Rattle big black bones
in the danger zone
there’s a rumblin’ groan
down below
there’s a big dark town
it’s a place I’ve found
there’s a world going on
Underground
Tom Waits
Il discorso sulla realtà in cui si muovono le giovani generazioni e sui metodi di fuga da essa, attraverso vettori che si intrecciano fra di loro, passando di stanza in stanza dal reale all’immaginario, viene espresso nello spazio perfettamente simmetrico e rinascimentale al piano terra delle Gallerie Civiche. Nel labirinto dei sotterranei, invece, viene articolata una tassonomia sulle viscere, l’interiorità, il subconscio. Negli spazi sottoterra assistiamo alle declinazioni della socialità. Se l’età giovanile è quella in cui si costruisce la propria identità, ogni identità non può prescindere dal suo corollario, l’altro. L’arena dell’alterità è proprio la vita sociale.
Le opere pittoriche presenti nei sotterranei mostrano uno sviluppo anche stilistico, dalle sfocature a distanza ravvicinata delle coppie di Paolo Maggis, ai contorni nebulosi della visuale sui rave di Francesco Zefferino, ai bagliori di metallo dei mixer di Matteo Mezzetta, fino al nitore sfavillante dell’adrenalina degli hooligans di Nicola Verlato.
La videoarte e le installazioni interattive di Francesca Ferreri, Silvia Camagni, Colette Baraldi ed auroraMeccanica riprendono, tramite i nuovi media, le tematiche dell’euforia visionaria delle feste, della solitudine, della sensualità e del rapporto con gli altri.
IL SOGGETTO E LA SOCIALITA’ ___
Francesca Ferreri
Vorrei una discoteca labirinto
Bianca senza luci colorate
Grande un centinaio di chilometri
Dalla quale non si possa uscire
Subsonica, Discolabirinto
Il Cervello | è più ampio del Cielo.
Emily Dickinson
Insane in da membrane
Insane in the brain
Insane in da membrane
Crazy insane, got no brain
Insane in da membrane
Insane in the brain
Cypress Hill, Insane in the Brain
Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore.
Haruki Murakami
Francesca Ferreri compone video minimali e potenti che hanno come fulcro l’icona anatomica del cervello. I meandri della sua corteccia sembrano i tracciati di un labirinto. I cervelli di Ferreri giocano da soli, trasfigurandosi in oggetti diversi a seconda di stimoli e voglie, perdendosi in monologhi amletici su ciò che bisogna fare, rimandando all’infinito le proprie decisioni. Altrimenti, possono interagire con altri cervelli, e fondersi con essi. “I bambini alfa sono vestiti di grigio, lavorano più di noi e sono tanto tanto intelligenti. Sono veramente contento di essere un beta, ma non voglio giocare con i bambini delta, e gli ipsilon sono ancora peggio.” dice la voce del video Brainflower, rievocando la società di caste su base scientifica de Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley. In questo video la socialità viene mostrata nella sua natura classista e razzista, e viene evidenziato come questo paradigma onnipresente faccia parte degli insegnamenti da assimilare in giovane età. Happy Birthday rappresenta le inter-relazioni come una patologia ideata da David Cronenberg: disgustosi tentacoli vengono srotolati da un cervello all’altro, si compenetrano e si infine si fondono in un caleidoscopio di intrecci. L’epilogo non può essere che un osceno distacco. I cervelli di Francesca Ferreri rappresentano intere galassie di senso, l’io, il mondo, gli altri, e i modi in cui questi infiniti si possano declinare fra di loro.
SOCIALITA’ DI MASSA, LA FESTA __
Francesco Zefferino, Matteo Mezzetta, Colette Baraldi
Festa! Ma che bella, ma che bella, questa festa
Ma che bella, ma che bella, questa festa
Questa festa, questa festa, senza te.
Raffaella Carrà
Lavorare è meno noioso che divertirsi.
