Questo weekend hanno avuto luogo le prime iniziative culturali promosse dal comune in occasione della Settimana dei Cimiteri Storici Europei, sui vari modi in cui l’arte viene coinvolta nei processi di elaborazione del lutto. Oltre alla visita guidata al cimitero monumentale di San Prospero che si è svolta nel pomeriggio di sabato, Paggeriarte ha inaugurato la mostra di fotografie di Diego Cuoghi realizzate all’interno del sepolcreto sassolese. L’altro paese – questo è il titolo della mostra – ci sorprende. Non ha nulla di gotico, non viene ritratto mediante fotografie in bianco sgranate e piene di contrasto, come avrebbe richiesto il canone della raffigurazione cimiteriale.
Cuoghi sceglie una rappresentazione ariosa e piena di colori, di luce, di vegetazione rigogliosa. Raffigura i portici del cimitero come una teoria di volte a vela dipinte nelle tinte calde dell’azzurro e dell’arancione, si sofferma sulla plasticità fiabesca dei tronchi dei cipressi, dedica un’inquadratura dall’alto a una costellazione rossa e dorata di ceri accesi, mostra un albero, antico simbolo della vita, che si staglia contro il cielo primaverile in un prato di tombe, margherite, ed erba verde pastello. Le sue fotografie, per la loro qualità eterea e sospesa, sembrano suggerire il legame che intercorre fra la vita e la morte, il vincolo dell’affetto e la persistenza della memoria, ovvero le ragioni di fondo per cui sorgono i cimiteri monumentali.
Perché a distanza di anni ci si possa ricordare ancora di Eusebio Marazzi, studente in medicina morto poco prima di dare la tesi, di cui Cuoghi ritrae il monumento funebre isolando il particolare delle mani che stringono un libro aperto, oppure di Linda, una magra ragazzina di dodici o tredici anni col ciuffo e le trecce, “nata a Vitriola e uccisa dai tedeschi”.
La conferenza sulla categoria estetica del bello sepolcrale, svoltasi l’altra sera in Paggeriarte, si coniuga con la mostra fotografica di Diego Cuoghi sul Cimitero Monumentale di San Prospero, e prefigura la presentazione del saggio sul cimitero suddetto che avverrà a novembre. Il relatore Carlo Sisi, esperto di storia dell’arte e presidente del Museo Marino Marini di Firenze, ha fatto una sinossi sulle usanze funebri e sul rapporto con la memoria dei defunti all’interno della nostra società. Sisi ha messo in evidenza come la Rivoluzione Francese, specialmente nell’epoca del Terrore, si sia adoperata per distruggere il ricordo e i monumenti funerari dei re e degli uomini illustri, facendo seppellire Mozart in una fossa comune, in nome della democrazia. Durante il Diciannovesimo secolo il senso della memoria fu recuperato, con la diffusione dei Pantheon, come quello di Santa Croce (a cui Foscolo dedicò I sepolcri), in cui sono inumati Michelangelo, Alfieri e Machiavelli. In seguito agli editti napoleonici, i cimiteri vennero spostati fuori dalle mura delle città, per motivazioni igieniche da un lato, e ragioni emotive dall’altro: lo sfondo naturale e ameno della campagna poteva avere una funzione consolatoria per il dolore dei superstiti.
Questa stessa funzione veniva adempiuta dai monumenti funebri, che con la loro plastica bellezza aiutavano ad alleviare la pena del lutto. I cippi funerari venivano decorati da una fitta trama di simboli, fra i quali i più ricorrenti erano le farfalle, simbolo dell’anima (la Psiche del mito greco aveva ali da farfalla), papaveri, simbolo del sonno e dell’oblio, corone di offerta al defunto, serpenti ctoni e uccelli notturni.
Un grande esponente e riformatore dell’arte funeraria è stato il “divino” Canova, che ha realizzato il monumento a Vittorio Alfieri, ai papi Clemente XIII e XIV, e quello di Cristina D’Austria. Sopra al sculture commemorative venivano collocate le epigrafi, che contribuivano a tenere vivo il ricordo del defunto narrando la sua storia. Durante la temperie romantica l’arte funeraria ha catalizzato l’interesse di artisti, poeti e letterati. Vediamo pertanto come nel Diciannovesimo secolo il cimitero fosse un luogo sociale, frequentato dagli uomini, concepito per la meditazione e per il colloquio con i cari estinti.
pubblicato su L’informazione di Modena il 21 luglio 2008 pdf