La metà di un cuore tracciata da una scritta di tubi al neon e fissata su uno specchio, si accende ad intermittenza virando dal blu, al viola wood, al fucsia, al rosso. Per terra l’altra metà del cuore si compone in negativo con i frammenti rotti dello specchio. Questa è l’opera della Schilirò che porta il titolo della mostra, Frammenti visivi di un discorso amoroso, citazione dello splendido trattato di Roland Barthes sulla fenomenologia dell’amore. La prima stanza è dedicata alla maternità, che è l’inizio dell’iter amoroso per l’individuo che nasce, ma è nello stesso tempo anche il fine ultimo e la sublimazione dell’amore. Abbiamo la madonna con bambino di Serafini, la sua astrazione in simbolo avvolgente nell’alma mater di Lorenzi, non a caso in legno, il materiale che si usa per scaldare, cucinare e costruire case.
Demetz raffigura invece la madre terribile, con il suo fanciullo senza mani, gambe né sesso, con il volto bellissimo, da angelo rinascimentale, nascosto dalla posa avvilita. Ursulet propone la madre come terra e territorio, con un dittico ricamato su seta e organza che rappresenta una cartina topografica, e la parola deterritorializzazione ( nel titolo dell’opera) fa parte del lessico che riguarda i migranti e gli esuli. L’amore adolescente è raffigurato dalle ragazzine in attesa della Savelli, dai cuori lucidi, coloratissimi e palpitanti di Sansavini, dai putti fluo di scaglie plastiche di Sun Rae Kim, dai giochi promiscui di Merkel. Abbiamo il narcisismo come amore/odio nei confronti del proprio doppio, con i calchi corporei di Manfredini e della Tommasoli. Sul matrimonio ci sono la creatura da freak-show di Tress, sia sposo che sposa, dentro a una chiesa devastata, e l’installazione terroristica della Longo con abiti bruciati, specchi infranti e detonazione iperreale. Anche l’amore familiare ha tinte decisamente fosche, nella Composizione naturalmente morta di Cannavacciuolo, o nella madre assente di Buccella, scheletrica, senza seno, che abbraccia la figlia isterica sullo sfondo di un paesaggio spettrale. Con i corsetti di acciaio e marmo della Serra viene rappresentato il feticismo, cioè l’amore per il particolare. Abbiamo la passione, secondo Le Grazie con il suo ex voto di carne fiammeggiante, e secondo Macku, con la sua Eva-bambina acefala, nuda e rovesciata, il cui corpo è diventato un albero su cui si arrampica un serpente fatto di poderosi avambracci maschili. Dutto propone un il cuore-macchina, con serbatoio, alettoni e tubi cromati. Annalù, con The Gift (Into your hands I command my spirit) rappresenta la mistica dell’amore, offrendo un dono carnale e puro dentro a una scatola bianca piena di volute tessili lucide come perle. Questo dono sono due mani in atteggiamento orante sporche di sangue. Insomma una mostra esaustiva, raffinata, imperdibile, aperta tutti i fine settimana fino al 14 di settembre al Palazzo Ducale di Pavullo.
Pubblicato il 4 settembre 2008 su L’Informazione Download pdf