“Se esiste una bellezza così universale da risultare indiscutibile, Nico la possiede. Il viso è perfetto. I lineamenti impeccabili: bocca precisa, naso dritto e finemente cesellato, occhi limpidi in delicato equilibrio, volto incorniciato da una cortina di capelli chiari e splendenti. Non c’è una fattezza che domini il volto di Nico; tutto rispetta proporzioni inverosimilmente perfette. Nulla è prominente, eppure ogni particolare risulta fuori del comune. La simmetria tende a portare alla noia ma Nico cattura l’attenzione, sorprende, conquista. L’apparizione di un sorriso, di un atteggiamento imbronciato, di una lacrima, colpisce fortemente per l’incongruenza: ma assolutamente incongrua è l’espressione degli occhi, molto spesso messi a fuoco su qualcosa di impercettibile. (…) La scoperta fatta dai critici del paradosso tra la spontanea innocenza su pellicola e la macabra, quasi mortuaria presenza sul palcoscenico, è soltanto una manifestazione secondaria dell’autentico enigma: gli occhi. A causa del suo forte effetto come insieme tridimensionale, Nico potrebbe essere rappresentata nel modo più efficace dalla scultura, ma neppure l’artista più profondo sarebbe in grado di catturare la strana e inspiegabile qualità dei suoi occhi: essi seducono ma non ammiccano; ignorano ma non possono essere dimenticati; riflettono la realtà interiore ma non danno indicazioni sul suo contenuto. (…) Che ci sia o no un mistero, quegli occhi, con l’enigma della loro assenza da ciò che li circonda, eclissano la perfezione dei lineamenti e della forma per aggiungere grande magnetismo. È questo magnetismo, freddo e inviolabile, a rafforzare l’identificazione di Nico con la tradizione di Garbo e Dietrich, a elevarla sopra alla categoria delle uniformi bellezze nordiche verso l’élite di una mistica inaccessibile.”
Gerard Malanga
Non c’è mai stato un anagramma più azzeccato come quello che si trova dentro al nome di Nico: Icon. Con la sua sfolgorante bellezza, Nico è stata modella adolescente prima che le modelle adolescenti diventassero un clichè. Ha recitato nel cult movie supremo La Dolce Vita, sotto la regia di Federico Fellini, con il quale condivideva la deformazione professionale della menzogna patologica. Ha fatto parte dell’elite mitopoietica delle superstar di Andy Warhol. Ha cantato al fianco dei Velvet Underground alcuni dei pezzi migliori del disco che, assieme ad Unknown Pleasures, è considerato il più influente della storia del rock. Tanto era grande la magnitudo della sua icona, che Nico è stata famosa per “essere Nico”. Per questo si è accompagnata ad altre icone massime: è stata assieme a Jim Morrison, Lou Reed, Brian Jones, Iggy Pop, Bob Dylan, Jimi Hendrix. Ma “nessuno amava Nico, e Nico non amava nessuno.” Soprattutto Nico non era una groupie, non era una seguace delle celebrità maschili, a metà strada fra la concubina sessuale collezionista di tacche, la compagna di merende, l’assistente sociale, la psicologa, la valvola di sfogo sadico e la mamma. Sotto la superficie della sua bionda bellezza, Nico nascondeva un talento competitivo con quello dei suoi partner. De gustibus non disputandum est, ma fatto sta che nel 1969, in pieno periodo Flower Power, Nico ha inventato una nuova forma musicale, il gothic rock. Lo ha fatto dieci anni prima che il gothic rock venisse codificato e in anticipo su almeno tre tendenze delle subculture musicali, ovvero glam rock, punk e postpunk. Dopo aver recitato per dieci anni nei film sperimentali di Philip Garrel, Nico si è lentamente, volontariamente ed inesorabilmente trasformata in una specie di Erinni eroinomane, terrificante, imponente, cattiva e vestita di nero dalla testa ai piedi. Maschera enigmatica, perfetta e misteriosa, Nico ha dimostrato nel corso della sua vita quanto la bellezza possa essere inutile, quanto le persone incredibilmente belle possano essere sole, quanto il talento sia irrilevante ai fini di ottenere quel qualcosa che rende la vita preferibile all’autodistruzione e alla morte.