Charles Baudelaire
Complimenti per la festa! Una festa del cazzo
Sei così cara e inutile, mia dolce creatura immobile
Marlene Kuntz, Festa Mesta
Cause we like to party, hey hey hey
Cause we like to party, hey hey hey
Beyoncèe
Burn down the disco, hang the blessed dj,
cause the music they constantly play
it says nothing to me about my life
Hang the blessed dj, hang the dj, hang the dj, hang the dj
The Smiths, Panic
La festa migliore è quella che finisce prima
Jane Austen
Una socialità piena, eccesiva, suppurativa quella che si riscontra nel rituale per eccellenza dei giovani, la festa, dentro ai santuari dei rave e alle discoteche. Francesco Zefferino rappresenta interni di locali stipati di persone, ammassate le une sulle altre, ma separate in singoli o piccoli gruppi per quello che riguarda le posture e gli sguardi. I soggetti delle sue opere sono giovani ben vestiti, appena usciti dal parrucchiere, con espressioni ebbre, stanche, contratte negli spasmi involontari degli eccitanti. Tutti sembrano sul punto di perdere il controllo, della propria testa e della propria immagine. Queste discoteche risultano stranamente simili ai vagoni della metropolitana, che non a caso costituiscono il soggetto di un’altra serie dell’artista. Zefferino ci mostra come i templi dell’edonismo e del divertimento della meglio gioventù siano spesso luoghi di noia ed isolamento, stemperati appena dagli stati di alterazione degli utenti.
A fare da contraltare, le opere di Matteo Mezzetta, che raffigurano il cuore pulsante di tutti i party, ovvero il dj e tutta la sua strumentazione. Figura sociale relativamente giovane, ancora di più della fotomodella, il dj può auspicare ad una carriera che lo porti alle vette dorate dell’establishment più cool. MC, uno degli appellativi della prima generazione di dj americani, significa Master of Ceremonies, e svela la natura rituale di tutto ciò che ruota intorno all’industria delle discoteche e ai rave, spesso simili a vere feste pagane. Questi contenuti para-religiosi vengono allusi da Mezzetta in opere quasi severe, metalliche, in cui il mixer diventa la versione contemporanea dell’ostensorio. Colette Baraldi utilizza un nuovo medium, da pochi anni integrato nell’ambiente delle feste, ovvero il visual set. Immagini campionate dall’infinito repertorio visivo della nostra cultura _ dai film underground, a servizi soft-core degli anni Settanta fino alle immagini pubblicitarie e alle opere d’arte manipolate _ si fondono ritmicamente in un caleidoscopio psichedelico amalgamato in performance dal vivo, fatte a partire dalla musica proposta dal dj. Probabilmente il punto di partenza dei visual si trova negli spettacoli di luci di Bill Ham e del collettivo della Family Dog, allestiti nel Red Dog Saloon, all’Avalon e negli altri locali hippy della San Francisco degli anni Sessanta, come degno accompagnamento ai concerti dei Jefferson Airplane e dei Grateful Dead. I visual set propriamente detti hanno preso piede negli anni Novanta con la diffusione della tecnologia informatica, inizialmente come sottofondo nelle feste goa-trance illegali, e poi via via sempre più spesso nelle discoteche di tendenza. Colette Baraldi estrapola il visual-set dai suoi contesti abituali, per ricontestualizzarlo e dargli la giusta attenzione all’interno di uno spazio deputato alla fruizione dell’arte.
SOCIALITA’ DI MASSA , IL TUMULTO __
Nicola Verlato
Teenage riot in a public station
Gonna fight and tear it up in a hypernation for you
Sonic Youth, Teenage Riot
Il rugby è una buona occasione per tenere lontani trenta energumeni dal centro della città.
Oscar Wilde
Beat on the brat
Beat on the brat
Beat on the brat with a baseball bat
Oh yeah, oh yeah, uh-oh
The Ramones
Bamba aveva una lunghissima cricchia o catena cinebrivido girata due volte intorno alla vita, e la srotolò ed iniziò a sbatterla nei fari che era una vera bellezza. Pete e Georgie avevano dei begli sgarzi affilati, ma io da parte mia avevo un’ottima lisca tagliagola, bigia ma cinebrivido, e a quei tempi la sapevo far lampeggiare da vero artista.
