Per ragioni che non sappiamo bene spiegare, Caravaggio è sempre stato uno dei nostri più precoci, profondi e longevi amori. È vent’anni che va avanti, quindi ci siamo risolti ad andare a vederlo in mostra a Palazzo Reale. Le due ore e mezza di fila sotto la pioggia ci sono passate piacevolmente, in primo luogo per la pezza da parte di una signora molto chic e volitiva, con i capelli appena fatti dal parrucchiere e la fissa del total black (ravvivato da accessori rossi). Abbiamo parlato di particolari cruenti della storia dell’arte, teste tagliate, mobilità sociale, alcolici di lusso, aneddoti queer su Leonardo e Michelangelo e dei rapporti di El Greco con la Santa Inquisizione. Nominandolo tre volte, la signora ha dimostrato di amare molto Alberto Angela. Non le abbiamo detto che è l’idolo erotico dei social, né i motivi per cui lo è, perché siamo un po’ timidi. Siamo sicuri comunque che lei avrebbe adorato. Oltre alla nostra signora, a poca distanza da noi nella fila c’era un uomo molto bello, che guardavamo di tanto in tanto. Capelli chiari, con colpi di luce filiformi e forse una ricrescita millimetrica alla radice, che ci siamo messi a studiare sotto al voltone, avendolo di spalle rispetto a noi. Al collo aveva un crocefisso d’oro che sembrava una Y.
Questo articolo sarà quindi la recensione fantasmatica di una mostra che non potete più vedere, perché è finita da un pezzo. Intreccerà gli appunti sulle opere che abbiamo preso visitandola a note di carattere storico e sociale prese per lo più dal magnifico studio su Caravaggio di Andrew Graham-Dixon. Ci saranno riflessioni omoerotiche sulla natura degli angeli e un piccolo compendio delle tipologie di bellezza create dai pittori italiani fra il Quattrocento e il Cinquecento. Confronteremo parti della biografia reale di Michelangelo Merisi con quella romanzata per il cinema da Derek Jarman, infedele al dato storico ma fedelissima al suo spirito poetico. Sarà un articolo caotico, privo di struttura, che farà avanti e indietro lungo la linea del tempo. Ometteremo di parlare di snodi biografici e di opere fondamentali, che amiamo molto ma che non abbiamo avuto modo di studiare dal vivo, e ci perderemo, perché ci piace farlo.
L’AURA E L’ERRORE
Le tele di Caravaggio, viste in presenza, sono come quelle di Mark Rothko. Sembrano emettere una specie di vibrazione. Un ronzio che inchioda, che brucia gli occhi di lacrime, per cui ad un certo punto non si può fare altro che scappare. In mostra a Palazzo Reale c’erano tre pezzi di una potenza quasi insopportabile, assieme a molte opere meno note. Attraversando il percorso dell’esposizione, abbiamo capito una cosa stupefacente. Caravaggio, soprattutto all’inizio della sua carriera, faceva degli errori tecnici. La mano in secondo piano del Ragazzo Morso da un Ramarro ha qualcosa di sbagliato, come anche la gamba coperta dal saio su cui poggia il peso del San Francesco in Estasi, o l’angolo in cui si piegano il braccio e la figura della Madonna del Riposo durante la Fuga in Egitto. Caravaggio ha dato una svolta rivoluzionaria all’arte occidentale, per l’intensità psicologica, la sintesi, l’uso della luce e dell’ombra, i soggetti rappresentati, il realismo. La sua interpretazione delle Scritture era così ortodossa, forte e ispirata da risultare infine eretica, per il modo di rendere i concetti del verbo fatto carne, della povertà, della misteriosa sacralità della sofferenza umana. La sua arte è stata infine censurata, tolta dagli occhi del pubblico, nascosta e depotenziata nelle collezioni private. Nonostante questo, non c’è nessuna perfezione adamantina nella sua pittura. Il materiale di base da cui parte Caravaggio è l’errore.
