Il carnevale, le immagini da circo e le funzioni della chiesa cattolica
mi sembrano tutti lo stesso, grande,
raccapricciante teatro .
Liz McGrath
Una corte di creaturine striscianti, scappate dalla Città di Goblin di Labyrinth. Occhi grandi, ali da pipistrello, dentini aguzzi in un muso da Muppet Show. Molto prima della Sposa Cadavere, carni di porcellana blu, cuciture, pezzi mancanti: sono bambole con troppa esperienza, membra lunghe e occhioni gialli. Come i gatti, o come una Betty Boop con troppi oppiacei e casse di gin alle spalle.
Liz McGrath utilizza il padiglione dei freaks come contenitore ideale del suo immaginario.
Da sempre l’arte riflette sui supporti della visione e sulla loro storia. Manoscritti miniati, meta-teatro, trompe-l’oeil, fotografie impostate come quadri barocchi, meta-cinema, video-arte, net art. Performance religiose, rituali catartici, finestre su uno spazio che non esiste, il palcoscenico, i tre schermi di cinema, tv e personal computer, fino ad arrivare alle intrusioni 3D. Una delle stazioni laterali di questo percorso è stato proprio il freak show: persone che pagavano per guardare negli occhi loro simili sfigurati dalla sorte e dalla natura. Ciò che non sarebbe dovuto esserci, il lato oscuro del loro io. Il freak vive un supplizio senza soluzione di continuità, come i martiri cristiani congelati nella storia dell’arte. Però dal vivo. Guardare la sofferenza è come spiare i misteri della morte. Prima della schermata televisiva, il freak show era una mostra delle atrocità più legittima, in presenza.
Lo scandalo, la paura, il confronto con la nostra ombra sono da sempre ingredienti imprescindibili dell’arte.
La crocerossina Frankie Machine ha lasciato le sue gambe al fronte, dal ginocchio in giù, e le ha dovute sostituire con una gabbia a crinolina. Ora Frankie può bene affermare: “Nemo liber est qui corpori servit”.
Anche la Signorina Piede di Zucchero ha la stessa mutilazione, fatta tramite un’ascia. Ha sopperito innestandosi su un lama a rotelle, dagli occhi dolci some i suoi piedi mancanti.
Alpha Centauri ha due piccole corna e una sorellina che non si è voluta staccare da lei.
Monsieur Poulard è un ragazzo-uccello, con mantello e sigaro, amico di Ricky, il ragazzo squalo.
Liz McGrath rappresenta spesso animali freak, caricando al quadrato la valenza altra del soggetto. Prima della macchina, l’animale era il polo opposto dell’umano, in cui l’umano si specchiava e riversava le caratteristiche inaccettabili: lussuria, violenza, “bestialità”. Guardiamo il riflesso con più coraggio e onestà se ci fanno credere che quelli non siamo noi.
Un cerbiatto rosa con tre teste, una curiosa, una stolida, l’altra diffidente. Sul suo fianco è scavato un cammeo con un maestoso cervo con corna ramificate, cioè quello che il mostriciattolo vorrebbe essere, e che non sarà mai.
Animali che diventano emblemi di biografie umane: la giraffa marinaio, con collo tatuato e maglietta Gaultier, abitata a guardare lontano, è finita immobilizzata nel trofeo di qualcuno.
Un coniglietto blu come la tristezza, con occhi da cane abbandonato, sbavati di pianto.
Vittime sacrificali vestite a festa per il sacrificio, maiali e cavalli divisi in sezione.
Il trofeo di un orso con occhi d’ambra, sacro-cuore. Una delle sue due teste urla e piange.
Liz McGrath scava negli strati della storia della visione, proponendo scatole gioiello, a metà strada fra il teatro di vaudeville di inizio Novecento e le edicole religiose. Li chiama diorami, come i dispositivi tridimensionali che hanno fatto da confine fra quadro e cinema.
Dentro colloca gemelle in tutù di tulle bianco con occhi spiritati e bicolori, accompagnate da lemuri e roditori volanti. Sui loro corpicini fantasma, le stimmate della passione.
Intorno, un gotico arabescato alla Tim Burton.
Una creatura scheletrita, con rami che spuntano dal corpo e veste nera, tiene in braccio le ossa di un uccello appena uscito dall’uovo, come se fosse un bambino. In Honey Creeper McGrath mischia l’iconografia della Madonna e quella della Grande Madre, sposandole ad un’estetica cimiteriale da secolo Decimo Nono.
Quest’esplorazione dei recessi dell’iconologia cattolica si ritrova in altre opere, come il bianco cadavere vampiro, scavato dai buchi e rinchiuso in una bara a forma di croce di Truth Decay.
Un’attitudine che trae origine dai trascorsi di McGrath, bambina punk in conflitto perenne con i genitori, un ex prete ed una ex suora, che a tredici anni la rinchiusero in un collegio di fondamentalisti battisti circondato dal filo spinato. Lì Liz imparò la disciplina, e un sacco di cose paurose sulla Bibbia.
La Regina dell’Inanimato ha le labbra blu, e uno scorpione che sorregge un rubino in mezzo ai suoi occhi. In mano tiene un piccolo feto deforme e bicefalo, intento a leggere un libro contrassegnato dal numero sette.
Come il settimo sigillo da spezzare, per avere la rivelazione finale.
Per mostrarci la sacralità del mostro. Per farci capire che il mostro siamo noi.
Pubblicato il 22 novembre 2010 su Lobodilattice