I MORTI [I] [1994/1995]
Le Ragazze Che Non Aspettano, I Fatti Norvegesi E Le Uniche Cinque Foto Che Avevamo Negli Anni Novanta
Era il 1994, si andava per il 1995. In quegli anni, noi eravamo degli adolescenti spiritati, anafettivi, idrofobi, pieni di buio. Già a 14 anni avevamo fortissima la fascinazione della follia e della morte. Un anno prima, in maniera molto fredda, senza emozioni riconoscibili nelle quattro mura della dissociazione permanente, avevamo preso in considerazione per la prima volta l’idea del suicidio. In maniera molto astratta, asettica, come se l’idea in sé non si dovesse riferire a chi la pensava. Conoscevamo questo concetto da parecchio tempo. Ci era stato raccontato da una persona molto vicina a noi, che ci aveva mostrato la foto di una ragazza vestita di bianco, con ombretti celesti perlati sulle palpebre chiuse. La ragazza era distesa dentro a una bara aperta, circondata da gigli. Assomigliava alle statue di Gesù che mettono nelle chiese dell’Europa dell’Est nel periodo di Pasqua, a cui il venerdì santo fanno la guardia i militari. La storia ci era stata raccontata più volte, e avevamo libero accesso alla foto della ragazza morta per sua mano. Perché ci innamorassimo di lei, identificandoci. Considerando l’età che avevamo, non potevamo non farlo. In seguito, era arrivata la storia di un’altra ragazza, che aveva bevuto colla industriale per pavimenti. Ne abbiamo sentito parlare non stop per tutta un’estate. L’aveva fatto davanti sua figlia, che aveva un paio d’anni. Era stata portata via con la bava alla bocca. Quell’estate degli anni Ottanta abbiamo giocato spesso con l’altro suo orfano, una bambino silenzioso e delicato, con vestiti di acetato e capelli serici lunghi fino alle spalle, di un biondo mai visto, color lino. Dalle nostre parti, le ragazze non stavano ad aspettare la morte come amanti abbandonate, ma sceglievano loro quando doveva venire.
Passò del tempo.
Arrivò la nostra adolescenza solitaria, e iniziammo a provvedere alla nostra miseducation. Sul versante musicale si articolò in maniera caotica, onnivora, diligente, contradditoria e varia. Ascoltavamo i Misfits, gli Exploited, gli Elend, i My Dying Bride, i Nirvana, le Hole, le Babes in Toyland, le L7, Diamanda Galas, Beethoven, i Carmina Burana, i Sepultura, i Lacrimosa, i Bad Religion, i NoFX, le Mumble Rumble, Janis Joplin.
Poi, dal nulla, arrivò quest’amico. Non ricordiamo come l’abbiamo conosciuto. Era colto, ricco, passivo-aggressivo, odiava il suo corpo con cui faceva cose indicibili, e aveva una collezione di vinili infinita, molto più strutturata del nostro caos su cassette registrate. C’erano i Napalm Death, gli Obituary, i Deicide, i Death SS, i Cannibal Corpse, i Suicidal Tendencies,i Motorhead, i Black Sabbath. Di giorno andavamo insieme a rubare nelle librerie, e di notte a drogarci nei cimiteri monumentali.Compravamo frappè densi al cioccolato, ci scioglievamo dentro gli acidi e ci ammazzavamo di risate parlando del Necronomicon, dei nostri sogni cinematografici, di varie declinazioni del nichilismo, di quanto fossero assurde le ortodossie delle subculture, e quanto per questo si dovesse amare Cliff Burton, con i suoi pantaloni a campana abbinati alla maglia dei Misfits e alla chioma fluente da metallaro.
Fu questo nostro gelido amico a parlarcene per la prima volta. Ricordiamo ancora la sua voce monocorde quando ci raccontò dei fatti norvegesi.
“Là c’è una cosa che si chiama Inner Circle, che i giornalisti chiamano black metal mafia. Sta gente fa un genere musicale che non esisteva prima, almeno non in questa forma. È una forma nuova, che si poteva cominciare a intravedere forse nel terzo dei Bathory. Credo che prima non avesse nemmeno un nome. Sono stati loro i primi a usarlo, non come titolo di un disco ma per definire un genere. Odiano i cristiani come li odiamo noi e hanno dato fuoco a una cinquantina di chiese.”