Pur essendo stato uno degli artisti più imitati del Seicento, Caravaggio non ha mai aperto una bottega e non ha mai insegnato i suoi segreti di lavorazione a nessuno. La mostra a Palazzo Reale è stata strutturata su tre livelli: i registri giudiziari, che mostrano le deposizioni relative ai numerosi arresti del pittore, le opere vere e proprie, e la loro diagnostica, con disamine ai raggi X, agli infrarossi e agli ultravioletti, che ne hanno infine rivelato il metodo di lavoro. La sua era una modalità operativa febbrile, piena di ripensamenti, correzioni, sovrapposizioni, gruppi e figure cancellati, rifacimenti dimensionali di particolari anatomici, angoscia, dubbio, lotta con la materia. Michelangelo Merisi è stato l’artista più grande della sua generazione, eppure la prima non era mai buona.
L’ESTETICA E L’ETICA DEL GHETTO ALLA FINE DEL SEDICESIMO SECOLO _ Artisti, criminali, protettori
Poco si sa degli anni giovanili di Caravaggio. C’è un’esperienza traumatica infantile, quando il padre, il nonno e gli zii muoiono tutti durante la peste milanese del 1576. A tredici anni Michelangelo Merisi va a bottega da Simone Peterzano, dove possiamo presumere che non faccia nulla, se non marinare le lezioni. Oltre a macinare i colori e bollire le colle, quello che dovevano fare gli apprendisti era esercitarsi nel disegno e nelle tecniche più richieste dai committenti, ma non esiste nessun disegno autografo di Caravaggio, ed è quasi certo che non fosse capace di dipingere a fresco. Nel 1605 rifiuta una ricca commissione per un ciclo di affreschi a Genova, e l’unico murales che ha fatto, le tre divinità elementari nel camerino di Villa Boncompagni Ludovisi, è a olio. A diciannove anni Caravaggio rimane orfano anche di madre, e per un po’ si perdono le sue tracce. Lo ritroviamo nel 1592, nella città in cui ogni pittore sa che potrà fare carriera o comunque trovare lavoro. Alla fine del XVI secolo, Roma è la capitale europea dell’arte. Vi convivono fiamminghi, siciliani, veneziani, milanesi, emiliani. Stanno quasi tutti stipati fra il Pantheon e Piazza Navona, in un quartiere pericoloso e violento, che oggi verrebbe classificato come ghetto. Generalmente gli artisti coabitano insieme, in appartamenti soffocanti, economici e luminosi collocati nei sottotetti. Affettano i modi arroganti dell’aristocrazia, sono pettegoli, gelosi uno dell’altro, stipulano alleanze fra varie fazioni, amano sabotare i colleghi e sono pronti a menare le mani per ogni minima questione d’onore. Nel tempo libero frequentano prostitute, prelati, mercanti d’arte e barbieri, che spesso espongono le loro opere e che li ricuciono dopo le frequenti colluttazioni. Caravaggio fa anni di gavetta, cambiando in continuazione casa e bottega. La cronologia dei fatti e delle opere dell’arte moderna è piuttosto aleatoria, cambia a seconda delle fonti. L’anno di svolta di Michelangelo Merisi dovrebbe essere il 1597, in cui soggiorna per un po’ in carcere, finisce all’Ospedale della Consolazione e fa un incontro cruciale per la sua carriera. Il cardinale Francesco Maria del Monte, la testa di ponte dei Medici a Roma, è un raffinato mecenate, dotato di una vasta cultura e di una grande sensibilità. Possiede una ricca biblioteca, una collezione di circa seicento quadri, un telescopio regalatogli da Galileo, decine di strumenti musicali e un laboratorio alchemico. È protettore del coro della Cappella Sistina, e nella sua dimora di Palazzo Madama si riunisce una corte di artisti e intellettuali all’avanguardia. Passando davanti al negozio del mercante d’arte Costantino Spada, il cardinale Del Monte vede un quadro. L’episodio rappresentato non viene dalla mitologia, né dal repertorio sacro. Non è una natura morta, nè un ritratto, ma una scena senza precedenti nella storia dell’arte.