Alex, Arancia Meccanica
Hu Huligani dangereux
Huligani dangereux
Huligani dangereux
CCCP
Peace and Conflict Studies è una nuova branca dei Cultural Studies che studia le dinamiche della violenza: il culto della violenza e la sua estetizzazione – che sia nell’ambito del cinema tarantiniano o negli scenari dei crimini degli assassini seriali – la violenza strutturale, la violenza diretta, la violenza simbolica. La violenza è anche una delle metodologie di relazione tipiche della giovinezza, nel momento in cui si scoprono le potenzialità distruttive del proprio corpo. Nella serie degli Hooligans, Nicola Verlato rappresenta i grovigli di corpi dei tumulti di strada, e trova i suoi modelli estetici nelle anatomie degli ignudi di Michelangelo, oppure, ancora prima, nel fregio di Pergamo raffigurante le lotte fra gli dei olimpici e i giganti. Rifacendosi alla statuaria ellenistica e manierista, Verlato congela i corpi degli hooligans nel momento di massima tensione, in una rappresentazione epica del corpo in un contesto di guerriglia urbana. Il corpo e la violenza sono una coppia inscindibile, poiché una parte e trova il proprio focus nell’altro. Ugualmente inscindibili sono la violenza e la sua rappresentazione, che sia per monito, sfoggio di potere, scandalo mediatico, compiacimento estetizzante. Il lavoro di Nicola Verlato si focalizza su queste inseparabili coppie, accanto alla dicotomia che unisce la violenza alla giovinezza.
SOCIALITA’ IRRELATA, LA SOLITUDINE __
AURORAMECCANICA
All the modern things Have always existed
They’ve just been waiting To come out
And multiply And take over
It’s their turn now…
Biork, Modern Things
But if you could just see the beauty,
These things I could never describe,
These pleasures a wayward distraction,
This is my one lucky prize.
Isolation, isolation, isolation, isolation, isolation.
Joy Division
Niente.
l’interspazio comporta esseri inenarrabili
Miriadi di Miriadi
innumerevoli innumerabili
Coinvolge cielo e terra e Trabocca dal cuore
Giovanni Lindo Ferretti, Contatto
Touch me
every minute, please touch me
Oh I see you pass my way again
and your call, call yourself my friend
Bob Marley
Marly era persa nella scatola, evocatrice di impossibili distanze, di perdite e di desideri. Era triste, delicata, in qualche infantile maniera. Conteneva sette oggetti.Un osso sottile e scanalato, senza dubbio creato per il volo, senza dubbio l’ala di qualche grande uccello. Tre arcaiche schede di circuiti, ricoperte di labirinti dorati. Una sfera di terracotta, bianca e liscia. Un lembo di pizzo, annerito dal tempo. Un frammento lungo un dito di quello che sembrava l’osso di un polso umano, bianco-grigiastro, in cui era inserita l’asta al silicio di un piccolo strumento che un tempo doveva essere a livello della pelle … ma la superficie della cosa era bruciacchiata e annerita.
La scatola era un universo, una poesia, pietrificata ai confini dell’esperienza umana.
William Gibson, Giù nel Cyberspazio
auroraMeccanica. Suona un po’ come Invernomuto, l’intelligenza artificiale protagonista di Neuromante, il romanzo capostipite del genere cyberpunk. D’altra parte il suo autore, William Gibson, ha sempre avuto una focale molto sofisticata ed attenta sull’universo dell’arte. Giù nel Cyberspazio, L’accademia dei Sogni, Guerreros sono tutti romanzi in cui le opere di auroraMeccanica troverebbero una collocazione perfetta.
auroraMeccanica è un nome che racchiude una dichiarazione d’intenti. In mezzo c’è l’idea della luce, il medium di cui sono composte le opere, l’idea di qualcosa di nuovo come la nascita di un nuovo giorno, e l’idea dell’hardware, della macchina. Il collettivo auroraMeccanica opera nel settore delle installazioni interattive, in cui la presenza e l’operato degli spettatori mette in moto le dinamiche di sviluppo delle installazioni. Tutto ciò avviene grazie ad un sistema di proiezioni collegate al software Arduino, una rivoluzionaria scheda che ha ingressi ed uscite sia digitali che analogiche, e ai sensori IR, che rilevano la luminosità infrarossa riflessa dagli oggetti che entrano nel loro campo visivo, e la variabilità dei loro spostamenti. Questo sistema genera delle narrazioni coinvolgenti, che inducono nello spettatore uno stato di meraviglia difficile da riscontrare all’interno delle gallerie d’arte.
