IGGY POP
Nel 1967 James Newell Osterberg ha vent’anni, e vede i Doors dal vivo. Vederli spazza via tutto quello che era stato prima, ovvero un bambino asmatico che viveva in una roulotte dotata di camera con vista sugli stabilimenti Ford. A quindici anni James aveva pure formato una band, gli Iguanas, ma i suoi compagni gli facevano cantare sempre e solo un pezzo, Louie Louie. Non sa cantare, dicevano. Vedere Jim Morrison nel 1967 è una folgorazione. Perché James finalmente capisce chi è. Forma un gruppo nuovo dove lo fanno cantare. Il nome del gruppo indica una classe di persone con problemi relazionali, oligofrenici con poco cervello, che non riescono a rapportarsi agli altri. Il nome del gruppo è Stooges, e James è diventato Iggy. L’anno dopo lo storico concerto dei Doors, gli Stooges firmano per l’Elektra, il cui gruppo principe erano proprio i Doors. La stessa settimana di Woodstock esce il loro primo, epocale disco. Iggy si mette con Nico dei Velvet Underground. Nonostante le vendite basse, il tornado di violenza e problemi che circonda tutti i componenti (di fatto decimati negli anni dalle droghe e dal Vietnam), il gruppo va avanti. Le loro performance dal vivo sono furibonde. Iggy si rotola sui cocci di vetro, si fa pestare dai motociclisti nazi, si inarca e salta come posseduto, si procura scariche elettriche direttamente alle tempie usando un trasformatore. Durante uno dei suoi epici show, lo vede David Bowie, mentre cammina sul pubblico come Gesù sulle acque. Scoppia l’amore. I due vanno insieme a Berlino. Il Duca Bianco partorisce la trilogia di Low-Heroes-Lodger e produce per Iggy due dischi strepitosi, The Idiot e Lust for Life. Il blow-up del primo piano di The Idiot rivela una postura spigolosa, un’espressione sordida, quasi impaurita. Iggy Pop è un personaggio assolutamente iconico, il cinema l’ha sempre corteggiato, facendogli fare per lo più ruoli da cattivo, in Tank Girl ad esempio, ma anche camei in film di culto come Dead Man o Coffee and Cigarettes. Assieme a Peter Murphy, Iggy è stato il modello per plasmare il protagonista del fumetto di James O’Barr Il Corvo. Perfino la moda gli ha tributato il giusto omaggio, facendogli fare da testimonial per Dior, con un’espressione altera da aristocratico (o da barbone pazzo) e un vestito da donna.
LYDIA LUNCH
Lydia Lunch è stata una delle ragazze più cattive della propaggine più nichilista del punk, la No Wave newyorkese dei primi anni Ottanta. Dopo ripetute molestie da parte del padre, a sedici anni Lydia prende un autobus della Greyhound, portando con sé 82 dollari, una borsetta di pelle, e una “big fuckin attitude”. Lydia approda a New York a metà degli anni Settanta, quando la città altro non è che il parco giochi del diavolo. Predatrice sessuale, cerca uno strappo nel tessuto psichico delle sue prede attraverso cui fare breccia. Fa la prostituta, vende Quaalude, inizia al sesso intere compagnie di quattordicenni, scopa per strada, vive assieme a due cloni eroinomani di John e Yoko, ruba, taccheggia, raggira, gravita intorno al Chelsea Hotel, e presto diventa la musa del fotografo e videomaker Richard Kern, assieme al quale parte per documentare l’esplorazione delle parti più sordide del lato destro del cervello. Nascono capolavori del cinema underground come Fingered. Lydia mette su i Teenage Jesus and the Jerks, e poi intraprende una carriera solista fitta di collaborazioni, da Nick Cave ai Sonic Youth. La Lunch usa la scrittura come un rituale catartico. Le sue liriche sono come le sue canzoni, oscure, violente, carnali, ipnotiche. Attraverso il sesso, la degradazione e gli eccessi, Lydia Lunch traccia un itinerario della conoscenza, una sorta di cammino spirituale verso la liberazione.
IAN CURTIS
Tutto si muove ma niente si muove davvero. Anche nelle neo-religione secolari, la santità – quella assoluta – passa attraverso la morte. Die Young, Stay Pretty, cantava Blondie. A parte Elvis the King, tutte le più grandi icone del rock sono morte giovani. Principalmente per overdose. Ma non solo. Ian Curtis è stato il primo a mostrare che forse, dietro le luci della ribalta, c’era una potente, oscura, insopportabile dissonanza. Prima di Kurt Cobain, a cui lo accomuna la genialità e la riforma totale di un codice. Diviso fra una famiglia borghese, un’amante platonica, l’establishment musicale che lo attendeva dietro l’angolo, la pressione di un successo che stava prendendo sempre più forma, la realtà dell’epilessia fotosensibile che peggiorava ad ogni performance dal vivo, Ian si ritira di scena il 18 maggio 1980, alla vigilia del primo tour americano dei Joy Division. In The Atrocity Exhibition, Curtis aveva mostrato l’analogia che c’è fra l’andare in scena e lo spettacolo delle pubbliche esecuzioni nelle arene. Per la seconda volta, il cerchio della santità si chiude.
Testo critico e curatela per la mostra STARDUST: Stelle, Santi e Cose Preziose, inaugurazione 2 dicembre 2012 presso Cayce’s Lab, pubblicato sulla fanzine cartacea autoprodotta Unknown Pleasures, numero zero, grafiche di Francesca De Paolis.