La Buona Ventura colpisce profondamente il Del Monte, forse anche per un brivido radical chic. Tom Wolfe la chiama nostalgie de la boue, l’interesse delle classi ricche per la tenacia brutale e vitalistica delle classi subalterne. Possiamo definirla un mix di noia, curiosità morbosa, invidia sensuale e volontà imitativa, lo stesso impulso che spingeva Messalina a visitare i lupanari, Maria Antonietta a vestirsi da contadinella e i giovani wasp alternativi ad ascoltare pezzi gangsta rap che augurano ai bianchi di morire nei peggiori modi. La Buona Ventura ritrae una zingara dagli occhi lascivi che fissa un giovane di buona famiglia, finge di leggergli la mano e nel frattempo gli sfila la fede d’oro. I modelli sono presi dalla strada e la dimensione estetica è quella dei bassifondi. Questo quadro riflette alla perfezione lo stato sociale di fine Cinquecento, la grande crisi di un secolo funestato da guerre ed epidemie, con una enorme marea di poveri che si era prodotta a causa delle calamità. L’assistenzialismo medievale è scomparso, quindi chi è indigente viene lasciato a se stesso, e deve arrangiarsi o morire. La Chiesa recupera un po’ di ideologia pauperista da usare a scopo di propaganda per gli anni della Controriforma, ma l’esaltazione (formale) dei poveri cede ben presto a una rappresentazione grandiosa del potere spirituale, ai fini di incutere timore e obbedienza. Il titolo La Buona Ventura è comunque profetico: il cardinale Francesco Maria del Monte acquista il quadro, contatta Caravaggio e lo porta a vivere con lui a Palazzo Madama, dove rimane per quattro anni. Qui conosce tutti i suoi futuri collezionisti e produce il suo repertorio più spensierato ed edonistico [poi cambierà cardinale, e infine tornerà ad abitare in un modesto appartamento con il suo assistente Cecco]. Il Concerto, il Suonatore di Liuto, il Bacco, la quadratura vertiginosa che ritrae i tre elementi procreativi di Girolamo Cardano sotto forma di dei pagani scandalosamente nudi, tutte queste opere riflettono il mondo ricco e sofisticato in cui vive nell’orbita di Francesco Maria Del Monte. Michelangelo Merisi assorbe con evidente piacere gli stimoli culturali a cui è sottoposto, ma continua a frequentare il suo ambiente, da cui provengono tutti i modelli che utilizza nei suoi quadri. I contemporanei lo ricordano “pessimamente vestito”, con abiti sì di velluto, ma portati fino a cadere a pezzi. Rigorosamente neri, come quelli dei tagliagole, perchè solo questo colore consente di delinquere nottetempo e di defilarsi nei vicoli romani prima che arrivino le guardie. Caravaggio è un criminale recidivo ed eclettico. I suoi reati variano nel corso degli anni: sassaiole, porto d’armi, insulti e botte ai pubblici ufficiali, deturpatio della casa di due donne (ovvero schiamazzi notturni, tentativi di effrazione e graffiti osceni), fino alle aggressioni, elargite democraticamente sia ai ricchi che ai poveri. A seconda dell’estro, il Merisi può prendere a bastonate in testa un notaio a causa di una prostituta, oppure tirare un piatto di carciofi in faccia a un cameriere. Nel 1603 c’è anche un processo per diffamazione intentato dal suo collega e rivale Giovanni Baglione, che poi scriverà la sua prima biografia. Nella sua miscela postmoderna di bassifondi italiani dell’epoca di Pasolini e feste alla corte papale del Seicento, Derek Jarman rappresenta Giovanni Baglione come una frocia malefica col monocolo, che sfoglia il catalogo della mostra di Caravaggio sbuffando, e liquida Amor Vincit Omnia dicendo: “Brutto!!! …La cornice è buona…”.
Il Baglione di Jarman è anche un critico d’arte, che scrive i suoi articoli di stroncatura dentro la vasca da bagno, con un turbante in testa. L’inquadratura cita ironicamente uno dei quadri più famosi ispirati allo stile di Caravaggio, la Morte di Marat di Jean-Louis David, mostrando come nonostante l’odio meschino dei rivali la sua influenza sia dilagata nei secoli.
Tornando al Seicento, la vicenda che porta al processo per diffamazione è paradigmatica dell’alto grado di competitività e stress che c’è nell’ambiente artistico romano. Invidioso per il successo clamoroso avuto dal Merisi con il quadro Amor Vincit Omnia, Baglione ne dipinge una parodia, in cui un arcangelo armato sbaraglia il putto caravaggesco. In basso a destra un diavolo, evidente caricatura di Caravaggio, guarda smarrito verso lo spettatore. Nella Roma di Clemente VIII la pena per il peccato di sodomia può essere anche la condanna a morte, e quella di Baglione è un chiara accusa visiva di pederastia. Caravaggio risponde diffondendo dei sonetti diffamatori contro il rivale, in cui lo chiama “Gian Coglione”, lo definisce “della pittura vituperio” e insulta sessualmente sia lui che sua moglie.