Passaggi di Stato è un lavoro sulla solitudine e sulle modalità patologiche con cui i prodotti di consumo sostituiscono il vuoto degli affetti. Proiettata sullo schermo, sdraiata su un fondo nero, appare una ragazza. La ragazza si sposta in stop-motion con movenze ticchettanti, e appare schiacciata sul suo supporto come se fosse priva di ossa, o persa in decubiti depressivi. Non appena uno spettatore le passa davanti, lei bussa contro il vetro dello schermo. Ma nessuno degli esseri umani presenti sa come rispondere, e quindi dai bordi del campo arrivano gli oggetti. Pacchetti di Fonzies e Pringles, barrette di Duplo, cd di Vasco Rossi, collane, vestiti, bestseller di Dan Brown, cuffie da stereo, la Sacra Bibbia, cose per riempire la vita. Le cose zampettano intorno alla ragazza, la ricoprono come una coltre sotto la quale dormire per sempre. Si sente un rumore di masticazione. Se qualcuno degli spettatori è abbastanza sensibile per capire che le cose stanno fagocitando la ragazza, ed abbastanza coraggioso per toccarla, tutti gli oggetti ricadranno sul perimetro più basso dell’inquadratura. La ragazza salirà in alto, abbandonando in ultimo anche il vestito che indossava. Passaggi di Stato è una metafora sull’isolamento, sulla ricerca di contatto con gli altri e sui modi in cui questa ricerca può avere successo, oppure fallire.
SOCIALITA’ IRRELATA, IL NARCISISMO ___
Silvia Camagni
Nell’acqua ciò che è intorno a me
si specchia con me
riflesso in un’immagine
che si anima di quello che anima me.
Marlene Kuntz, La Lira di Narciso
Ma era bello Narciso? – disse lo stagno.
Chi potrebbe saperlo meglio di te? – risposero le Oreadi.
Ci passava sempre davanti, ma cercava te e si stendeva sulle tue rive e guardava dentro di te e nello specchio delle tue acque specchiava la propria bellezza. –
Allora lo stagno rispose: – Ma io amavo Narciso perché, mentre egli se ne stava disteso sulle mie rive e mi guardava,
nello specchio dei suoi occhi io vedevo sempre specchiata la mia bellezza –
Oscar Wilde, Il discepolo
So crucify the ego, before it’s far too late
Tool, Reflections
La versione greca del mito di Narciso era una sorta di apologo morale, per dissuadere i giovani a disdegnare troppo chi si innamorava di loro. Da Caravaggio, a Waterhouse, fino a Dalì, Narciso è un topos con cui l’arte occidentale si è sempre confrontata. Nel video di Silvia Camagni, Even if Narcissus is Dead, Narciso ha un corpo giovanissimo ed androgino. Appare e sorride nello scenario di Alexander Platz, a Berlino, la meta di fuga di tutta la gioventù europea contemporanea. Dietro di lui la Fernsehturm, puntata verso il cielo come un’acuminata astronave, e la ruota panoramica, per vedere lontano, per poter giocare col proprio destino. Le giostre illuminate girano sopra la testa di Narciso come le lancette di un orologio. Finchè si trova in esterno, preso dai percorsi del suo viaggio, la prospettiva del protagonista è ariosa e mobile. Poi, in una livida stanza da bagno, dalla quale è impossibile uscire, emergono le patologie. L’irrisolvibilità del rapporto con una madre invasiva blocca lo sviluppo della socialità di Narciso nella malattia a cui ha dato il nome, che lo porta all’isolamento, e al naufragio dentro la contemplazione della propria sterile bellezza.
SOCIALITA’ IRRELATA, IL SUICIDIO __
Paolo Maggis
In a room with a window in the corner I found truth
Joy Division, Shadowplay
Lasciami dormire ancora
Sto soltanto riposando
Faust’o, Suicidio
One of these mornings
You’re gonna rise, rise up singing,
You’re gonna spread your wings, child,
And take, take to the sky,
Lord, the sky.
But until that morning,
Honey, n-n-nothing’s going to harm ya,
No, no, no no, no no, no…
Don’t you cry — cry.
Janis Joplin
Poi salii sul davanzale, mentre la musica imperversava alla mia sinistra, chiusi i fari e sentii il vento freddo sulla biffa, poi saltai.
Alex, Arancia Meccanica
Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi.
