L’arte di Diego e Lino Borghi ha molteplici livelli di lettura. Sotto ad una superficie di simboli sub-culturali, provenienti dal mondo dei tatuaggi, della musica hard rock e del cyberpunk, affiorano gli archetipi della coscienza collettiva, quelle costanti che da sempre ricorrono nella storia della cultura occidentale.Anche quando si mostra sul supporto eterodosso del tatuaggio, l’iconografia del Sacro Cuore sopravvive alla secolarizzazione e continua a connettersi all’idea di matrice cristiana della sacralità della sofferenza e della preservazione della sua memoria.
Il pentacolo è un antico simbolo cosmico che rappresenta la totalità, i quattro elementi più il quinto, lo spirito, e la loro inarrestabile energia creatrice. Emblema di Venere, astro del mattino, il pentacolo è stato caricato di significati satanici nella guerra per immagini tipica dei momenti di svolta da un paradigma religioso all’altro, quando il mondo occidentale è passato dalla civiltà classico-pagana a quella cristiana. Il teschio è un motivo costante di tutta la storia dell’arte, dalle prime tumulazioni paleolitiche, di fatto vere e proprie installazioni simboliche, alle Totentanz medievali, al basamento della croce sul Golgota nell’iconografia della passione, con cui l’arte occidentale non ha mai cessato di confrontarsi, al memento mori e alla riflessione sulla vanità della vita dell’arte barocca. Fido compagno della Maddalena penitente e di Amleto, il teschio sopravvive ai secoli, arrivando a risplendere di 8601 diamanti veri nell’opera più costosa della storia dell’arte, For the Love of God, per mano di Damien Hirst, l’artista più famoso della contemporaneità. El Dìa de los Muertos, la festa dei morti messicana, coniuga la rappresentazione del corpo scarnificato dalla morte con colori vividi e rutilanti, ed elementi decorativi come fiori, puntini, linee ripetute. Quest’estetica si ritrova spesso anche nell’arte di Frida Kahlo. Quella di confrontarsi con le immagini della propria dissoluzione è una costante antropologica e trans-culturale.Tipicamente occidentale invece la riflessione iconica sulla croce. Contrariamente a ciò che ci si potrebbe aspettare, le croci raffigurate da Lino e Diego Borghi non possono essere ascritte alla corrente di raffigurazione iperrealista del supplizio, che nasce nel Basso Medioevo e trova il suo apice con Grunewald, ma bensì a quella corrente più metafisica e spirituale, di promessa di salvezza del simbolismo proto-cristiano: la croce gloriosa, gemmata o fiorita.
Le opere di Lino e Diego Borghi offrono l’occasione di confrontarsi con le radici simboliche della nostra cultura, da un punto di vista inedito e finalmente vicino alla sensibilità delle nuove generazioni.
Testo critico scritto per la mostra Nel nome del Padre, inaugurazione 20 novembre 2010 presso Magazzini Criminali
L’arte di Diego e Lino Borghi ha molteplici livelli di lettura. Sotto ad una superficie di simboli sub-culturali, provenienti dal mondo dei tatuaggi, della musica hard-rock e del cyberpunk, affiorano gli archetipi della coscienza collettiva, quelle costanti che da sempre ricorrono nella storia della cultura occidentale.
Anche quando si mostra sul supporto eterodosso del tatuaggio, l’iconografia del sacro-cuore sopravvive alla secolarizzazione e continua a connettersi all’idea di matrice cristiana della sacralità della sofferenza e della preservazione della sua memoria.
Il pentacolo è un antico simbolo cosmico che rappresenta la totalità, i quattro elementi più il quinto, lo spirito, e la loro inarrestabile energia creatrice. Emblema di Venere, astro del mattino, il pentacolo è stato caricato di significati satanici nella guerra per immagini tipica dei momenti di svolta da un paradigma religioso all’altro, quando il mondo occidentale è passato dalla civiltà classico-pagana a quella cristiana.
Il teschio è un motivo costante di tutta la storia dell’arte, dalle prime tumulazioni paleolitiche, di fatto vere e proprie installazioni simboliche, alle Totentanz medievali, al basamento della croce sul Golgota nell’iconografia della passione, con cui l’arte occidentale non ha mai cessato di confrontarsi, al memento mori e alla riflessione sulla vanità della vita dell’arte barocca. Fido compagno della Maddalena penitente e di Amleto, il teschio sopravvive ai secoli, arrivando a risplendere di 8601 diamanti veri nell’opera più costosa della storia dell’arte, For the Love of God, per mano di Damien Hirst, l’artista più famoso della contemporaneità. El Dìa de los Muertos, la festa dei morti messicana, coniuga la rappresentazione del corpo scarnificato dalla morte con colori vividi e rutilanti, ed elementi decorativi come fiori, puntini, linee ripetute. Quest’estetica si ritrova spesso anche nell’arte di Frida Kahlo. Quella di confrontarsi con le immagini della propria dissoluzione è una costante antropologica e trans-culturale.
Tipicamente occidentale invece la riflessione iconica sulla croce. Contrariamente a ciò che ci si potrebbe aspettare, le croci raffigurate da Lino e Diego Borghi non possono essere ascritte alla corrente di raffigurazione iperrealista del supplizio, che nasce nel Basso Medioevo e trova il suo apice con Grunewald, ma bensì a quella corrente più metafisica e spirituale, di promessa di salvezza del simbolismo proto-cristiano: la croce gloriosa, gemmata o fiorita.
Le opere di Lino e Diego Borghi offrono l’occasione di confrontarsi con le radici simboliche della nostra cultura, da un punto di vista inedito e finalmente vicino alla sensibilità delle nuove generazioni.