“Ma va, che cazzo dici.”
“Ti giuro. La prima è stata una chiesa storica di legno del XII secolo, e a bruciarla è stato Varg, un nazista secco come un twink che si fa fare le foto a torso nudo in mezzo alla neve e ha un progetto che si chiama Burzum. Fa roba registrata da cazzo che suona di merda e caccia delle urla acute e disperate come se lo stessero scorticando, o gli stessero bruciando le palle con un accendino.”
“Quindi c’è lui a capo di sta balotta?”
“No no, c’è un altro gruppo, molto più importante di lui. I Mayhem, cazzo. Hanno appena fatto uscire il loro secondo disco.”
“E ce l’hai?”
“Sì, e ho anche ordinato il loro primo ep. Il loro cantante si è suicidato tre anni fa, e il loro chitarrista e fondatore, Euronymous, è stato ammazzato dal twink nazista che ti ho detto, a coltellate. Un numero esagerato di colpi, tipo ventitrè.”
“Ma dioboia. E com’è che l’ha ammazzato?”
“Ufficialmente per dei soldi arretrati di dischi e magliette. E per questioni di territorial pissing fra maschi. Ma in realtà non c’è un motivo vero.”
“E l’altro che dicevi, il cantante? Com’è morto?”
“Dead. Così si faceva chiamare. Si è tagliato le vene dei polsi e ha provato a tagliarsi la gola, ma non è riuscito a morire. Così alla fine ha dovuto spararsi in testa. Euronymous, il tipo che poi è stato accoltellato, lo ha trovato dopo un paio di giorni, e gli ha fatto delle foto, che sono finite sulla copertina di un bootleg. Ha raccolto frammenti del cranio e ci ha fatto delle collane. Si dice che lui e altri dell’Inner Circle abbiano mangiato pezzi del suo cervello.”
“E vabbeh, dai… Il cannibalismo può essere un rituale funebre di grande rispetto. Però … la cosa della foto non mi convince. Lo sai cosa penso di Rotten.”
“Lo so cosa pensi, e anche perché lo pensi. Lo so già che sei moralista. … A me invece piace molto l’estetica dei cadaveri. L’estetica dei cadaveri può essere sublime.”
“Non lo so. Può darsi, in alcuni casi.” – Pensammo alla foto stregata della ragazza, con i suoi colori pastello tendenti al verde chiaro. Le foto fatte oltre alla Cortina di Ferro per molto tempo hanno avuto questi colori, tipici delle foto degli anni Sessanta, anche se le foto sono state fatte dopo. – “Comunque la maggior parte delle foto su Rotten sono necro-pornografia. Con la differenza che la pornografia è per lo più una cosa che si decide di fare. Su Rotten nessuno dei soggetti fotografati decide. Nessuno di loro ha il controllo su quella sua ultima immagine, in cui magari gli manca mezza faccia, oppure è completamente sfigurato dalla putrefazione, o altro.”
“Magari Dead voleva essere fotografato. E magari l’ha detto a Euronymous. Parlavano molto insieme, del suo suicidio. Dicono che Euronymous lo spingesse a farlo, per promuovere il gruppo.”
“Bell’amico di merda. Ma cos’altro si sa, di lui? Di Dead, intendo.”
“Poco. Io ho letto che da bambino una volta era andato a pattinare su un lago ghiacciato, e ha avuto un incidente. Il ghiaccio era troppo sottile, e si è rotto, facendolo cadere nell’acqua gelata. È stato clinicamente morto per una decina di minuti, prima che riuscissero a rianimarlo. Dopo, ricordava di aver visto delle luci blu, e di altri colori. Da quel momento è rimasto ossessionato dalla morte.”
“In che senso ossessionato dalla morte?”
