Fame, what you like is in the limo
Fame, what you get is no tomorrow
Fame, what you need you have to borrow
Fame
David Bowie, Fame
How does it feel to be
One of the beautiful people?
How often have you been there?
Often enough to know.
What did you see, when you were there?
Nothing that doesn’t show.
The Beatles, Baby You’re a Rich Man
The beautiful people, the beautiful people
Marilyn Manson
Vorrei una pietra tombale senza iscrizioni di sorta. Nessun epitaffio, neppure il nome. Anzi no, mi piacerebbe che fosse scritto sopra “finzione”.
Andy Warhol
“Surrealismo, n.m. Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero.”
Manifesto Surrealista del 1924
Spesso, nel mondo ufficiale dell’arte, il Surrealismo Pop è considerato poco più di un guazzabuglio di bamboline, teschi, pinup, e chincaglieria subculturale modaiola. Noi invece vogliamo partire dalle parole, e dalla storia che sta dietro di loro. Assieme a Dada, il Surrealismo e la Pop Art sono sicuramente i movimenti artistici più influenti rispetto all’estetica e alle poetiche della cultura contemporanea. La Pop Art sviscera tutto quello che concerne il sex-appeal dell’inorganico, l’orgasmo merceologico, la democrazia dei quindici minuti di gloria e la morte che li segue.
Il nocciolo del Surrealismo, a parte il lascito di superficie dei fondali onirici, riguarda un’implacabile ricerca della verità. Trasversale, criptica, fatta attraverso gli strumenti dell’humour, del caos, dell’errore. Ma, non di meno, implacabile.
Veniamo quindi a David LaChapelle. Perché noi abbiamo il sospetto che non ci sia nessuno più Pop-Surrealista di lui.
Rispetto all’assioma sulla ricerca della verità, ci siamo: LaChapelle mostra ciò che il velo delle apparenze ci impedisce di vedere, amplificando ciò che viene appena accennato, soprattutto riguardo al mondo dorato dei divi, delle fotomodelle, delle icone glamorous.
Ma anche sul finto perbenismo della working class americana, come emerge dalla serie Drunk Americans, in cui si vedono famiglie della porta accanto sconvolte, con nonne che vomitano dentro cestini dei rifiuti, gente che fa tittare la birra ai cagnolini, padri che correggono il biberon con la Kalhua al cioccolato e madri a gambe all’aria sotto piogge di whisky. Da una parte il lato oscuro del successo, dall’altra quello del sogno medio americano. “Bello come l’incontro di un ombrello con una macchina da cucire su un tavolo operatorio”, disse l’idolo dei surrealisti, Lautréamont. Per David LaChapelle, invece, si potrebbe dire bello come una fotomodella badante che porta in giro un freak ingessato su una sedia a rotelle davanti alla sfinge. Bello come una copula fra la Venere Nera e una pantera di ceramica dentro una giungla finta. Bello come l’incontro di una star di Hollywood con i suoi vibratori cromati sopra ad un tavolo operatorio.
Uno dei dogmi epistemologici del Surrealismo è il paradosso: LaChapelle cerca di focalizzare la realtà attraverso tutto ciò che è artificiale, dallo sfavillare della plastica, ai brillanti falsi del kitsch, fino alla galassia effimera della fama.
Una componente fortissima del lavoro di LaChapelle è l’erotismo, proprio come nell’indagine di Breton e soci, ma questo tema è talmente ricco e meraviglioso che meriterebbe un articolo a parte.Veniamo ora al lato Pop. Nell’opera di LaChapelle possiamo vedere enormi satelliti a forma di lattine di Coca-Cola che colpiscono Suv di miracolate dello shopping, Ronald Mcdonald smutandato in attesa di farsi Pamela Anderson, sacchi di plastica pieni di vuoti di Gatorade e Nestea, videocamere della Sony, magliette della Adidas fra i discepoli dell’home-boy Jesus Christ. Nell’opera Pop di un discepolo di Andy Warhol non potevano mancare i grandi marchi, eppure gli oggetti di consumo su cui David LaChapelle focalizza maggiormente la sua attenzione sono i divi.
Il divismo viene rappresentato come mondo a sé, ontologicamente sur-reale, in cui ognuno dei suoi rappresentanti veicola un codice differente rispetto ciò che dovrebbe essere la vita divina. Ovvero la sua vita, quella che costruisce mediante la realtà e la finzione che gravitano intorno al suo personaggio.
Un po’ come nei videoclip, in cui ciascun cantante cerca di rappresentare la sua idea di successo e coolness.Delle duecento e passa di icone dello show-biz ritratte da LaChapelle, possiamo passare in rassegna soltanto un piccolo campionario. Partiamo dalla coniglietta bionica Pamela Anderson, stereotipo della bambola di piacere californiana.
