Colorazioni trendy, abbinamenti basici fra giallo e nero. Pattini a quattro ruote su scarponcini simil-Nike anni Ottanta. Dita che formano il segno della vittoria, ergendosi su braccia intrecciate fra di loro tipo elica del Dna.Mark Gmehling rappresenta degli esseri gommosi, una sorta di umanità vista attraverso il filtro di una droga psichedelica che rivela e confonde.Le loro membra formano un continuum fluido, privo di articolazioni, e loro sembrano un campionario di prodotti, di toys di ultima generazione. Una creatura selvaggia con la gonna di paglia, l’osso nel setto nasale, e gli strumenti del cannibale raffinato, ovvero coltello e forchetta a misura d’uomo.
Un guru con barba e capelli Sixtie ricoperto di elegante tartan grigio in stile Carhartt. La posizione yogica in cui è accomodato si richiama alla fibbia della sua cintura, un simbolo dell’infinito ribadito nelle scritte forever and ever. Adidas e catene da Run D’M’C, membra intrecciate come un accordo anulare, e il logo di New York City. Un totem bianco con piume da pellerossa. Arti fluidi, flessibili come scivoli di parchi acquatici. Unghie nere, dita medie, corna, segni della vittoria. Sneakers che si trasformano in mitrie vescovili, di un genio che invece di scaturire dalla lampada viene fuori da un tubetto di colore. Una creatura verde con tentacoli a ventosa e colletto di pizzo bianco.
Un chicano in mutande, canottiera, ciabatte e calzino di spugna. Uno spettro porcino e tondo come un pallone, che viene fuori da un pacchetto di patatine Mc Donald’s.
Gmehling rappresenta un’umanità informe, riconoscibile ed identificabile solo dai segni distintivi del fashion system, che sia main stream o contro-culturale. Il suo lavoro si imposta sugli stereotipi: il funky man a rotelle, il chicano burino, il danaroso guru di strada, il break dancer gommoso, l’alto sacerdote del writing, il metallaro rosso come l’inferno, il santone delle arti marziali, il genio dei concerti amplificati. Gmehling mette alla berlina i prototipi della gestualità cool: fumare la sigaretta, scattare la foto, stare a guardare e farsi guardare.
La serie delle creature col flute di prosecco in mano sembra radiografare la fauna che viene solitamente ai vernissage: la patita del fetish e delle modificazioni corporali, il reduce burroughsiano giallo e coperto di formiche, il neo-tribale, la simil-Paris Hilton con capelli biondi e bottoni dorati, la fatalona piercata, la pseudo-punk con la messa in piega impeccabile. Mark Gmehling mette a nudo l’anima delle persone alla moda, rendendola finalmente commerciabile come tutto il resto che forma la loro identità.
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