“Nel senso che molti dei suoi comportamenti, tutto quello che faceva come artista, e quindi probabilmente anche la maggior parte dei suoi pensieri, andavano sempre a parare lì. Aveva un sacco di rituali malati. Seppelliva i suoi vestiti con cui si esibiva in scena perché iniziassero a marcire, e li disseppelliva prima dei concerti. Teneva un corvo morto in una busta, e prima di cantare aspirava il fetore della putrefazione. Uccideva spesso degli animali, come scoiattoli o piccoli roditori, e si truccava da cadavere, con una tecnica che ha chiamato corpse paint. Ah, e poi sua nonna era una strega, come quelle che ci sono da noi in meridione, solo che era svedese.”
“Capisco. Anche mia nonna è una strega, e mi racconta sempre delle cose che ha visto. Ha visto i morti della sua famiglia, spesso in forme spaventose. E il diavolo, per due volte.”
“Quindi è cattiva. Ma questo non mi stupisce, perché anche tu lo sei.”Cominciò quel giorno. Gli incendi, il suicidio glorioso, l’omicidio. Ancora non ne avevamo consapevolezza, ma questi elementi avevano una fortissima, implacabile simbologia, e una grande potenza fondante, mitologica. All’epoca internet non esisteva. La musica andava comprata in vinile, cd o cassetta, oppure registrata su cassetta da qualcuno che aveva l’originale. Era molto difficile trovare immagini o informazioni. L’unica fonte su questa scena in Italia era Grind Zone.
Qui trovammo le nostre prime immagini di Dead. Erano cinque foto. C’era quella della copertina di Live in Leipzig, con il corpse paint e il candelabro. Era un’immagine spettrale, che comunicava un senso di squallore, con un’ottima costruzione a livello di spazi.C’era quell’altra celeberrima con Euronymous che guarda in macchina e Dead che guarda in alto sopra di lui. Sembrava avere gli occhi privi di iridi e pupille, e un aspetto leggermente gonfio. Un’altra, sempre con il corpse paint, con i capelli molto mossi e più corti. Questa foto era stata fatta nel 1987 con il suo gruppo precedente ai Mayhem, i Morbid, in un concerto in un centro sociale punk a Birkagarden. La quarta foto era l’unica senza corpse paint. Il suo viso era angoloso, ossuto. Guardava in alto, stando abbracciato a due energumeni con i capelli e gli occhiali scuri. Uno di loro era Quorthon, il cantante dei Bathory, con cui Dead ha avuto un rapporto ambiguo, passando dall’ammirazione totale, per cui i Bathory erano l’unico gruppo degno di essere ascoltato, a un disprezzo di cui è difficile capire i fondamenti. Glam wimp, lo chiamava.Ritagliammo il suo viso rivolto verso l’alto, e lo attaccammo di fianco a immagini di Caravaggio e Pasolini in un collage che è rimasto in camera nostra per tutti questi anni, finchè la nostra casa non è stata ermeticamente chiusa al mondo esterno come nel finale di un rituale di mundus patet, sigillando quanto c’era dentro per sempre.La quinta e ultima foto era quella sulla copertina di Dawn Of The Black Hearts.
I Morti [I] 2. [2023] L’Alba Dei Cuori Neri
L’ultima immagine che vediamo dei nostri morti, l’ultimo frame che i nostri occhi registrano di loro, rimane indelebile dalla nostra memoria e ci accompagna per tutta la vita. Sta lì, congelato, accessibile in ogni momento, proprio come una foto. È molto importante vederli per l’ultima volta, perché i morti ci comunicano sempre qualcosa. Qualcosa di difficile comprensione, indescrivibile a parole, che ha la stessa natura indefinibile dell’orgasmo.
Questo qualcosa può avere a che fare con la bellezza che si preserva nonostante la devastazione del corpo. Oppure, con un senso perturbante di estraneità, diabolico e terribile, per cui stentiamo a riconoscere ciò che il nostro amore conosceva alla perfezione. O anche, se il morto ha almeno uno degli occhi aperto, il suo sguardo e la sua espressione spesso ci rivelano un senso di grande stupore.
Sia chiaro, qua stiamo parlando di esperienze personali. Dobbiamo però constatare che parte di queste esperienze personali possono in qualche modo essere applicate alla foto sulla copertina di Dawn Of The Black Hearts.
