi. Fanno parte dell’ossario di vestigia che ci lasceremo dietro una volta morti. Per questo la rappresentazione degli oggetti è sempre vanitas, non solo quando vengono mostrati teschi o processi di putrefazione.
Piume, teschi di piccoli animali, candele. Il culto degli oggetti ci accomuna tutti, ma raggiunge gli esiti più alti nelle persone solitarie.La rappresentazione di libri è un topos dell’arte figurativa occidentale, che parte con i maestri fiamminghi, nell’epoca in cui i libri potevano avere lo stesso valore delle abitazioni. Nell’arte di Makabresku, i libri si inseriscono nel culto degli oggetti, come dispositivi magici di penetrazione in altri mondi oltre al proprio. Possiamo riconoscere Le Anime Morte di Gogol, I Buddenbrock di Thomas Mann, Il Maestro e Margherita di Bulgakov, le lettere fra Virginia Woolf e Vanessa Bell.Sia i libri che gli oggetti in generale sono dispositivi di memoria. I libri perché contengono il flusso di pensieri e la visione del mondo della mente di un’altra persona, spesso non più vivente, gli oggetti perché sono per lo più destinati a sopravvivere a chi li possiede. La memoria è qualcosa che permette di invertire il flusso del tempo, che ci permette di apprendere, riconoscere e soffrire più profondamente. La fotografia e la scrittura sono arti profondamente legate alla conservazione della memoria.
ANIMALI
Laura Makabresku racconta di essere cresciuta in campagna. Riferisce che, durante la sua infanzia, ha spesso aiutato i propri nonni nell’uccisione di piccoli animali da cortile. Gli animali compaiono spesso nelle sue opere. Ma sono quasi tutti animali morti. Fra quelli vivi, ci sono alcuni gatti, dei cigni e un cagnone nero peloso usato per citare Borowczyck: le foto in cui compare sono molto belle, ma la bestia in alcuni scatti tradisce uno sguardo troppo orsetto per essere convincente. Gli animali imbalsamati sono sicuramente più controllabili ma, d’altra parte, rischiano spesso di apparire troppo finti. Ma anche questi animali, con il loro sembiante imperfetto, sono legati a dei ricordi e a degli elementi strutturati della poetica dell’artista. Quando era piccola, Laura Makabresku andava spesso nella casa di un cacciatore che abitava vicino ai suoi nonni. Quest’uomo aveva molti animali imbalsamati, forse in modo un po’ dozzinale e legnoso, ma Laura li amava molto, perché erano suoi compagni di gioco e la facevano vivere in un mondo da favola. Ora questi animali imbalsamati sono diventati suoi. Fotografandoli, Makabresku indaga sul confine fra la cosa e l’essere animato, sull’oggetto pluri-potenziato a metà strada fra la vita e la morte, con l’aspetto mimetico di un animale vivo, ma in realtà cadavere ben conservato. Questi animali tassidermizzati per Laura Makabresku sono idoli apotropaici, che la fanno sentire al sicuro.
Makabresku racconta che da bambina subiva il fascino di cose “orribili e cattive”. Da questo fascino sono nati i primi esperimenti sul corpo degli animali morti e su se stessa. Racconta che in questo modo è nata un’attrazione verso tutto ciò che è “morto, privo di difese, ferito”.
Makabresku racconta di aver costruito un’altra collezione a partire da una propria fobia, quella delle falene. Ne era terrorizzata, così ha iniziato a collezionarle, assieme alle farfalle, usandole spesso nelle sue composizioni. Esattamente come i capelli, altro oggetto di collezione da parte della fotografa, le falene rappresentano la natura pericolosa dei desideri, e di come tutti i desideri siano, in ultima analisi, desiderio di morte, di dissoluzione dentro al proprio oggetto d’amore. Ildegarda di Bingen sosteneva che gli uccelli fossero “più puri degli altri animali terrestri, perché la loro madre non li partorisce nudi ma all’interno di un guscio.” “La speranza è quella cosa piumata”, ha scritto Emily Dickinson. Eppure, tutti gli uccelli rappresentati da Makabresku sono morti, ridotti a statiche icone imbalsamate, incapaci di librarsi in volo.
NATURA
La natura è molto importante nelle opere di Laura Makabresku, che spesso sono visioni di paesaggi, in cui compaiono fiori lilla, campi di soffioni, raggi di sole che squarciano le nubi. La natura rispecchia e restituisce bellezza. Appartenenza. È un’entità con cui è semplice relazionarsi, a differenza delle persone. La natura di Laura Makabresku è quella del XIX secolo, dei cieli color piombo e degli orizzonti infiniti. Non c’è separazione né frattura, ma grandezza e corrispondenza.
Laura Makabresku rappresenta la multiforme bellezza del mondo, dei rituali predatori degli amanti, del grande mistero della morte, dell’affinità fra uomo e animale, delle appendici oggettuali che gli esseri umani creano. C’è un’affinità poetica fra lei e Virginia Woolf, un’autrice che Makabresku ama e ha rappresentato nelle sue opere. Entrambe hanno cercato, tramite la loro arte, di cogliere la bellezza dell’attimo. Di isolare fra gli infiniti attimi delle infinite prospettive delle infinite creature viventi e senzienti, alcuni attimi, alcune ore, di coglierne l’ineffabile essenza, di riverberarla tramite la propria materia, parole o immagini, e di condividerla in questo modo con gli altri. Forse è questo il movente misterioso dell’arte di Laura Makabresku, il tentativo di sottrarre la bellezza all’inarrestabile flusso che tutto cancella.
BIBLIOGRAFIA
http://lauramakabresku.blogspot.it/
http://lauramakabresku.tumblr.com/
http://www.treccani.it/enciclopedia/natura-morta/