Christiane F. è un’icona contemporanea. Vergine filiforme che si nutre di succo di ciliegia, budini alla vaniglia ed acidi cristallini, Christiane ama David Bowie, gli animali e il sole, fuma un pacchetto di sigarette in tre ore e si fa il primo buco di eroina prima ancora di dormire con un ragazzo. Christiane fa le esperienze tipiche dell’adolescenza, conosce l’amore, il sesso, l’amicizia, le regole sociali, attraverso il filtro dell’abuso di eroina e dell’esercizio quotidiano della prostituzione. Rispetto ad altri romanzi autobiografici sul problema della dipendenza, come ad esempio Alice i Giorni della Droga, Christiane F. non si rifugia nello stereotipo universalmente accettato del “mi hanno spinto, quasi costretto a diventare tossicodipendente”, ma rivendica la sua responsabilità, la sua volontà autodeterminante. Il successo conseguito dal romanzo autobiografico tratto dalle sue confessioni, del film ispirato al romanzo, la sua successiva notorietà artistica nel circuito underground, la sua presenza alle feste delle grandi star confermano che Christiane F. rappresenta qualcosa di degno d’attenzione nella struttura simbolica della società occidentale. La sua esperienza, per cui a quattordici anni si inietta quotidianamente almeno ottanta marchi di eroina, si prostituisce per avere i soldi e vede una buona parte dei suoi amici cadere morti, si configura come un’esperienza al limite. La narrazione del superamento del limite costituisce la chiave di volta della narrativa contemporanea, ma non è solo questo il motivo del successo del romanzo, e nemmeno la morbosità dell’utente medio voglioso di sapere in cosa consista la vita di una prostituta bambina. Noi, I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino è un’opera narrativa straordinaria perché lo sguardo di Christiane è sorprendentemente intelligente, capace di vedere degli aspetti universali scomodi che vanno ben oltre l’esperienza contingente della tossicodipendenza.Inoltre, all’epoca della pubblicazione del romanzo e del lancio del film, Christiane F. è molto bella, molto più bella dell’attrice scelta per interpretare il suo ruolo. Superamento del limite, intelligenza, bellezza. Sono questi gli ingredienti base del divismo di fine Millennio.Christiane Vera Felscherinow arriva a diciotto anni ripulita dall’eroina, e si ritrova sul conto quattrocentomila marchi di diritti d’autore. Grazie alla notorietà in ambito editoriale (la sua autobiografia è di fatto prima nella classifica dei bestseller) inizia a lavorare in libreria a Kaltenkirchen. Successivamente affitta un appartamento ad Amburgo assieme a quattro musicisti imparentati con la Neue Deutsche Welle. Nessuno vuole affittare loro in un quartiere perbene, ma trovano lo stesso uno stabile meraviglioso in stile Jugendstil, in cui ogni camera è fornita di lavandino: era stato la sede di St. Pauli Nachrichten, una rivista porno, e prima ancora un bordello. Christiane abita insieme a Klaus Maeck, proprietario del RipOff, il primo negozio di dischi punk dell’Alster, fondatore dell’etichetta indipendente Freibank e regista del film Decoder, distopia acida e paranoide in cui compare anche Christiane assieme a Sua Maestà William Burroughs. Altri suoi coinquilini nell’appartamento di Amburgo sono F. M. Einheit e Frank Ziegert, membri del gruppo punk degli Abwarts. In questo periodo, Christiane si mette con Alexander Hacke, un ragazzino tremendo ed occhialuto di quindici anni, che abita negli squat fin da quando ne aveva quattordici. Hacke, quello stesso anno, entra a far parte di un certo gruppo fondato sul caos estremo e sulla fede nella venuta dell’apocalisse, gli Einstürzende Neubauten. Parallelamente, Christiane ed Alexander costituiscono un duo musicale, i Sentimentale Jugend. Bazzicano i Die Genialen Dilletanten, un’avanguardia artistica contro la guerra, la politica, la logica e l’estetica dominante, sulla cui paternità disputano Blixa Bargeld e Wolfang Muller. La notorietà di Christiane F. la porta ad andare in America per promuovere il film tratto dalla sua