Nell’alba dei cuori neri il viso è di profilo, perciò un solo occhio è visibile. È sbarrato, velato e impietrito, mostra la velocità vertiginosa con cui la vita ha trovato la sua fine. Lo sguardo è diretto verso l’alto, in un punto preciso. Tutto il corpo, nella sua postura ed espressione, emana un senso di tristezza. Ci siamo chiesti per parecchio tempo se lasciare quest’ultima frase, se non fosse una proiezione di sentimenti personali, o se non suonasse patetica. Ma abbiamo deciso di lasciarla, perché è un contenuto che non riusciamo a non vedere, tutte le volte che guardiamo la foto. Il collo è reclinato in un angolo lungo e innaturale, dovuto probabilmente alla disarticolazione delle vertebre nel momento dell’impatto dello sparo. Il viso e il collo trovano il loro contrappunto spaziale nella mano insanguinata. Il sangue è ovunque, in vari gradi di coagulazione, come in un trattato visivo di gore, o del suo antecedente latino, detto cruor. Tre, quattro pozze di sangue scurissimo, quasi nero, micro-particole spruzzate sulle pareti, chiazze più slavate, tendenti al lilla e al violaceo, assorbite dai tessuti delle lenzuola e della maglietta. Infine, rosso di sangue vivo sulla mano e nella massa cerebrale fuori dal corpo. Questa foto è profondamente oscena, nella misura in cui gli esseri umani hanno grande pudore dell’interno dei propri corpi.La visione diretta dell’apertura del corpo, durante le autopsie o gli interventi chirurgici, provoca forti reazioni di disgusto e orrore, talmente forti che possono portare alla perdita dei sensi. Altrettanto forte è la visione del parto, in cui un corpo si apre, evacuando un profluvio di materiali organici, prima di fare uscire da sé un altro corpo più piccolo. Di oscenità sono caricati anche i pertugi attraverso cui un corpo può dare accesso al suo interno ad altri corpi, ovvero i genitali e l’ano. La cavità orale è in sé la più neutra delle vie di accesso dall’esterno all’interno, perché con essa gli esseri umani svolgono le attività sociali di comunicare e mangiare. Tutte le altre attività in cui i corpi si aprono o vengono aperti per mostrare il proprio interno sono circondate da fortissimi tabù, e relegate pertanto in luoghi chiusi e inaccessibili, all’interno di obitori, sale operatorie, sale travaglio, camere private. Siamo convinti che gli spettacolari supplizi pubblici che possiamo trovare nella storia della nostra civiltà, le crocifissioni, i martirii dei santi, gli squartamenti riservati a chi attentava alla vita dei re, implicassero come punizione, oltre al muro assordante del dolore, una profonda, abissale vergogna. A contribuire all’oscenità dell’ultima foto di Per Ohlin c’è un elemento dissonante, a livello di composizione: il modo in cui sono disposti gli strumenti del supplizio. Coltello e fucile sono esposti, in un modo in cui non potrebbero mai essersi ritrovati dopo il loro uso. Il fucile è girato al contrario, il coltello, usato prima dell’arma da fuoco, è appoggiato sopra al calcio del fucile. È stato infatti Oystein Aasterh, Euronymous, a disporli in questo modo, prima di fare le foto.
Abbiamo voluto analizzare quest’immagine come facciamo con le opere d’arte, non certo per nobilitare le capacità artistiche o le intenzioni di chi l’ha realizzata. Lo abbiamo fatto perché quest’immagine, per la sua diffusione, per la narrativa che la circonda e per quello che ha contribuito a determinare, si inserisce in una precisa tradizione iconografica e antropologica. Essa riguarda la natura fondante del sacrificio del dio, attorno alla quale nascono e si sviluppano tutte le arti e le mitologie della nostra civilizzazione. Per sacrificio del dio, intendiamo la morte violenta e rituale di un individuo che presenta caratteristiche di eccezionalità, che opera un cambiamento di natura magica, alterando lo statuto della realtà di cui fa parte. Non per niente, Erik Danielsson dei Watain ha definito Dead come una “figura sacra” del black metal. In questo articolo analizzeremo l’iconografia di Dead e la sua storia, cercando di penetrarne il mistero. Lo faremo da una prospettiva personale, fenomenologica, ovvero ricostruendo come questa figura e quanto la circonda si è mostrata a noi nel corso del tempo, rivelandosi in maniera progressiva, ma mai completa, per quasi trent’anni.
