L’arte di Patrizia Rampazzo racconta di tragitti, traversate, spostamenti, oscillazioni pendolari fra nomadismo e stanzialità. Del movimento dell’uomo nel mondo, della sua collocazione dinamica nel paesaggio, o del movimento di chi sceglie di occupare un posto fisso ma continua a tenere in moto lo spazio interiore del pensiero e della memoria. Le declinazioni del viaggio vengono comprese fra l’eterno ritorno, residuato della logica greca, che fissa un dogma perduto da ritrovare, un’identità fissa da ricostruire, e il viaggio come stile di vita leggero e aereo, supportato da un’identità mutante.
Alla deriva, come il plancton che si lascia trasportare dai flussi della corrente. Cambiare setting, per il cambiamento del paesaggio che si può sperimentare attraverso i sensi, ma soprattutto per il suo contraccolpo, che lavora dall’interno e cambia ciò che siamo e ciò che siamo stati. Patrizia Rampazzo adotta la poetica delle zone di confine, degli spazi interstiziali in cui le propaggini dei conflitti e delle contraddizioni si fondono.Impiega materiali di scarto o di provenienza geologica, rocce, minerali ferrosi, legno, argilla. Tutto è segnato dal tempo, tutto è il reperto di un’altra era. Legni screpolati, tarlati, anneriti. Forme elementari, moduli di poligoni e buchi che ricordano lo scorrimento veloce delle cabine di un treno oppure lo skyline di una città.
La città si pone concettualmente come punto di partenza, punto di arrivo, e nello stesso tempo antitesi del viaggio, ma nelle opere della Rampazzo viene sublimata nella metafora del viaggio stesso. Stanzialità e movimento sono elementi complementari, il movimento è funzionale alla ricerca di un posto perfetto in cui mettere radici, e l’utopia di questo sito perfetto è il pungolo che spinge a spostarsi. Nell’era del villaggio globale, in cui si coniano nuovi ambiti disciplinari per studiare la dromologia, Patrizia Rampazzo rivela che l’essenza del viaggio dell’uomo è la lentezza, perché ogni spostamento è a doppia percorrenza: se il paesaggio esteriore può cambiare radicalmente nel giro di una manciata d’ore, quello interiore obbedisce a un tempo mitico che si muove in linee curve e secondo trame labirintiche.
Testo critico scritto in occasione della mostra Viaggio Lento di Patrizia Rampazzo, inaugurazione 24 gennaio 2009 presso Magazzini Criminali