Nico è stata una delle ultime dive vecchio stile, quelle col vezzo di confondere le acque sulla loro vera età, tanto che c’è molta confusione su quanti anni avesse quando ha iniziato a fare la modella e l’attrice, e in generale sulla cronologia delle prime tappe della sua esistenza. In ogni caso Nico è stata molto precoce, ha fatto tutto quello che un’icona può fare per essere tale, bruciando tutte le tappe. Ora sappiamo che Christa Päffgen nasce a Colonia nel 1938. Il padre, Wilhelm, è ricco e cattolico, la madre Greta povera e protestante, quindi i Päffgen fanno annullare il matrimonio e forzano il figlio ad entrare nell’esercito. A cinque anni, Christa rimane orfana di padre, il quale, nonostante lo scetticismo nei confronti dell’ideologia del Terzo Reich, deve partire soldato. Durante la missione, lo shock di una ferita al capo lo fa impazzire e la pazzia lo consegna ai lager in base al protocollo Aktion T4. Altre fonti dicono che Wilhelm sia stato un nazista convinto, ucciso dai suoi commilitoni per ordini superiori, dopo aver subito una ferita troppo seria da parte di un cecchino francese.
I parenti riferiscono che Christa a dodici anni è già bellissima, ha un collo lungo da cigno e porta da dio qualsiasi vestito. La zia Helma racconta: “Era una bimba così raffinata e delicata. Era piena di grazia e io l’ammiravo. Era timida e non faceva mai rumore. A dodici anni era una piccola principessa, vestita anche e sempre da principessa.”
La madre fa la sarta per mantenerla e, preoccupata per tutta questa bellezza, cerca di proteggerla. Nel 1952 Christa, a tredici anni, subisce uno stupro da parte di un soldato americano di colore, che sarà poi condannato a morte dal tribunale marziale proprio in base alla sua testimonianza. O almeno questo è quello che Nico ha raccontato. Per quanto gli stupri fossero frequenti e raramente gli americani bianchi venissero perseguiti, una faccenda del genere con un soldato di colore coinvolto avrebbe avuto molta risonanza. Soprattutto, se ne sarebbero ricordati i parenti della vittima che, interrogati in merito, hanno riferito di non saperne nulla. Sulle menzogne clamorose, sulle colorature, sulle licenze poetiche e sulle rielaborazioni artistiche di Nico rispetto alla sua vera vita è stata scritta la biografia di Richard Witts. Alcune fonti dicono che Nico fosse profondamente razzista, che odiasse i neri e gli ebrei, e che fosse convinta di appartenere ad una razza superiore a livello fisico e mentale. Uno stupro da parte di un uomo di colore potrebbe determinare un orientamento del genere, a patto naturalmente che lo stupro sia davvero avvenuto. Noi non sappiamo che dire, se non che la conoscenza approfondita di qualsiasi argomento o persona non può che portare al disgusto.In ogni caso, è assodato che intorno ai quindici anni Christa lascia la scuola e fa di tutto per farsi notare da qualcuno di importante nei pressi dei grandi magazzini di lusso KaDeWe. Il suo piano funziona, conosce Oestergaard, un celebre couturier di Berlino, che la spinge a fare la modella. A diciassette anni Christa è già la modella più famosa di Berlino. Sua zia Helma Wolff ricorda il suo debutto con queste parole:“Passeggiava spesso a Kurfürstendamm, ci andava per guardare le vetrine e fare window shopping. Non aveva mai nessun amico, ci andava sempre da sola. È stato lì che Tobias, il fotografo di Oestergaard, l’ha scoperta. Quello è stato l’inizio. Quando l’hanno vista quelli di Vogue, a Parigi, le hanno dato un lavoro all’istante, e Oestergaard l’ha perduta. Quando andò a Parigi, Christa aveva solo sedici anni. Sapeva come muovere il suo corpo ed era capace di recitare. Questo è ciò che voleva fare. Le sue mani erano come di vetro e latte. Non