I Morti [I] 3. [1995/2023]
Lo Schianto Della Morte E Le Masse
-Poetica Ed Estetica Di Deathcrush-
“Vieni, mi sono arrivati i dischi. C’è anche Deathcrush.”
L’oggetto in sé era stupendo. Pur nella nostra sconfinata ignoranza adolescente, capimmo in maniera intuitiva che la copertina di questo disco era qualcosa di differente rispetto a tutte le altre che avevamo visto fino a quel momento. Ora possiamo articolare i motivi di questa alterità. Nel panorama visivo coevo del death metal e del grind, figurativo, dettagliato, colorato, la copertina di Deathcrush spiccava per la sua essenzialità.
Il logo – opera di un’amica di Maniac, Nella, che lavorava per Damage Inc. – è profondamente gotico, in tutte le accezioni possibili. È barbarico e minaccioso, e annuncia un’invasione come quella operata dai Goti di Svezia nell’Impero Romano. È pieno di dettagli e di cesellature come nel Gotico Internazionale della fine del XIV del secolo. La sua forma è coronata ai lati da ali membranose di pipistrello, inserendosi da una parte nella temperie vampiresca del Gotico ottocentesco, e dall’altra quasi profetizzando l’arrivo nel gruppo di Dead, ossessionato in maniera fatale dal vampirismo, in epoche in cui questa materia poco o nulla aveva a che fare con la cultura pop di massa.
Il titolo del disco è una dichiarazione programmatica del culto della morte centrale nel black metal, alludendo all’attimo in cui la morte ti schianta, la violenta separazione, ancora più brutale nel caso la morte stessa sia violenta, e quindi iper-vigile. Il progetto Mayhem ha avuto due forze creative motrici, Euronymous e Dead, ed entrambi hanno avuto una morte violenta.
La foto riproduce due mani amputate ed appese a una gogna espositiva. Se la realizzazione di Deathcrush non fosse stata totalmente indipendente, difficilmente all’epoca una casa discografica avrebbe concesso l’utilizzo di un’immagine così estrema.
L’origine di questa foto è controversa, su Reddit dicono che sia una foto fatta dai colonialisti in Mauritania, per mostrare la punizione riservata ai colonizzati impiegati come forza lavoro nelle piantagioni, quando non erano abbastanza produttivi. Il font gotico è coerente con il logo vampirico. L’estetica generale è fortemente DIY, il collage degli elementi sfondo-immagine-logo-titolo si collega in modo immediato all’estetica delle fanzine, come il bianco e nero low-fi della maggior parte degli elementi grafici. Il rosso dello sfondo sottrae l’immagine all’estetica punk, rigorosamente in bianco e nero. I Mayhem dei primi periodi sono l’epitome dell’etica DIY, anche se Euronymous non ha mai amato il punk e l’hardcore, perché “mancano di atmosfera”. L’abbinamento cromatico fra bianco, nero e rosso è visivamente perfetto. Pochi anni fa abbiamo visto in rete una versione di Deathcrush con lo sfondo magenta, e abbiamo pensato fosse un meme, come quando una serigrafia indipendente delle nostre parti ha realizzato delle maglie rosa confetto con il logo dei Darkthrone. Non era un’operazione ironica, la primissima versione in tiratura di mille esemplari di Deathcrush aveva davvero il fondo magenta. È stato un errore della tipografia, non rimborsabile, e il gruppo, non avendo abbastanza disponibilità economica ha deciso di fare necessità virtù, sposando il pessimo gusto del concept generale abbinato allo sfondo fucsia.
Una delle cose più interessanti di Deathcrush è la sua collocazione a livello di genere. Nella fitta corrispondenza di Euronymous, esiste una lettera in cui definisce Deathcrush come “un intenso grindcore death metal”. Lo stesso Euronymous nell’86, prima dell’uscita del disco, ha detto in un’intervista a una fanza polacca che prima facevano black metal, ma che si sono messi a fare “crush metal”.