Pamela ottiene la sua tintarella da Baywatch nella macchina dell’abbronzatura miracolosa, che le spruzza il marrone dorato addosso tramite degli aerografi a doccia. Lady Godiva sulla moto in corsa, spesso è circondata dagli obiettivi vogliosi dei fotografi.
In uno dei suoi ritratti più riusciti, Pamela viene aggredita dal suo spettro peggiore, ovvero il suo doppio, dopo la trasformazione in grassa porcella rosa.
Pamela si vendica massacrando il malcapitato Goldie con una mazza da baseball, e nel mentre sfoggia il suo sorriso da Barbie Girl e dei seni grossi tanto quanto la sua testa.
Abbiamo la reginetta tragica degli abusi e del mito del successo ad ogni costo, Miss World Courtney Love. Pesta, col trucco sfatto e i lividi sul corpo, si aggira per fabbriche distrutte e invase dalla sporcizia, oppure si trastulla con il cuore delle Hole in stanze di motel di terza categoria. Tutta la sua parabola è rappresentata nella Pietà in copertina di Heaven to Hell. All’interno di una stanzetta illuminata dai glitter e da una calda luce aureolare, in mezzo a tavolini pieni di sciroppi per la tosse, bottiglie di Champagne e ceri da cimitero, vediamo una Courtney già schiava del chirurgo plastico che tiene in grembo il corpo scarno di un duplicato di Kurt Cobain, le cui stigmate sono i buchi dell’eroina. Amanda Lepore, la musa al silicone di David LaChapelle, è stata un transessuale molto precoce e una delle mitiche party-monsters newyorkesi degli anni Novanta. Senza età e senza freni inibitori, tutta votata al piacere, Amanda inala piste di diamanti, prepara righe di cocaina lunghe mezzo metro, si trasforma nelle icone warholiane di Elizabeth Taylor e Marilyn Monroe. Amanda cita La Metamorfosi di Kafka facendosi stimolare in mezzo alle gambe da un dildo elettrico, maneggiato da una tatuatrice con un insetto biomeccanico sulla schiena.
Poi, attraverso le sue labbra di burro abnormi e lucide come latex rosa, Amanda succhia il latte dei suoi capezzoli di plastica, oppure fa l’amore squirtando un cuore rosa antico su una parete celeste. E infine si mette a frustare il sedere nudo di Courtney Love, rievocando i suoi esordi da dominatrix, forse per punire Courtney di non avere calibrato in maniera omogenea i pattern ghepardi del suo underwear.
Paris Hilton, l’ereditiera più dirty-sexy-rich di questi anni fa il dito medio a tutti dalla suite dell’albergo di nonna. Paris ironizza sui suoi guai con la legge, facendosi portare via da due sbirri, con addosso una tutina viola che non lascia nulla all’immaginazione. Poi mostra il suo lato rock ‘n’ roll trasgressivo aprendo le gambe sullo sgabello di una batteria glitterata, e sfoggiando nel mentre un micro-bikini con la scritta “Eat The Rich”. Da parte sua, lei si accontenta di ingoiare un grosso ghiacciolo rosa, ricordandosi forse nel frattempo del suo virtuoso film One Night in Paris.
Gisele Bundchen mostra le perversioni del fashion-system in una camera oscura sviluppando foto fetish con l’assistenza di uno slave palestrato, in déshabillé in una stanza piena di ragazze grasse che la guardano, oppure in veste di poliziotta armata di manganello in procinto di perquisire profondamente tre muscolosi detenuti. Attraverso la prospettiva di David LaChapelle, anche nei panni della casalinga annoiata, Gisele riesce a regalare emozioni.
LaChapelle lavora molto anche sull’iconografia della fotomodella anonima, che si trasforma di volta in volta in pezzo di carne sui banchi del supermercato o manichino in mezzo a busti di plastica numerati. Le fotomodelle vengono riprese collassate in mezzo a scenari da tsunami, nell’atto di percorrere giungle popolate da dinosauri, mentre mangiano pezzi di carne cruda e ipocalorica con le bacchette da sushi, oppure alla deriva dentro orizzonti futuristi.
LaChapelle ha un’abilità inarrivabile nel cogliere l’essenza di tutti gli archetipi incarnati dalla gente famosa, mischiando gossip e mito, realtà e finzione, desiderio e pericolo. Quest’indagine sui quindici minuti di gloria della beautiful people, l’intuizione di come la fama vada a costituire una dimensione surreale, la consapevolezza della natura reale dell’immaginario sono le caratteristiche che connotano David LaChapelle come Surrealista-Pop.
Pubblicato su Lobodilattice
http://www.lachapellestudio.com/
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