ha mai lavorato. Aveva delle mani bellissime…”Herbert Tobias, il fotografo di Oestergaard, la spinge a cambiare nome, sostenendo che “Christa Päffgen non è un nome da modella.” Oltre a ciò, nello stesso periodo, Tobias si dispera per la fine di un suo amore, quello con il regista greco Nico Papatakis. Christa, per consolarlo, un giorno gli dice “Sarò io la tua Nico.” Ed così che, come Venere dalle acque, nasce una nuova, meravigliosa creatura. La cosa incredibile è che anni dopo, Nico conosce Nico Papatakis, ed hanno una storia insieme. È proprio lui, dopo aver notato la sua splendida voce, a spingerla a cantare, pagandole delle lezioni di canto a New York. A proposito della voce di Nico, Andy Warhol ha detto: “Aveva una voce stranissima, che verrà definita in molti modi: “sinistra”, “dolce e penetrante”, “monotona e sorda”, “come il vento in un tubo di scolo” “come un computer IBM con l’accento della Garbo.”La carriera da modella procede divinamente, Nico fa un sacco di soldi e diventa uno dei volti da copertina più noti della fine degli anni Cinquanta. Un suo amico del periodo parigino, Carlos de Maldonado Bostock, ricorda che lei non odiava la gente, ma voleva sempre stare da sola. A Parigi Nico lavora per Chanel, che la adora per la sua androginia, ma la opprime anche con il suo carattere terribile. E così, ad un certo punto Nico scappa a New York, dove si dà alle anfetamine e all’iper-lavoro, guadagnando come modella anche cento dollari al giorno. In questo modo si compra una casa ad Ibiza, che diventerà la sua base europea, nonché il posto dove alla fine degli anni Ottanta troverà la morte. Da metà degli anni Cinquanta, Ibiza è terra di fuoriusciti, artisti e sbandati. Ci stanno molti americani, che presto diffondono l’LSD. Nico spesso ne porta dei flaconcini a New York. Torna a lavorare a Parigi, in Costa Azzurra e in quella che è considerata l’epicentro del bel mondo in ferie e della jeunesse dorata dell’epoca, Saint Tropez. Nico, con i suoi capelli corti e la voce profonda, a volte finge di essere un efebo gay. Ama i gay e ama frequentarli. Ma inizia ad odiare il suo lavoro di modella.Nel 1959, a ventun anni, lavora con Federico Fellini ne La Dolce Vita. Inizialmente Nico avrebbe dovuto limitarsi a una breve apparizione. Sul set è molto timida e taciturna, ma il grande regista rimane lo stesso impressionato dal suo portamento e dalla sua aura, e decide di ampliare la parte riservata a “Nicolina”. Gabriele Lunati descrive questo momento così: “Mentre la sua amica ballava con il bello e distinto Marcello Mastroianni, Nico vagava disorientata per il baccano e la confusione. Ad un certo punto, mentre se ne stava riparata in un angolo pieno di ragnatele, una voce in italiano le disse: “Portami una candela.” Quando realizzò che quello che lei credeva fosse il trovarobe si stava rivolgendo proprio a lei, sollevò dal tavolo il grande candelabro barocco d’argento e camminò lenta verso l’uomo, che cominciava a fare un passo indietro per altrettanti che Nico avanzava. A poco a poco nella stanza calò il silenzio e la gente si spostava per fare spazio, incantata dalla distaccata eleganza dell’ingenua studentessa, e lo era anche Fellini – altro che trovarobe -, l’uomo che gesticolando la invitava ad avanzare verso di lui attraverso la stanza.” Nico interpreta così una sorta di androgino Virgilio nerovestito che accompagna Marcello per i meandri delle feste della nobiltà romana. Il suo ruolo è quello di una modella svedese, destinata a diventare principessa di una casata di nobili tormentati da appetiti sessuali abnormi, depressioni psicotiche, inutili ricchezze e noia, che lavano via tutti i loro peccati la domenica, andando a messa. Con l’esclusione del matrimonio