All’epoca Deathcrush venne stroncato dalla critica ufficiale. La recensione migliore che ricevette fu su Puls da parte di Thor-Rune Haugen: “Non sono sicuro se questo disco vada suonato a 33 giri o a 45, ma in ogni caso il suo sound è quello di Capitano Uncino che fa un ditalino a Margareth Tatcher.” Il testo della canzone Deathcrush racconta cosa succede a un corpo schiantato da una morte violenta: “I tuoi polmoni rantolano per avere aria, ma sono pieni di sangue. Uno schianto improvviso quando ti spacco il cranio.” Gli altri testi raccontano perlopiù di fantasie sessuali aberranti. In Chainsaw Gutsfuck un assassino vuole penetrare le interiora della sua vittima con una motosega, e poi aspettare che dai suoi pertugi escano le larve della decomposizione, per praticarle il cunnilingus. In Necrolust abbiamo un necrofilo che narra del rapporto sessuale con il suo cadavere, talmente appassionato da rompere le ossa del corpo morto, nel quale gli umori lubrificanti sono sostituiti dai fluidi della putrefazione. Tutti i testi sono opera del bassista Necrobutcher. Se avessimo letto questi testi da adolescenti, e li avessimo confrontati con quelli di Dead contenuti in De Mysteriis Dom Sathanas, li avremmo trovati sicuramente superiori. Può essere vero che sono più estremi e scioccanti. I testi di Necrobutcher si inseriscono nella dicotomia manichea della rappresentazione della corporeità negli anni Ottanta, perduta fra la perfezione e l’efficienza solare dell’aerobica e del body building, e gli incubi notturni dell’esplosione del cinema e della narrativa horror, dominati dalla figura dello zombie ritornante. Questo archetipo horror, di un corpo non-morto in totale, putrido sfacelo, viene innestato in Deathcrush alla pornografia. Lo stesso Necrobutcher racconta che questa poetica primitiva è nata dalla sua frustrazione sessuale di teenager che non aveva ancora avuto una ragazza. Contemporaneamente ai Mayhem, un altro gruppo porta alla ribalta questi temi, i Death, con Scream Bloody Gore, uscito nel 1987, lo stesso anno di Deathcrush. I Carcass si imporranno con i stilemi molto simili un anno dopo, con Reek of Putrefaction, e poi nel 1990 arriveranno i Cannibal Corpse, consacrando la temperie poetica dominante all’interno del death metal, che ruota attorno alle tematiche tabù dell’apertura, dello smembramento e della profanazione dei corpi.
“Ma chi è che canta? Questo non è Dead!”
“No, questo deve essere Maniac.”
“Chi cazzo è Maniac?! Ma diocan, senti qua che merda! Non si capisce una minchia!”
“… Sì, sto disco fa davvero schifo al cazzo. La chitarra non si sente, la voce non si sente, la batteria neppure. E il basso? Esiste? Porcodio, ma che è sta merda?”
“…Però dai, credo che sia coerente. Loro mica volevano fare roba bella.”
“No. Volevano fare roba che faccia venire alla gente voglia di suicidarsi.”
“No, spe’, quelli erano i Darkthrone.”
“Sì, hai ragione.”
“Comunque, sì, è così. Arte di merda per gente di merda. Qualcuno la deve pur fare, dato che siamo una marea.”
“Una marea di cosa?”
“Di persone di merda. E anche di artisti di merda. Di quelli ce ne sono ancora di più.”
“E non dimenticare tutta la gente che fa vite di merda. Devono pur avere qualcosa di analogo alle loro vite, assieme a cui le loro anime fottute per sempre possano vibrare.”
“E sia, diamo Deathcrush alle masse dei lavoratori. Potrebbe funzionare meglio del comunismo.”