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere
La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici
Ultimo biglietto di Vladimir Majakovski
Luigi Tenco aveva ventinove anni. Kurt Cobain ventisette. Ian Curtis ventitrè. L’azionista viennese Rudolf Schwartzkogler si gettò giù dalla finestra della sua camera da letto a ventinove anni. Stesso metodo di Francesca Woodman, che però lo fece a ventidue anni. Jacques Vachè, proto-performer e poeta, compì quella che Breton definirà una “manifestazione di surrealismo integrale” a ventiquattro anni, con l’aiuto del laudano. Il drammaturgo romantico Von Kleist lo fece a trentaquattro, Carlo Michelstaedter, poeta e filosofo, a ventitrè. Majakovskij, devastato dal reale esito della Rivoluzione d’Ottobre, a trentasette. Sylvia Plath, grande poetessa statunitense, a trentuno.
I giovani, assieme agli anziani, sono statisticamente le categorie d’età più colpite dal suicidio. Ma, diversamente dai secoli scorsi, i giovani trionfano in questo campo. Le stime mondiali parlano di un milione di morti all’anno, e del fatto che il suicidio rappresenti in graduatoria la terza causa di decesso fra la popolazione giovanile. L’assenza di una prospettiva reale per il futuro colpisce chi si affaccia sul mondo più di chi sta per andarsene. La serie CO2 di Paolo Maggis rappresenta una serie di inquadrature sempre più ravvicinate su un tavolo obitoriale, sul quale è sdraiato il corpo di un amico morto per propria mano. Questo vertiginoso blow-up sul viso del soggetto è come un tentativo di analisi, una frase interrogativa sull’ultimo messaggio lasciato. Perché l’ultimo messaggio dei morti è sempre costituito dal loro sembiante, dall’ultima, immobile forma, dalla loro espressione. Il suicidio può avere mille motivazioni contingenti, il crollo delle difese, la delusione, un livello di stress intollerabile. La struttura portante di base, però, è sempre la stessa, ovvero un senso di fallimento nelle interazioni con gli altri, un’incapacità di collocarsi fra loro che sia all’altezza dei propri desideri. Paolo Maggis non distoglie lo sguardo, mostra l’enormità e l’evidenza della morte con pennellate grevi e vischiose, per dimostrare ancora una volta l’impenetrabilità del mistero doloroso del suicidio.
SOCIALITA’ DI COPPIA, IL SESSO __
PAOLO MAGGIS
Love is a burning thing and it makes a fiery ring
Bound by wild desires I fell into a ring of fire
Johnny Cash, Ring of Fire
Well, shake it up, baby, now, (shake it up, baby)
Twist and shout. (twist and shout)
Cmon cmon, cmon, cmon, baby, now, (come on baby)
Come on and work it on out. (work it on out)
The Beatles
io giacevo supina come una mosca imbrattata di
miele. Lui era il mio re debolissimo e io la sua regina imbrattata
di sangue. Tu sei il mio re debolissimo imbrattato di porpora!
Amelia Rosselli
My whole existence is done
You make me closer to god
Nine Inch Nails, Closer
Il sesso è un altro rituale di passaggio che segna l’inizio della giovinezza. Il sesso è comunicazione, ed è ascrivibile alle pratiche della socialità, perché rientra nelle dinamiche della coppia. Paolo Maggis lo rappresenta in opere materiche, tattili, sfocate per la distanza ravvicinata, il cui stile esecutivo suggerisce l’esperienza raffigurata. Proprio in questa natura sinestetica, nello svincolarsi dal mero dato visivo, sta la forza del suo linguaggio. L’uso del fuori fuoco nella serie Nathalie’s Dream ricorda il bacio più erotico della storia del cinema, nel capolavoro sperimentale Du sag de la volupté ed de la mort, di Gregory Markopulous, uno degli inventori del New American Cinema. Un bacio al rallentatore, in cui i due amanti all’inizio si sfiorano appena. Poi, appena la passione cresce, il dettaglio sui volti si fa più serrato, finchè l’inquadratura non si sfoca a causa della vicinanza. Questo perché il cinema, assieme alla figurazione, sono narrazioni, mentre sesso si colloca fuori da ogni rendering narrativo, non può essere messo in sequenza né in racconto, pena l’oscenità. Paolo Maggis, grazie all’iconicità e alla sintesi del suo stile, riesce ad evocare ciò che non è rappresentabile.