IL MARE DI TENEBRE
Quando c’è il processo per diffamazione, Michelangelo Merisi non abita più da anni con il Del Monte, ma il cardinale fa sempre comunque parte della cerchia dei suoi potenti protettori. Oltre a poter delinquere impunemente, grazie a lui nel 1599 Caravaggio riceve l’incarico di realizzare due enormi pale d’altare per la Cappella Contarelli, di più di tre metri per tre metri e mezzo. Ha pochi mesi per portarli a termine e deve fare i conti con il suo modo di lavorare discontinuo, per cui a un paio di settimane di lavoro folle può seguire il doppio del tempo impiegato in dispendio regale nelle bettole e nei lupanari. Per questi motivi perfeziona una tecnica che gli consente di accorciare le tempistiche: la base del dipinto è scura (e diventerà sempre più nera nel corso degli anni), le figure umane non vengono rappresentate nella loro interezza, ma solo le parti raggiunte dalla luce o in penombra vengono dipinte. Il tenebrismo, i suoi “oscuri gagliardi” riducono la scena all’osso, danno rilievo ai corpi, anticipano il cinema e mostrano come la grazia, la salvezza e la comprensione siano solo squarci di luce in un mare di tenebre. Simili a lampi, durante un nubifragio.
LE MADRI E LE PUTTANE
Del Riposo durante la Fuga in Egitto due sono i particolari che ci hanno colpito: l’angelo e la tenera, terrena bellezza della donna addormentata con il suo bambino. La modella che presta il volto alla Madonna, Anna Bianchini, è una cortigiana famosa per i suoi capelli “lunghi e rosci”, che ha posato anche per la Maddalena Penitente. Le prostitute romane di fine Cinquecento stanno all’Ortaccio, un quartiere a luci rosse circondato da mura. Se escono durante il coprifuoco e sono colte in flagranza di reato, vengono spogliate, fustigate e lasciate nude davanti alla folla. Alcuni storici dell’arte sostengono che La Maddalena Penitente sia stato realizzato dopo che Anna Bianchini era stata battuta pubblicamente dagli sbirri. La boccetta con l’unguento, paramento tradizionale nell’iconografia di Maddalena, sarebbe in realtà una preparazione lenitiva per le frustate, e si spiegherebbero sia i gioielli a pezzi e che l’orecchio arrossato.
Nell’ambito della nostra civiltà, fare la prostituta vuol dire esporsi alla violenza degli uomini, che siano clienti, protettori o guardie. Nella Roma a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, per ragioni di prossimità topografica, età, passione, solitudine da celibato, comune frequentazione sessuale delle alte cariche ecclesiastiche, le prostitute e gli artisti finivano fatalmente per stare insieme. I loro amori erano violenti. I registri criminali dell’epoca riferiscono di come le puttane venissero spesso sfregiate dai loro amanti artisti. Andrew Graham-Dixon racconta una vicenda con protagonisti illustri. Il capo-bottega sorprende la sua amante cortigiana fra le braccia del suo aiutante, che è anche suo fratello. Cerca seriamente di ucciderlo, poi si procura dei mandanti che vadano a sfregiare la donna. La donna viene sfregiata. L’artista in questione è Gian Lorenzo Bernini, ricordato per il carattere socievole e mondano, l’indole pia e le frequenti messe a cui attendeva.
A proposito di sfregi, un’altra prostituta che Michelangelo Merisi ha ritratto più volte è Fillide Melandroni, un’accompagnatrice molto bella e richiesta, con una forte inclinazione alla brutalità, che inizia il mestiere prima dei tredici anni. Il suo magnaccia, Ranuccio Tommasoni, viene da una famiglia di mercenari al soldo dei Farnese. Per lui Fillide malmena furiosamente e minaccia un’altra prostituta, in episodi riportati nelle cronache giudiziarie dell’epoca. “Bagascia poltrona, ti voglio sfregiare, ti voglio sfregiare!”, urla alla rivale. Fillide viene dipinta da Caravaggio con i capezzoli eretti, nel sanguinario episodio della Giuditta che decapita Oloferne. Viene ritratta anche nei panni di Santa Caterina D’Alessandria, appoggiata contro gli strumenti del martirio, e come Maddalena nell’attimo della conversione, assieme ad Anna Bianchini.