I Morti [I] 4. [2012] Spettri
Un giorno, 17 anni dopo, ci imbattemmo casualmente in un video. Il riconoscimento fu graduale, fulminante una volta compiuto. Da adolescenti non avevamo potuto appagare la nostra fame di immagini, ed ecco ora un video, tridimensionale, in movimento, surreale nella sua ridda di spettri. Nelle prime inquadrature si vede un paesaggio idilliaco fra prati e boschi, con fiori e gli insetti estivi che volano. C’è un tipo pallido, biondo e sorridente che scherza con un altro tipo con i capelli neri, e poi viene verso la macchina da presa, la sorpassa, si ferma un attimo in piedi con quella postura un po’ curva tipica delle persone alte e magre. Continua a sorridere un po’ imbarazzato e dice “Non riprendere.” Poi si gira, mostrando il logo dei Sarcofago disegnato a mano sulla giacca svarecchinata. Mentre se ne va, la telecamera lo pedina a distanza ravvicinata.
Poco prima di imbatterci in questo video, avevamo scritto una tesi di laurea, su un film che mostra le 48 ore antecedenti alla morte rituale di due terroristi suicidi. Moltissime inquadrature sono così, con qualcosa che li pedina da dietro, qualcosa che arriva dal passato e incombe sopra di loro, non dando loro tregua.
Solo ora ci accorgiamo che le cromie verdastre di questo video sono quasi identiche a quelle della foto della ragazza simile a Ofelia, che guardavamo di nascosto durante l’infanzia.
I Morti [I] 5. [2013] Iconoclastia
Poco dopo aver visto per la prima volta il video della Henhouse, ci accorgemmo improvvisamente che la rete era saturata di tutte quelle immagini che da ragazzini non eravamo riusciti a vedere. Il corpus iconografico dei primi Mayhem con Dead, realizzato fra la fine degli anni Ottanta e i primissimi anni Novanta, è costituito da foto analogiche, private e non professionali. Questa modalità di esecuzione dà un effetto di unicità, presenza e inclusività. I colori sono saturi, alcune foto sono sovraesposte, i set sono case private, camere da letto da adolescenti, salotti dei genitori. Poi ci sono i live e le fotografie fatte con intenti promozionali, come quella celeberrima in bianco e nero di Necrobutcher ed Euronymous alla stazione, collassati sotto alla scritta Mayhem, che abbiamo sempre amato molto.
Nel 2013, ci ha colpito molto un’immagine fatta in movimento, in cui Per Ohlin cammina con un bosco sullo sfondo, indossando una maglia dei Venom e dei jeans a campana in stile Cliff Burton. È molto pallido e sorridente.
Un’altra foto, fatta alla festa di compleanno di Fredrick Lingren, il chitarrista degli Unleashed, ritrae Per Ohlin con una bottiglia di tequila in mano, seduto su un letto singolo con il telaio di legno di pino. Il copriletto e le pareti sono di un colore tendente al lilla. Sta ridendo come un pazzo e i suoi vestiti total black fanno un buffo contrasto con i calzini bianchi di spugna. All’epoca, i calzini di spugna neri non esistevano. E questo lo sappiamo per certo, perché poi quando sono arrivati sul mercato abbiamo fatto festa.
Una delle foto in assoluto più iconiche di Dead è stata fatta per caso, in una casa privata. È un piano medio, frontale, con un muro di mattoni sullo sfondo. Dead indossa un chiodo nero, con una toppa dei Vulcano, una pin con una maschera da demone giapponese e la maglia dei Sodom. Ha il copse paint, le iridi e le pupille ribaltate, i capelli biondi sciolti sulle spalle. Questa immagine, per il taglio, la potente frontalità della figura, i contrasti cromatici fra chiaro e scuro, funziona come una vera e propria icona sacrale.
Fra le immagini realizzate live, spicca una foto del ’90 fatta al concerto di Zeitz, in cui vediamo la maschera angolosa del corpse paint rivolta verso il basso coronata da un’onda dinamica di capelli color lino. C’è un equilibrio incredibile fra linee curve e linee rette, fra le masse rettangolari dell’attrezzatura sullo sfondo, le casse, la batteria, la linea serpentina del cavo del microfono, che continua l’onda dei capelli, con l’asta del microfono in diagonale. Questa fotografia, così perfetta e casuale, è una delle migliori immagini live della storia del metal.