nobiliare, questo personaggio è paradigmatico rispetto alla vita di Nico in quel periodo, nel senso che le viene cucito addosso su misura, e quindi Nico si trova ad interpretare se stessa, fin dal nome. “Nicoou”, la saluta Marcello Mastroianni, facendo graziosamente il verso alle sue vocali rotonde ed allungate, che costituiscono una parte fondamentale del suo fascino. “Marcellino, bruttissimo, cattivo.”, risponde lei. Nonostante Paparazzo la stia cercando per fare un servizio di moda, lei declina l’invito, perché non fa più fotografie, da un anno. “C’è posto qui per due creature infelici?”, chiede Nicolina al proprietario di una macchina di lusso, per accompagnare Marcello alla festa. Tutti hanno con lei un atteggiamento un po’ condiscendente, tipico degli uomini quando credono di avere a che fare con delle oche svampite. Eppure, nonostante la loro condiscendenza, rimangono agganciati. “Ma che lingua parli? Di dove sei?”, chiede Marcello mentre lei monologa da sola in tedesco durante il tragitto in macchina. Il suo fidanzato nobile, Giulio, che sta alla festa seduto per terra con sguardo torvo ed aria annoiata, la saluta dicendo: “’A mignottona… chi ti ha detto di venire qua?” Nonostante la volgarità delle parole, il tono è ammirato, e sollevato, perché l’arrivo della sua valchiria gli ha visibilmente salvato la serata. Nico gli morde le dita e ride con la sua risata a cascatella che mette in fila tante piccole O. Lui la schiaffeggia sulla nuca. Le dà della cretina quando, durante la caccia ai fantasmi, lei scherza dicendo: “Giulio, sono il tuo antenato.”, con un elmo da cavaliere con celata in testa. Nonostante tutto, Nicolina è molto gelosa: mentre una delle invitate finge un momento di possessione durante la seduta spiritica invocando il nome di Giulio, Nicolina commenta: “Quella porca è innamorata di te.” La mattina, poco prima di essere sorpresi dalla principessa madre che sta andando a messa, Nicolina propone: “Andiamo a mangiare gli spaghetti, ahm-ahm.”, facendo il suono onomatopeico mitteleuropeo corrispondente a gnam gnam.Nonostante la portentosa occasione, Nico si brucia a causa della sua indisciplina. Federico Fellini è un maniaco del lavoro e non tollera assolutamente i ritardi. Dopo aver ripreso Nico una volta, inizia ad ignorarla e a trattarla male. Sicuramente non la favorisce nemmeno dietro le quinte, dove avviene una parte fondamentale della carriera di qualsiasi attore, con pubbliche relazioni, raccomandazioni e referenze, che possono essere benevole oppure rovinose. La carriera cinematografica di Nico successiva a La Dolce Vita avrà un moto parabolico. L’unico ruolo di una certa rilevanza sarà quello nel film Streap-tease, che ricalca anch’esso in parte la sua biografia. A una festa le vengono proposti fuochi d’artificio per celebrare il suo compleanno, ma lei dice di averli già avuti prima, quando era bambina durante la guerra e il cielo rosseggiava per i bombardamenti.All’inizio degli anni Sessanta Nico sta a New York, dove prende lezioni di canto e recitazione col metodo Strasberg. Fra i suoi compagni di corso c’è Marilyn Monroe. Poi un giorno si imbatte casualmente in Nico Papatakis, l’uomo a cui deve il suo nome d’arte. Il loro incontro avviene in un ristorante, nel 1960, quando Papatakis viene apostrofato da uno dei suoi commensali, e vede una ragazza bionda del tavolo di fronte che si gira ed inizia a parlargli. “Nico?” “Sì.” “Vivi a Parigi?” “Sì.” “Possiedi un nightclub?” “Sì.” “Mi chiamo Nico anch’io, ed è proprio per colpa tua.” Nico Papatakis ricorda: “Il suo aspetto era sensazionale. Non era per niente quello che si dice una bellezza classica. Era peculiare, unica. Non potevo mai stancarmi di quanto fosse eccezionale la