Con opere di Castelli, Hirsch, Giusti, Mac Mazzieri, Martinez, Andersen, Antonello, Orsi, Zaffino, Gurnari, Nannini.
L’altra donna. Ma quale? Potrebbe essere quella della vulgata popolare, quella più o meno nascosta, fuori dalla regola, l’altra donna di cui non si può fare a meno, l’amante. Oppure l’autre femme nello Speculum di Luce Irigaray, la grande teorica femminista della differenza. L’altra, perché la donna rimane un’alterità irriducibile al sistema socio-culturale progettato dall’uomo, ma anche perché esiste un universo femminile che sta sotto alle deformazioni dell’ordine simbolico maschile. Un’altra donna, nascosta dai cliché di desiderabilità programmata, passività ed inferiorità attraverso cui il secondo sesso è stato generalmente rappresentato.
La collettiva L’Altra Donna si struttura su due binari complementari. Da una parte, una figurazione femminile patinata, elegante, priva di difetti ma spesso percorsa da sotterranee nevrosi. Dall’altra una rappresentazione più viscerale, intensa, realistica. Ad unire i due poli, un arcipelago di opere cerebrali e sofisticate, in cui la speculazione intellettuale di fondo è stemperata sempre da un’ironia leggera e giocosa.Alberto Castelli raffigura un’algida bellezza con capelli rossi e pelle color latte, unghie laccate di rosso scuro e labbra dischiuse. On the Rockin Chair, per un magnetismo freddo, lo stesso delle dive hollywoodiane di ultima generazione, da Tilda Swinton a Kate Blanchett. I ritratti di Castelli hanno come contenuto centrale un ideale di bellezza quasi intoccabile, oscillante fra la malinconia, la carica espressionista e l’inespressività, ma sempre e comunque visto attraverso la focale dell’attrazione. Deborah Hirsch stringe un primissimo piano su un volto con occhi liquidi e morbide labbra, illuminato dalla luce di un sole in procinto di sorgere o tramontare. La sua bellezza, la luce calda che lo investe, la prospettiva fortemente ravvicinata dovrebbero iscrivere il soggetto nella sfera dell’eros, ma, non di meno, la sua fissità, quella stereotipia espressiva da servizio fotografico glamour lo proiettano in un orizzonte di finzione. Come se la modella ritratta fosse una bambola, oppure un corpo senza vita.
Giorgio Sebastiano Giusti attinge dal patrimonio archetipico, per rappresentare i mostri del desiderio. Una demoniaca gigantessa in autoreggenti, pronta a dar fuoco ad un nano di carta.
Una chimera con testa di uccello strigiforme, pantaloni maschili e rospo al guinzaglio.Anche Walter Mac Mazzieri indaga sulle figure ancestrali dell’immaginario, sdraiando una divinità con testa di uccello in un grandioso paesaggio, in cui spicca il guscio di una chiocciola. Questa spirale rappresenta gli eterni ritorni del tempo di matrice femminile, il concetto della casa, e il potere di generare. Non a caso, al fianco alla dea coricata, c’è un piccolo uomo, con funzione di paredro.
Massimiliano Zaffino si confronta con il topos delle bagnanti – presente nella storia dell’arte dalle ninfe classiche fino a Cezanne ed oltre – riproducendo tre ragazze con costumi da bagno Calzedonia e Golden Point su una spiaggia di scogli scorporati dalla luce.Nella figurazione del femminile di Zaffino emergono sentimenti poco seducenti e scomodi, come la tristezza di Valentina, o l’inadeguatezza nevrotica della madre di In the Toilet, che si atteggia da mannequin in un bagno dai colori gelidi, stringendo convulsamente un guanto e dando le spalle ad un figlio senza volto.Nicola Nannini indaga il sistema dei segni distintivi dell’abbigliamento e dell’oggettistica personale, in ritratti segnaletici, spesso convergenti in ottiche di impietoso iperrealismo.Karin Andersen manda alla deriva nello spazio una creatura in tutto e per tutto altra. Di un altro pianeta, di un’altra specie. Questo celeste ibrido cita la canzone di David Bowie sulla vertigine cosmica Space Oddity, che fu scritta nell’anno dello sbarco sulla luna. Uomo/donna, uomo/animale, terrestre/alieno. Il Major Tom di Andersen occupa con leggerezza fluttuante lo spazio sulla barra che divide gli opposti.
Massimo Gurnari compone un rebus di elementi molteplici. Risate di pin-up hollywodiane. Una sagoma corporea da spettacolo di burlesque, con bustino stretto in vita, capelli rossi e guanti al gomito, in stile Rita Hayworth. Una braciola di carne. Dettagli di piedi femminili calzati in tacchi vertiginosi. Un principe azzurro sul cavallo, che sotto l’armatura da cavaliere senza macchia nasconde il teschio della morte.Sul vero aspetto degli stereotipi dell’amore romantico lavora anche Florencia Martinez: il Principe Azzurro è un maiale con un’anomalia di pigmentazione cutanea, per il resto in tutto e per tutto identico agli altri del branco.La regina della casa è una donna crocefissa in un cucinotto scalcinato: le gambe sono fasciate, perché non può scappare, la bocca è imbavagliata, perché la sua parola non conta. Bene in evidenza invece gli attributi sessuali e gli occhi, organi di senso passivi ed ornamento del volto. L’artista dedica un’opera di sintesi statuaria alle madri dei desaparecidos di Plaza di Mayo, quelle donne con la testa velata di bianco che ebbero il coraggio di denunciare le atrocità del regime militare argentino.
Del tema della maternità si occupa anche Philippe Antonello, in un progetto di grande suggestione che affianca due processi creativi. Da una parte i nove mesi di gravidanza della moglie, dall’altra il lavoro dell’artista, che ogni giorno le scatta una fotografia. Antonello documenta tutto, anche i momenti di stanchezza e depressione. È come se in ognuna di queste fotografie la realtà quotidiana si componesse in allegorie arcane, unicamente per il fatto di avere una donna incinta come protagonista. Il mistero della nascita diventa di volta in volta emblema dello scorrere del tempo, della connessione fra generazioni, del mutamento del corpo, della bellezza della natura, della catastrofe, dell’amore.
Fabrizio Orsi spoglia la sua compagna in un piano americano a tre quarti su fondo nero. La potenza di quest’opera invalida tutte le regole mediatiche e culturali sulla perfezione corporea, sulla giovinezza a tutti i costi, sull’affettazione del desiderio, e dimostra che esiste un ideale di bellezza che non teme il tempo e le sue cicatrici. Ecco l’altra donna.
Testo critico e curatela della mostra L’Altra Donna, inaugurazione 12 marzo 2011 presso Paggeria Arte, Link