I Morti [I] 6. 2018 I Signori Del Caos
Alla fine degli anni Dieci una delle nostre wellness activity preferite era guardare su YouTube i documentari sui Mayhem e il black metal. Ce li siamo visti tutti, e di tanto in tanto facciamo un recap per metterci in pari. Uno dei nostri preferiti è quello con Gaahl che rapisce un hipster di Vice a fare trekking sulle montagne norvegesi innevate per ore ed ore, e tutto ha quest’esilarante vibe in stile Jeffrey Dahmer. Poi, nel 2018 uscì il film Lords of Chaos. Odiammo le scelte di casting, l’entusiasmo ruffiano della narrazione in prima persona in stile teen drama. Ci piacque la ricerca visiva filologica rispetto al corpus di foto e video esistenti, l’accuratezza nella riproposizione delle inquadrature, la precisione con cui vengono riprodotti i segni distintivi nell’abbigliamento, comprese le ricrescite bionde di dieci centimetri sulle tinte Black n.1 fatte in casa. Fummo felici di aver accesso a eventi come le selvagge feste metal No Fun nella casa di Krakstad, o il leggendario concerto di Jessheim, visto fino a quel momento solo attraverso immagini ferme o video di pessima qualità girati da lontano. È stato bello poter percepire l’aura di potenza che potevano avere questi avvenimenti. Per motivi simili ci ha colpito molto il realismo della violenza e del sangue. Metalion, fondatore della fanza Slayer Mag e amico intimo sia di Dead che di Euronymous, ha duramente criticato questo aspetto del film, dicendo che spettacolarizzava la morte dei suoi amici per fini commerciali. Abbiamo il massimo rispetto per questa presa di posizione. Per noi è stato come entrare per la prima volta in luoghi segreti e sacri, che le parole e le narrazioni non sono in grado di rendere nella loro entità reale. Tagliarsi le vene e la gola, spararsi, uccidere un uomo a coltellate, venire accoltellati a morte da un proprio amico sul pianerottolo di casa, sono solo parole vuote, vuote e ipocrite nel loro trasmettere hype da una parte, e distanza dall’altra. Le parole, come tutti i media, sono schermi. Difficilmente si immagina cosa è veramente successo, l’enormità di questi fatti, la loro straordinaria, spaventosa violenza. Ma questa violenza è stata fondante per la scena. Non nel senso spettacolare, pubblicitario o mediatico, ma a un livello antropologico, radicato nelle profondità dell’essere. Approfondiremo questo aspetto alla fine dell’articolo.
_Fine prima parte. Nella seconda parte di questo pezzo andremo ad analizzare il documentario Helvete ed alcuni fatti della vita di Per Ohlin che saranno cruciali per la sua poetica, la sua estetica e la sua arte. Stay tuned for a deeper descensus ad inferos._
Vogliamo ringraziare Laura. Sandro Gronchi, che ci ha motivato a ricominciare. Old Nick e James Joyce, che ci hanno ispirato nella scelta del titolo. Dome Galimberti, che amiamo da 37 anni, e che con il suo malo modo ci ha salvato dalla morte.
Bibliografia
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Grind Zone e Metal Hammer degli anni Novanta.
Michael Moynihan, Didrik Soderlind, Lords of Chaos
Ika Johannesson, Jon Jefferson Klingberg, Blood Fire Death: The Swedish Metal Story
Dayal Patterson, Black Metal, Evolution of the Cult
Old Nick, Letters from the Dead
Bibliografia generale sul black metal
Discografia
Mayhem, De Mysteriis Dom. Sathanas
Cannibal Corpse, Eaten Back to Life
Black Sabbath, Black Sabbath I
Bathory, Under the Sign of the Black Mark
Diamanda Galas, The Litanies of Satan
http://heavylatin.blogspot.com/2008/04/mayhem-de-mysteriis-dom-sathanas.html
http://peryngveohlindead.blogspot.com/ per le immagini soprattutto
https://it.wikipedia.org/wiki/Eirik_Hundvin
https://www.slawoslaw.pl/wapierze-i-upiory-demony-nocy/
https://www.vice.com/it/article/kz3n7z/letters-from-the-dead-mayhem