struttura del suo viso, ritmicamente parlando. E quelle grandi ossa…” Papatakis, che a distanza di anni mantiene ancora il suo fascino distinto, è per Nico una sorta di Pigmalione: il loro rapporto è poco fisico, ma di grande stima ed affinità elettiva. Più che marito e moglie, sono come fratello e sorella, e quando qualcuno li chiama per nome, si girano entrambi. Vivono insieme per due anni.Poi, nel ’62, Nico ha un figlio da Alain Delon. Nel documentario Nico-Icon, gli amici della diva dicono che mentre lei aveva quest’infinita, distaccata eleganza, Delon era una persona grezza e volgare. Nico è convinta che Delon la sposerà, ma lui non riconosce mai nemmeno il figlio. È Papatakis l’uomo che assiste alla nascita, anche se il loro rapporto è ormai destinato a finire. I nonni paterni allevano il bambino e alla fine lo adottano, dandogli il loro cognome, Boulogne. Quando Ari è adolescente e Nico ormai è inguaribilmente tossica, i nonni le tolgono la tutela in via definitiva. “Quando l’abbiamo preso con noi, non mangiava altro che patatine fritte.” I nonni denunciano ai media l’incuria di Nico nei confronti di suo figlio, riferendo che, dopo anni di assenza, si presenta da suo figlio portandogli in dono un arancio. I nonni a loro volta sembrano indispettiti perché il bambino è abituato ad uno stile di vita nomade che non condividono, ma soprattutto per il fatto che la madre non paga gli alimenti, cosa che non dovrebbe in fondo costituire un problema per dei nonni veramente amorevoli. Nico, nel periodo della nascita di Ari, è molto presa da sé e dalla costruzione del proprio mito. A suo modo, prima dell’adozione da parte dei nonni, Nico dimostra di voler bene al bambino, non abbandonandolo, prendendosene cura, portandoselo sempre in giro. A quattro anni Ari diventa la più giovane star di Andy Warhol, comparendo assieme alla madre in Chelsea Girls. Non di meno, Nico si rivelerà poi una pessima madre, anzi, una mater terribilis di inedito livello: è lei stessa a spingere il figlio a condividere la sua tossicodipendenza da eroina. Ari racconta: “Quando andai in coma per un’overdose di roba, mia madre venne a trovarmi in ospedale. Voleva assolutamente registrare i suoni dei macchinari medici a cui ero attaccato. Voglio usarli nel prossimo disco, mi disse.” Rifiutato dal padre, considerato un peso dai nonni, manipolato dalla madre tossica, Ari sarà sempre figlio di nessuno, diventerà eroinomane e passerà la vita facendo avanti e indietro fra cliniche psichiatriche. Infine, proprio come la madre, immolerà alla droga tutta la sua bellezza e verrà dato per morto dalla stampa più volte.
In linea di massima, le dive non sono fatte per avere figli, perché il divismo non comporta l’altruismo, ma egoismo estremo e crudeltà.Dopo la nascita del bambino, Nico inizia lentamente a prendere una serie di strade che la porteranno a realizzare il suo potenziale artistico nascosto. Nel ’63 canta per la prima volta al Blue Angel di New York. La canzone è My Funny Valentine, destinata a finire nel suo ultimo disco, Camera Obscura. Nel ’64, Nico è di nuovo a Parigi, dove si imbatte in Bob Dylan. Nico ricorda che, come la maggior parte degli uomini, Dylan non la trattava molto seriamente, ma che aveva un modo di fare molto amabile, era molto giovane, bello ed interessato alla sua storia. Nico e Bob Dylan viaggiano insieme attraverso l’Europa, vanno in Grecia e Germania. In un piccolo villaggio vicino ad Atene, Dylan scrive I’ll keep it with mine, dedicata a Nico e suo figlio Ari. Ma quando sente Nico cantarla, non è molto contento. Troppo sciovinista per esserlo, sostiene lei. Dylan dedica alla permanenza dello spettro amoroso di Nico la canzone Vision of Johanna, in Blonde on Blonde.