SOCIALITA’ DI COPPIA, LE DINAMICHE DI GENERE __
SILVIA CAMAGNI
Egli, poiché dubbio non v’era sul suo sesso, per quanto la foggia di quei tempi alquanto lo dissimulasse, stava prendendo a piattonate la testa di un moro, che dondolava appesa alle travi del soffitto.
Virginia Woolf, Orlando
Era quindi giusto che i sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso.
Papa Gregorio I
Scuote l’anima mia Eros | come vento sul monte | che irrompe entro le querce | e scioglie le membra e le agita, | dolce- amara, indomabile belva.
Saffo
Le suddette persone [gli omosessuali] si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi fra uomini e donne.
Cura pastorale delle persone omosessuali, Joseph Ratzinger
Non ricordo se la mia prima esperienza fu omosessuale o eterosessuale: sono sempre stato troppo educato per fare domande.
Gore Vidal
Meglio essere appassionato di belle ragazze che gay.
Silvio Berlusconi
Gli omosessuali sarebbero i migliori mariti del mondo, se non recitassero la commedia di essere donnaioli.
Marcel Proust, Albertine scomparsa, 1927
Meglio fascista che frocio.
Alessandra Mussolini
Sei giunta: hai fatto bene: io ti bramavo. All’animo mio, che brucia di passione, hai dato refrigerio.
Saffo
Che cosa dobbiamo fare? Quello che dobbiamo fare è distruggere i nostri archetipi.
Genesis P-Orridge
L’amore non è un sentimento rispettabile.
Colette, Sido, 1930
Eterosessuali canonici, omosessuali, omosessuali tentati dalla transessualità, coppie eterosessuali composte da bisessuali. Il video Amore mostruoso di Silvia Camagni è stato realizzato partendo da interviste a coppie di vari generi ed orientamenti, in cui ogni componente è chiamato a dire la sua sull’amore, sul sesso, e sulla propria concezione dello stare insieme. Nell’opera si crea un dialogo fra le dichiarazioni di chi racconta il proprio intimo e le sirene perbeniste della vox populi. Da una parte la delicatezza e la profondità di chi parla del proprio io nel suo rapportarsi all’altro, del proprio essere sincronico di storia personale, desiderio, mente. Dall’altra parte, l’ottusità becera dei discorsi da bar, che sono in realtà proclami di politici, o citazioni di testi religiosi. Su tutto, un penetrante sibilo di disturbo che rappresenta la volontà media di non sentire, non capire e non confrontarsi con ciò che è diverso. Il rumore cresce fino a confondere i messaggi, e su tutto rimane il ricordo di un sensuale caos e l’epigrafe finale, che definisce la sessualità come un mare, difficile da percorrere in piena libertà. Amore Mostruoso, costituisce la chiusa ideale alle teoriche sulla giovinezza di NADSAT, e riprende in maniera figurata il finale di Arancia Meccanica, in cui Alex riflette sul fatto che sta diventando vecchio perché avverte la necessità di trovarsi una compagna, e di farla finita una volta per tutte con l’ultraviolenza.
“E tutto per via che ero giovane. Ma ora che sto finendo questa storia, fratelli, non sono giovane, non più, oh no. Alex sta tipo maturando, oh sì.”
NADSAT, inaugurazione sabato 24 marzo 2012 presso Gallerie Civiche di Palazzo Ducale, Pavullo nel Frignano (MO), piazza Montecuccoli 1.
Dj set GGang, Visual Set Colette Baraldi
Artisti esposti: auroraMeccanica, Salvo Alessi, Colette Baraldi, Gianluca Bernardini, Stefania Cavicchi, Silvia Camagni, Dado, Francesco D’Isa, Francesca Ferreri, stella (Stefania Gagliano), Angela Loveday, Paolo Maggis, Luigi Massari, Matteo Mezzetta, Niba, Emanuele Puzziello, Andrea Simoncini Gibson, Fabio Viale, Nicola Verlato, Massimiliano Zaffino, Francesco Zefferino, Claudia Zicari.
un progetto a cura di Luiza Samanda Turrini
a cura di Luiza Samanda Turrini e Paolo Donini
Patrocini: Comune di Pavullo nel Frignano, Associazione Culturale Arscenica, Drago Lab, Laboratorio di Altre Scritture