Nel biopic di Derek Jarman, Anna la Rossa si fonde con un’altra storica modella di Caravaggio, Lena Antognetti, assumendo le fattezze di una radiosa Tilda Swinton poco più che ventenne. Lena viene ritratta nei panni della Vergine nella Madonna dei Pellegrini, mentre porta in braccio un grosso, bellissimo bambino e si mostra in epifania a una coppia di anziani laceri, in ginocchio davanti a lei. Non molto tempo prima di posare per il quadro, Lena aveva effettivamente avuto un bambino, Paolo.
La divinità è incarnata: gesti pieni di grazia, atteggiamento di assoluta maestà, vesti dei colori principeschi del rosso scuro, del blu pavone, del viola, dell’ocra dorato, del bianco.
Caravaggio è unico nel mostrare la bellezza regale, divina e terrestre delle donne assieme ai loro bambini piccoli. Pensiamo ai due quadri visti in mostra a Milano, La Madonna dei Pellegrini e il Riposo Durante la Fuga in Egitto, ma anche alla pallida bruna con il bimbo biondo in alto fra le ali degli angeli nelle Sette Opere di Misericordia, o alla Madonna dei Palafrenieri, in cui è ritratta Lena, mentre schiaccia la testa del serpente come gioco assieme al suo putto nudo.
Forse vedere le donne con i loro bambini incantava l’attenzione del pittore, facendogli vedere cose che gli altri non vedono, misteri all’origine della vita, di strazio, comunione del corpo, dolcezza e potenza. Ai nostri occhi, l’arte di Caravaggio fa esplodere i muri divisori fra gli archetipi di genere: la puttana può essere anche madre, perché la maternità ha come presupposto la sessualità. Restituendo alla [Ma]donna le sue dissociate, oltraggiate funzioni, unendole alla santità, alla bellezza e alla maestà, Caravaggio rappresenta una divinità femminile di potenza ancestrale.
L’ANDROGINO
Oltre al colore, al modo di rendere l’atmosfera, al disegno, alla plasticità, alle partiture compositive, alla grana della luce, lo stile di ogni grande artista è infine riconoscibile perché ripropone sempre la stessa tipologia di bellezza. Ciò è evidente soprattutto nei volti. All’epoca di Caravaggio, il culto estetico dell’androginia non è affatto nuovo fra i pittori italiani. Non ci stupisce che Michelangelo Buonarroti sia rimasto folgorato da Tommaso de Cavalieri, considerando che pochi anni prima di conoscerlo aveva raffigurato la Notte nelle Cappelle Medicee e la Leda posseduta dal cigno con un volto praticamente identico a quello del suo futuro amore.
Gli Ignudi e le Sibille della Cappella Sistina sembrano gemelli divini nati dallo stesso uovo, con volti tondi, nasi dritti, labbra piccole e piene, occhi grandi , muscolature da giovani guerrieri.
Le sante, gli dei e gli angeli del Perugino hanno tutti alte fronti tardogotiche, rosati zigomi sporgenti e gli stessi occhi impudicamente velati.
Gli angeli con i lineamenti perfetti e il fototipo chiaro che incoronano la Madonna del Magnificat di Botticelli le assomigliano talmente tanto che potrebbero essere i suoi fratelli minori, se non i suoi figli. Pontormo è forse il primo a proporre un genere ibrido di tipo mediterraneo, di un’ambiguità torbida, ma levigata e soave, con volti assolutamente ovali, occhi scuri e ravvicinati, espressioni di fragilità o seduzione.
Michelangelo Merisi dipinge delle creature con visi abbronzati, guance paffute, ciglia ricurve separate le une dalle altre, mani rovinate, unghie sporche, sul cui sesso è difficile pronunciarsi. Non si è mai vista questa tipologia di bellezza, così bruna, ebbra, difettata e ammaliante. È inedita. Caravaggio crea un codice di androginia nuovo.
