STORIA
Alcuni anni fa abbiamo visto una performance musicale. Ci eravamo andati alla cieca, su consiglio di un nostro amico: “Vieni dai, c’è sta tipa pazza che urla come una bestia. Tipo Marco Corbelli, cazzo.” Eravamo profondamente scettici, ma andammo. Con nostro grande disappunto, il gig è durato mezz’ora. Avremmo voluto durasse molto di più.
Così ci siamo documentati su questa ragazza. Margaret Chardiet è un 90. Nasce e cresce a New York, girando per concerti punk negli squat e in “appartamenti a caso”. Da bambina ascolta Nirvana, Stooges e Dead Boys, poi passa ad Atrax Morgue, Whitehouse, Macronympha, Swans e Throbbing Gristle. Lei e i suoi amici si convertono tutti a questa scuola di rumorismo necro-sabbatico, mettono in piedi molti progetti e vanno a vivere insieme al numero 1034 della Venticinquesima Strada. In questa funhouse industrial si fanno concerti di tutti i tipi, e dopo un po’ viene battezzata Red Light District. Fra i diciassette e i diciotto la Chardiet esordisce con la prima uscita di Pharmakon, il suo progetto solista noise (come dicono in America) o dark ambient (come dicono in Europa): musica paurosamente incantevole, articolata in partiture dissonanti, violentissima, viscerale. A volte sembra il tuono della sferzata panica, quello che senti quando comincia l’attacco. Altre volte configura l’approssimarsi di un’entità enorme, informe e possente, di tipologia lovecraftiana. Ci sono pezzi che fanno venire in mente brughiere spazzate dal vento, in cui si sentono le urla di qualcuno che è meglio non vedere.
Della sua musica molto è già stato scritto. Marco de Baptistis su Onda Rock ha parlato di “un “female noise” incontrollabile che cerca di liberare una potenza primordiale connessa con le forze stesse della Madre Terra. Più che andare “contro natura”, la musica di Pharmakon cerca di liberarne la sua stessa essenza soffocata.”
Ma noi non vogliamo parlare di musica. A noi interessa tutto il resto.
EPIFANIA
Margaret Chardiet non ha una fisicità eterea, né provocatoria a livello sessuale. Se le rivolgi la parola, risponde dolcemente, con voce sommessa. Non è stilosa, i suoi vestiti sono per lo più neri, ma come una divisa disadorna. Poi sale sul palco. E quando questo accade tutti possono assistere alla trasformazione.
Ti inchioda. Pesta pedali, governa echi di feedback, si sdraia a terra. Si inarca all’indietro urlando, si piega in avanti sulla strumentazione, facendo colare i capelli come un liquido dorato. Crea un rito elettrico, di buio e luci rosse, che rimanda pesantemente al sesso senza cadere nei cliché della sua rappresentazione. La Chardiet si muove sul crinale dei generi, come nell’antica tradizione sciamanica degli Enarei, in cui gli officianti erano ermafroditi. L’androginia di Pharmakon è polisensoriale: visivamente spiccano su tutto i lunghi capelli biondi, iperfemminili. La parte maschile invece è sonora, perché Margaret urla come un uomo. “Fa tendere il corpo, lo contrae a volte fino a farlo sussultare, e, facendolo passare per ogni sorta di colori, di gesti, di ansiti, dà luogo a un sovreccitamento generale e a grida da alienato.” Questo lo diceva Platone nel Filebo, parlando degli uomini all’apice. Maschile e femminile si mescolano in questo modo nella sua persona scenica. L’attitudine transgender è fondamentale anche nello sciamanesimo euroasiatico contemporaneo. Uno degli strumenti usati da Pharmakon, una sorta di lamiera elettrificata che viene percossa da un battente, funziona allo stesso modo di un tamburo sciamanico.
POETICA
Le urla di Pharmakon raccontano di fuoco, abissi, fluidi dall’odore penetrante e clorato, vestiti immacolati che grondano di liquidi usati per rituali d’iniziazione.
