Il rituale d’oltremanica si compie tradizionalmente in tre momenti diversi della giornata: il breakfast tea, accompagnato da uova e bacon, l’high tea, preludio alla cena, e infine la cena vera e propria, l’afternoon tea. Ovvero il tè delle cinque. Quest’usanza fu introdotta dalla Regina Vittoria nel 1938, il giorno della sua incoronazione. Dai compiti gesti dei salotti di Buckingham Palace, alla pausa fra un charleston e l’altro nei tè danzanti degli anni Venti, all’Hotel Ritz, dove si sorseggia l’ambrata bevanda in porcellane Wedgwood con un sottofondo d’arpa, fino ad arrivare al giardino d’inverno del Landmark Hotel, in cui il tè si sposa con fragole e champagne. Il Tè delle 5 è uno spazio fatto di vetrate, parquet chiari, mattoni vivi, nel segno di un minimalismo arioso e pieno di luce. Zone relax di juta, grosse pietre imbiancate che diventano pouf, futon fatti di canne di bambù. E poi strutture di vetro e metallo, cassoni di legno livellati da mattoni grezzi che si trasformano in tavoli, banconi fatti con impalcature da muratore oppure pallet verniciati di bianco. Quasi tutti i mobili esposti al Tè delle 5 sono mobili, nel senso che sono dotati di ruote, per creare spazi abitativi instabili ed in continua evoluzione. Le suppellettili invece sono opere di designer di nicchia. Uno per tutti Seletti, con la sua candida porcellana che reinterpreta forme povere: vassoi da pasticceria, lattine, flaconi di ammorbidenti, tetrapack e cesti. Tre per il tè delle cinque.
Sunghe-Oh presenta svariate serie tematiche di lavori, tutte strettamente derivanti una dall’altra. L’artista indaga il suo status rifacendosi ad una sintassi operativa e cognitiva che affonda le sue radici in tempi remoti. Quei tempi in cui l’uomo ha iniziato a produrre oggetti, quando arte, artigianato, lavoro e vita formavano un continuum insolubile e virtuoso. La spinta poietica è celebrata nella tela che raffigura le mani. Nervose, articolate, chiuse a pugno. Come per afferrare una facoltà che riguarda la forza, la padronanza, la conoscenza immediata del mondo e, soprattutto, la comunicazione. Queste stesse mani potrebbero essere le artefici della serie di vasellame molecolare: grezzo e primitivo come la prima produzione fittile del Neolitico, ma nello stesso tempo sfaccettato come una pietra preziosa. Questi contenitori sono trofei che celebrano la manualità umana, e la capacità propria dell’uomo di creare spazi vuoti da riempire. La serie delle Lacerazioni richiama alla mente i primi prototipi tessili della preistoria, ricollegandosi nuovamente a linguaggi arcaici. L’operazione di blow-up evidenzia la natura simbolica dell’ordito. L’intreccio dei fili e il loro sfilacciarsi rappresentano le storie dell’uomo. L’uomo interconnesso con il mondo, con i propri simili, l’uomo che fonda la propria identità nell’unione e nella separazione dei legami.Sia nel lavoro di Sunghe-Oh che in quello di Kai-Uwe Schulte-Bunert, l’essere umano scompare, lasciandosi dietro il proprio spettro, costituito dai suoi oggetti, oppure dai fondali stessi della sua scomparsa.
Kai-Uwe Schulte-Bunert rappresenta luoghi di passaggio. Spazi privi di contenuti e di storia, se non in quanto argini di un flusso. Il flusso di cose, di merci, di persone. Un nitore congelato che si cristallizza intorno a costruzioni nude di cemento, muri impachettati, scavi, cumuli di pietrisco per edifici. La gabbia rugginosa degli scheletri di ferro per il cemento armato, che spunta da uno strato d’acqua. Schulte-Bunert lavora sul deserto, sull’assenza, sull’ abbandono. Sulla desolazione della nascita delle infrastrutture, sul gelido mistero dei non luoghi.
Silvia Anselmi mischia linguaggi artistici apparentemente inconciliabili, come scultura, disegno, grafica a 3D, installazione. Avvolgendo del fil di ferro intorno a telai rigidi, riesce ad emancipare le linee dal vincolo del supporto bidimensionale, facendole affiorare fuori, rendendole plastiche, mobili e vibranti. Fiori che scaturiscono fuori da dischi di materiale ferroso, come fili di ricamatrici che deflagrano fuori dal telaio. E mani, collocate su molle a spirale, composte nel gesto del saluto, della non offesa. Le opere della Anselmi sono realizzate con l’apporto degli agenti atmosferici. Dopo una prima fase di assemblaggio, vengono poste in esterno, affinchè pioggia, vento e sole le corrodano, le ossidino, le rendano rugginose. I segni del tempo avranno sempre la meglio sulla mano dell’uomo. Tanto vale collaborare.Installazioni mobili, vasi in bilico fra artigianato grezzo ed oreficeria, tessuti, spazi vuoti, monocromie abbaglianti, materiali di recupero. Le opere e lo spazio dialogano fra di loro, scoprendo magiche affinità.
Testo critico scritto per la mostra 3 x il tè delle 5, inaugurazione 15 maggio 2010 presso Il tè delle 5.