I RAGAZZI
Nel Ragazzo morso dal ramarro compare solo un mezzobusto e una piccola natura morta, che ci mostra la sintesi estrema, implosiva e ricchissima di possibilità di interpretazione delle opere caravaggesche. I boccoli ricchi della capigliatura, la rosa bianca dietro l’orecchio, la morbidezza della spalla scoperta, gli steli acuminati delle rose infilate dentro al vaso tondo, le ciliegie rosse da giardino delle delizie, la frutta lucida da mordere e succhiare con il rettile dai denti appuntiti che si nasconde dentro: tutto sembra indicare che il modello ritratto sia un ragazzo di piacere. I curatori della mostra Dentro Caravaggio lo classificano come autoritratto, ma per altre fonti sarebbe uno dei ragazzi di Michelangelo, il pittore siciliano Mario Minniti. Quando si conoscono a Roma, lui e Caravaggio hanno rispettivamente 16 e 21 anni. Stanno facendo una dura gavetta, condividono lo status di orfano, la vita turbolenta e l’odio per l’ambiente delle botteghe. Continuano ad abitare insieme anche nel palazzo del cardinale Francesco Maria del Monte, finchè Minniti non si sposa. Mario torna nell’ultimo anno della vita di Caravaggio, nelle fasi disperate dopo la fuga dal carcere di Malta, e lo aiuta a ottenere prestigiose commissioni a Siracusa. Caravaggio lo ritrae in molte opere: i due prototipi vincenti di underworld della Buona Ventura e dei Bari, il Ragazzo col Canestro di frutta, che secondo Andrew Graham-Dixon è una fedele trasposizione iconografica dello Sposo nel Cantico dei Cantici, il sensuale, sognante Concerto, il celeberrimo Bacco, che porge allo spettatore un kantharos di vetro veneziano guardandolo dritto negli occhi mentre si slaccia la tunica, così esplicito che i Medici ai quali era destinato lo relegarono per secoli in un deposito. Mario Minniti aveva uno di quei volti che Caravaggio amava molto, tondi, pieni, dalle sopracciglia nette, con una fisionomia che risulta femminea e dolce nei volti maschili, diventando decisa e scabra in quelli femminili, come nel caso di Lena o Fillide. L’aspetto più interessante è che questi oggetti d’amore assomigliano tutti a Michelangelo Merisi stesso, secondo la legge dell’attrazione che ci fa desiderare chi ci assomiglia [oppure chi è radicalmente diverso da noi].
Mario Minniti compare anche nelle grandi commissioni pubbliche a carattere religioso, nella Vocazione e nel Martirio di San Matteo, e in un altro quadro a soggetto sacro, il San Francesco che Riceve le Stigmate. Il buio inizia ad invadere la tela, la luce si riflette sull’acqua in onde dorate e c’è un fuoco minuscolo in secondo piano, attorno a cui si affollano figure avvolte dall’oscurità. Il polo di luce più netto del dipinto è la carne dell’angelo, che sorregge il santo infilando le dita sotto la corda del saio legato intorno alla vita. Da sotto le sue palpebre a mandorla indirizza all’uomo in estasi uno sguardo d’amore.
Fine prima parte_
La seconda parte partirà con una digressione sul sesso degli angeli. Poi parleremo di San Giovanni Battista, degli eremiti deserto, del dolore, della decapitazione, dell’arte e del suo legame con la morte_ Stay Tuned.
BIBLIOGRAFIA
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Andrew-Graham Dixon, Caravaggio. Fra sacro e profano. Mondadori, 2010.
Costantino D’Orazio, Caravaggio segreto. Sperling & Kupfer, 2014.
Rodolfo Papa. Caravaggio. Milano: La biblioteca dell’arte, 2005.
Creighton E. Gilbert, Caravaggio and His Two Cardinals, The Pennyslvania University Press, 1995.
Maurizio Calvesi, Le realtà del Caravaggio. Einaudi, 1990.
Jean Genet, Il Funambolo e altri scritti. Adelphi, 1990.
Jean Genet, Miracolo della Rosa. Il Saggiatore, 2006.
Don Delillo, Underworld. Einaudi, 1999.
Oscar Wilde, Salomè. Rizzoli Libri, 2001.
Jhonn Balance, The Golden Age of Bloodsports. Cornell University Library, 2014.
Tom Wolfe, Radical Chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto. Castelvecchi, 2005.
https://it.wikipedia.org/wiki/Caravaggio
http://www.cultorweb.com/Caravaggio/CC.html [questo sito è molto bello]
VIDEOGRAFIA
Caravaggio (Derek Jarman, 1986)