“Le dita arrivano dalla fenditura del baratro – Per strattonare il mio orlo – Ma io indosso un vestito – impregnato di fluido battesimale – Immacolato – Pesantemente appeso – Drappeggiato come cuoio – Stretto come cellophane – Io indosso una ghirlanda di fuoco – Come corona al mio capo – Santificata – Pesante – Brucia come aceto – Purifica come candeggina.” [It Hangs Heavy]
Altri pezzi parlano di terra che brucia, ginocchia livide, corpi bestiali che non bisogna guardare, per poterne vedere la versione ideale.
“Strappata dalla terra – Rotta alla radice – E portando il vento – A un crepuscolo di naufragio – Strisciando su ginocchia ferite – Aggrappando nell’oscurità – Versando finchè non rimango senza nocciolo – Sudando finchè non sono matura – Seppellendo i miei talloni per – Scottarmi i piedi nella terra bruciante – Eludi il mio corpo bestiale – E legati a una visione che non ho ancora creato.” [Crawling On Bruised Knees]
Il sesso viene raccontato tramite sensazioni e metafore.
“Agganciato dentro di me – Come un bordo tagliente – Una singola spina – Nodo anemico – Filtrando attraverso il nylon – Perdendo i fluidi da sotto i guanti.”
Infine la rivelazione, che deve essere privata e incomunicabile.
“E quando la cosa verso la quale corro – Si rivelerà – Io sola la vedrò.”
ETIMOLOGIA
Il primo a fare una disamina seria sul nome è stato un giornalista di Noisey, Damon McMahon, che ha tirato in ballo il rituale espiatorio del pharmakos greco. Fino a quel momento noi questo rituale non lo conoscevamo, e abbiamo scoperto è decisamente il nostro campo. Quindi ci siamo messi a scavare. La tradizione è attestata un po’ ovunque, a Cheronea, Abdera, Asia Minore, Atene. C’erano degli uomini e delle donne, scelti in base all’indigenza, alla deformità o al fatto di essere dei criminali, che venivano mantenuti a spese della cittadinanza, abbigliati di vesti sacre e trattati con gentilezza e rispetto. Alcuni si offrivano di loro spontanea volontà, per vivere almeno un periodo della loro vita in modo dignitoso. La tradizione varia da luogo a luogo. In alcune zone si faceva una volta all’anno, in occasione delle Targelia, le feste di Apollo, il dio della luce, dell’ordine, delle arti e del logos. Altrimenti si poteva fare quando l’aria diventava pesante, non appena si sentiva odore di pestilenza, carestia o guerra. In alcuni luoghi il rituale si limitava all’espulsione violenta e all’abbandono, in altri era prevista l’esecuzione. I pharmakoi sfilavano in mezzo alla folla, venivano presi a sassate, a frustate nelle parti intime, finchè non svenivano. Quando infine morivano, le loro ceneri venivano sparse nel mare. Questi capri espiatori umani si facevano carico di togliere i peccati di tutti e di allontanare le sciagure esterne, prendendoli tutti su di sé. La bruttezza, la povertà, la diversità erano le loro maledizioni, incarnavano il male da scongiurare. Ma, dopo la morte, i pharmakoi diventavano sacri e venivano salutati come i salvatori della comunità. Tutto ciò che è maledetto diventa poi sacro, proprio tramite il rituale del sacrificio. È la stessa storia di Cristo, la vittima innocente che toglie i peccati dal mondo. Se tutto ciò vi sembra una barbarie da pecorari mediterranei dell’Età del Ferro, oppure un ritornello idiota da catechismo, forse avete la coscienza sporca. Questo meccanismo è onnipresente e fondamentale per la sopravvivenza di tutti noi. Si ripete da millenni, ovunque, in ogni gruppo umano. Può avere vari gradi di intensità, prevedere la morte reale della vittima, oppure la sua morte sociale. Lo abbiamo visto in opera durante la caccia alle streghe, nei processi agli eretici, durante l’Olocausto, nelle purghe staliniste, sui roghi del Ku-Klux-Klan.