Nel ’65 Nico frequenta Brian Jones. Riesce ad arrivare nel backstage di un concerto degli Stones grazie alla sua collega modella Zouzou, che aveva avuto una storia proprio con Jones. Nico lo ricorda come un bambino sempre voglioso di rompere ogni cosa, compreso se stesso, troppo stonato per poterci parlare di poesia e troppo pigro per essere, nonostante il talento, un vero artista. Brian Jones è molto dentro alla magia e all’esoterismo, legge in continuazione Crowley. Passa le sue giornate a drogarsi con ogni sostanza presente sul mercato e a provarsi vestiti. Spesso ha esplosioni di violenza nei confronti delle sue compagne. Nico non riferisce nulla a riguardo, ma Anita Pallemberg lo lascerà anche per questo motivo e andrà con Keith Richards. Alla fine della loro storia, Nico abortisce un figlio di Brian Jones. Dopo la sua morte, compone per lui Janitor of Lunacy. Tramite Andrew Loog Oldham, il manager degli Stones, Nico pubblica il suo primissimo 45 giri, I’m not saying, che viene prodotto dall’altro satanista fashion supremo degli anni Sessanta, Jimmy Page.
Al festival di Monterey, dove va assieme a Jones, Nico vede per la prima volta sul palco Jimi Hendrix. “Era l’uomo più sexy che avessi mai visto esibirsi. Anche Mick Jagger era d’accordo con me. Non erano le cose volgari che faceva con la chitarra, nonostante abbia apprezzato il momento in cui le ha dato fuoco. Era la sua presenza. Sembrava un gatto. Aveva un modo di muoversi estremamente elegante per essere un uomo. Era molto gentile ed affascinante. Un sangue misto indiano. Amo molto queste mescolanze di razze. Anch’io lo sono, mezza turca, mezza russa. Avremmo potuto avere dei meravigliosi bambini.” Nonostante la bugia rispetto alle proprie origini miste, questa dichiarazione sembrerebbe smentire gli orientamenti razzisti attribuiti a Nico. Nico e Jimi Hendrix passano insieme a New York un paio di notti di sesso.
_Fine prima parte_ Nella seconda parte andremo a vedere i rapporti di Nico con Andy Warhol e i Velvet Undergorund, Lou Reed, John Cale, Leonard Cohen, Jim Morrison, Iggy Pop, ed infine la carriera solista, la tossicodipendenza e la morte. _Stay Tuned!_
Bibliografia
Gabriele Lunati, Nico. Bussando alle porte del buio. Stampa Alternativa, 2006.
Gabriele Lunati, Andrea Valentini, Iggy Pop. Cuore di Napalm. Stampa Alternativa 2008.
Andy Warhol & Pat Hackett, POP. Andy Warhol racconta gli anni Sessanta. Meridiano Zero. 2004.
Legs Mcneil, Gillian McCain, Please Kill Me. Il punk nelle parole dei suoi protagonisti. Baldini e Castoldi, 2012
http://fashionartdaily.blogspot.it/2010/11/history-of-fashion-model.html#.Vh5XpyuZC6Q
http://www.warholstars.org/nico.html
http://web.archive.org/web/20080622105119/http://www.rollingstone.com/artists/nico/biography
http://nico-icon.webs.com/apps/photos/photo?photoid=148405541
http://www.amazon.com/Nico-The-Life-Lies-Icon/dp/0863696554
http://andygoss.net.au/views-reviews/nico-bios/
http://www.ondarock.it/songwriter/nico.htm
http://graham-russell.blogspot.it/2012/05/when-patti-smith-met-nico.html
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/07/23/addio-nico-la-musa.html
Grazie a Pietro Pontieri e Marianna Aldovini per i materiali e gli errata corrige.