La Socìetas Raffaello Sanzio nasce a Cesena sul limitare degli anni Ottanta, dall’incontro dei fratelli Claudia e Romeo Castellucci e Chiara e Paolo Guidi, configurandosi come l’esperienza teatrale più estrema su suolo italiano. Con Kaputt Necropolis, La discesa di Inanna, il Giulio Cesare, la Socìetas si avventura in territori dell’inconscio oscuri e proibiti, esibendo sul palco le pochissime cose che ancora sono interdette alla visione nell’odierna società delle immagini. All’interno di apparati scenici fatti di rovine e macchine teatrali che trovano la loro origine nel Secolo dei Lumi e nella sua ossessione illusionistica, Castellucci mette in scena quello che non bisogna vedere, sfidando i tabù connessi alla corporeità, esponendo corpi scheletriti dall’anoressia, obesi, vecchi e cadenti, mutilati, laringotomizzati. Con la Tragedia Endogonidia la Socìetas Raffaello Sanzio realizza un’opera d’arte disseminata nel mondo, un ciclo drammatico rappresentato in nove città diverse, che dona al gruppo fama internazionale. Dopo il Palazzo dei Papi di Avignone, l’Inferno debutta al Comunale di Modena per il Festival delle Vie. Fare l’Inferno di Dante è secondo Castellucci «un progetto impossibile», e per tanto evita di invischiarsi in tentativi di lettura filologica.Le uniche allusioni al testo sono il fiero pasto, che diventa una palla da basket addentata da una vecchia signora in lilla, il corpo del regista vestito con una tuta da figurante ed assalito da cani addestrati, e una paurosa, tumultuosa orchestrazione di urla e gemiti, a volumi inauditi. Non ci sono demoni, nell Inferno della Socìetas, ma solo addetti ai lavori. Il male è una nube enorme di tessuto nero che si muove a sussulti come una massa viva. Il primo dannato è un bambino con gli occhiali e le Adidas, gli altri sono una collettività dolente e strisciante che si muove in branco con passi lenti come quelli degli internati nei campi di sterminio. L’inferno diventa una metafora della condizione umana nel mondo. È un inferno globale, quello della quotidianità, della normalità, della moltitudine, in cui l’amore degenera sempre nell’assassinio, e la perdita dell’aura rende ripetibile all’infinito perfino il momento della morte. È l’inferno dei legami in cui genitori impazziti uccidono i propri figli, e in cui nessuno parla, mai, se non per pronunciare “Ti amo” e per cercare il proprio carnefice e liberatore. Nel profondo dell’Inferno Satana diventa Andy Warhol, e la visione delle stelle all’uscita è quella contenuta dentro schermi televisivi.
Pubblicato il 19 ottobre 2008 su L’Informazione Download pdf