Incontriamo un pharmakos ogni volta che incrociamo un barbone, e sappiamo che è brutto, sporco, escluso, che viene probabilmente insultato e discriminato tutti i giorni, e che può essere pestato a morte. Non è un caso che David Lynch abbia usato l’icona del barbone come incarnazione del male, sia in Mulholland Drive che nell’ultima serie di Twin Peaks. Vediamo ripetersi il rituale del pharmakos nelle campagne mediatiche di odio contro le minoranze e i gruppi sociali più poveri e disagiati, ogni volta che ci sono atti di nonnismo nelle caserme, di violenza nelle prigioni oppure di bullismo nelle scuole. Ogni famiglia ha il suo pharmakos, come anche ogni singolo luogo di lavoro. È il prezzo della civiltà, della sua illusione condivisa di ordine. Se non ci fossero i diversi, i capri espiatori da perseguitare, su cui scaricare la violenza cieca, le contraddizioni strutturali, le mancanze dei vertici, i sensi di colpa, tutto questo nostro bel cosmo ordinato esploderebbe domani.
La parola greca pharmakon ha molti altri significati interessanti. Secondo il Liddell-Scott-Jones è “un mezzo per produrre qualcosa.” Le erga pharmakeion ad esempio sono le opere di stregoneria. Il termine ha anche un’accezione medica: a seconda della dose, il pharmakon può essere sia la cura che il veleno mortale. Tutte le sostanze stupefacenti vengono inizialmente usate come cura.
Nel Fedro Socrate dice che la pratica della scrittura è un abominevole pharmakon: un veleno che ripete le cose senza saperle, che fa atrofizzare la memoria e la capacità di parlare. Socrate sostiene che la scrittura rigetta la possibilità di mettere in discussione il contenuto dello scritto tramite l’arte retorica, rifiutando le seduzioni e gli inganni della comunicazione, di cui lui era maestro.
Riassumendo: violenza, vergogna e follia sociale, esclusione, sacralità, veleno, cura, alterazione della coscienza, opere di magia trasformativa, questi sono i significati più rilevanti del nome di Pharmakon. Passiamo ora al dato visivo.
ICONOGRAFIA
Gli artwork dei dischi sono anomali per il genere dark ambient. Non sono collage in bianco e nero, e neppure le solite composizioni di glifi di tradizione esoterica, ma fotografie a colori che raffigurano Margaret Chardiet, molto potenti.
Sulla copertina di Abandon si vedono le punte dei suoi iconici capelli, il torso vestito da una canottiera bianca e gli arti inferiori tagliati sotto le ginocchia dall’inquadratura. Le gambe sono strette, con le ginocchia serrate fra loro in una posa infantile di chiusura, timidezza e auto-protezione. Il grembo e i genitali sono coperti di piccoli vermi bianchi. Questa simbologia può significare tante cose: coincidenza fra eros e thanatos, rifiuto del proprio corpo, il lutto per un amore, oppure quell’orrore segreto per i propri organi genitali, che forse ci accomuna tutti. Un pugno di vermi viene offerto dalla mano destra, mentre la sinistra fa lo stesso gesto con un mazzo di fiori bianchi che sembrano cicuta. Nel percorso della vita, il fiore e il verme si collocano agli esatti antipodi. Uno rappresenta l’apogeo più splendido di ogni cosa, l’altro la deriva immonda della sua fine. La simbologia si complica, perché questi fiori sono velenosi, mentre i vermi sembrano quasi una manciata di perle.
Dalla poesia necrofila di Abandon, con Bestial Burden si passa al cruor, al gore necroscopico. I colori virano dalla purezza del bianco alla gamma dei rossi, dal vino tendente al magenta dello sfondo, al rosso scuro degli organi esposti. Si vede il torso di Margaret dall’ombelico al mento. Sopra al suo corpo sono appoggiati pezzi di animali macellati, che vanno a riprodurre la sua anatomia: due ali di costole velate di grasso color avorio lucido, un cuore appoggiato appena sotto la clavicola sinistra, un fegato scuro che riflette la luce, un nastro verde sporco che va a riprodurre gli intestini. Le mani sono sollevate davanti al petto, le dita si aprono rivelando unghie schifose, sfrangiate e giallastre, da arpia, vampiro, o ritornante che si sveglia durante la propria autopsia. Bestial Burden nasce dopo un’ospedalizzazione, in seguito a un delicato intervento chirurgico. E a noi i chirurghi non ce la raccontano giusta. Questi individui che ti squartano, ti aprono in due, sono capaci di tirarti fuori il cuore e di scambiartelo con un altro, cauterizzandoti vene minuscole, e tu nel frattempo non muori dissanguato o per shock. Ma dai. La chirurgia è necromanzia. Tu in realtà sei morto, e in qualche modo questi dottori ti fanno resuscitare. Quindi gli ospedali sono zone liminali fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, in cui si impara quanto questo nostro corpo vivo che odiamo sia perfetto, quanto è facile che si rompa e quanto è sottile la linea che divide la perfezione del corpo vivo dalla fatica e dalla bruttura del corpo morto. Spesso in queste terre di confine possiamo capire anche un ultimo mistero paradossale. Noi siamo il nostro corpo vivo, e non lo siamo.La copertina dell’ultimo disco, Contact, è quella più erotica. Il volto è più riconoscibile, rovesciato in modo vertiginoso, i capelli sono umidi e arruffati, la faccia è lucida di sudore. Sopra ad essa si intrecciano otto mani che stringono, una trentina di dita che si infilano in bocca, fra i capelli, sulle palpebre chiuse. Può essere la metafora poetica di un’orgia, o anche della molteplicità del desiderio, della potenza delle fantasie, che nascono dalla testa, dal cervello, dalla nostra più intima identità, rappresentata dal volto che finalmente compare in primo piano.
L’icona di Pharmakon è incentrata sul corpo come luogo di convergenze emotive estreme, mediante il quale avvengono possessioni, metamorfosi, trasfigurazioni, discese agli inferi, rinascite e pratiche conoscitive amorose. Incarnandoli nella sua arte, Pharmakon prende su di sé i temi dell’abbandono, della malattia, della morte, del sesso, della mescolanza dei generi. Per quanto apparentemente onnipresenti, questi argomenti sono circondati da tabù fortissimi. Vengono banditi, velati da reticenze, distorti da stereotipie, ad esempio l’asepsi efficiente e scientifica degli ospedali, oppure quella che è la più subdola eredità della casta sacerdotale, la pornografia canonica. Per liberarci da questi mali, come singoli individui e come società, abbiamo bisogno di nuove rappresentazioni del corpo, della morte e del sesso, che ce ne restituiscano la maestà, la profondità e il mistero. E questi sono i motivi per cui abbiamo scelto di fermarci a guardare quest’icona.
Bibliografia
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Platone, Filebo, Bompiani. 2000
https://pitchfork.com/features/update/9481-pharmakon/
http://thequietus.com/articles/22047-pharmakon-margaret-chardiet-contact-noise-album-interview
https://en.wikipedia.org/wiki/Enaree
http://www.northernshamanism.org/tg-letter.html
http://www.stereogum.com/1724202/watch-pharmakons-bestial-burden-short-film/video/
https://en.wikipedia.org/wiki/Pharmakon_(philosophy)
https://noisey.vice.com/it/article/rqb3nd/un-pharmakon-per-i-nostri-peccati
https://uwlabyrinth.uwaterloo.ca/labyrinth_archives/scapegoat_ritual_in_ancient_greece.pdf
Discografia
https://www.youtube.com/watch?v=zUtuYD7eBf0