autobiografia, dove viene intervistata da Rodney Bingenheimer. Conosce Nina Hagen e gira assieme a lei con la sua Buick turchese con autista, fumando hashish, facendo shopping, andando alle sfilate e parlando di alieni. Alloggia allo Chateau Marmont lo stesso giorno in cui John Belushi muore di overdose, ma lei non sa nemmeno chi è. Nell’81 conosce Bowie, ma per Christiane è una grande delusione: “Era più piccolo di me, più esile, e aveva i baffi come quelli di mio padre. Allucinante. David Bowie con i baffi?” C’è da dire che in quell’occasione lei è troppo fatta di coca per spiccicare parola, e che Bowie è appena uscito per il rotto della cuffia da una dipendenza da cocaina peggiore di quella di Christiane da ero, quindi forse è per questo che la scintilla fra loro non scocca. David Bowie comunque se la porta in viaggio in aereo e le dà i pass per assistere al suo concerto, dopodiché scompare. Christiane partecipa a una festa con gli AC/DC in un pacchiano castello in America, vede la nascita della canzone Jump dei Van Halen. Quella di Christiane Felscherinow sembra essere una bella stella, fatta con alcuni dei tratti più salienti della mitologia rock ‘n’ roll, la bellezza, l’abuso di stupefacenti, la promiscuità, l’acutezza di ingegno, l’irriverenza. Ciò che le manca non è tanto il talento, quanto l’impegno necessario a creare cose e a perseverare nel farlo. La sua stella si rivela una meteora, declina, mentre l’eroina ritorna sempre più prepotentemente, assieme ad un anno di galera e alla battaglia persa per la custodia del figlio. Ci sono anche luci nette, come il periodo di idillio freak nelle isole greche assieme al suo grande amore Panagiotis. Ci sono i periodi come ragazza alla pari con i Keel, una ricca famiglia di intellettuali svizzeri che il destino le manda per rimediare alla sua famiglia biologica, che si prendono cura di lei come se fosse loro figlia e che le fanno conoscere la crema degli scrittori viventi, da Margareth Mahy a Dürrenmatt. Christiane si rivela essere la grande regina triste delle occasioni sprecate: ha avuto la possibilità di intraprendere varie carriere e vari cammini, ma ha preferito continuare a fare la cosa per cui ha meritato la fama, ovvero rovinarsi di eroina. Il bel mondo, della musica e del cinema underground, del rock mainstream, dei salotti intellettuali, dopo un iniziale interesse per la sua figura estrema, le ha infine voltato le spalle.Christiane ora vive assieme al suo cane in quello che viene descritto come un regime di povertà. Non ama i mobili, non accende mai il riscaldamento, se c’è abbastanza freddo stacca anche il frigo. Soffre di fibrosi al fegato, una malattia cronica che la fa sudare costantemente, le fa passare le notti in bianco a vomitare, e la fa pensare spesso al suicidio. È convinta che ci sia della gente che la spia da anni e si introduce di nascosto nel suo appartamento. Odia la sua icona, che le si è incancrenita addosso come un doppio maligno: “Io sono e resterò sempre una star del buco. Un animale da fiera. Una bestia rara. Una ragazza dello Zoo di Berlino.” Ma è proprio quello che Christiane ha scelto sempre di essere.In generale La Mia Seconda Vita, il secondo romanzo di Christiane Felscherinow, per quanto interessante, ha poca solidità narrativa. La mancanza dei due giornalisti curatori del materiale si fa sentire. Molte parti potenzialmente appassionanti risultano sacrificate, non c’è alcuna menzione dei film d’avanguardia girati da Christiane, si parla poco dell’incredibile scena musicale di quel periodo, molte parti risultano oscure a livello di cause ed effetti. Non si capisce ad esempio il motivo per cui le portano via il figlio, e nemmeno la terribile cosa che fa a Gode Bennedix, il dj vestito Vivienne Westwood, affinchè lui la lasci. Ci sono parti valide ed oneste, la descrizione della propria sofferenza fisica, il carcere, il periodo greco, l’amore mostruoso nei confronti di un padre che le ha rovinato la vita e che non le vuole parlare da trent’anni. Ci sono dei ritratti sfolgoranti, come mai se ne erano visti nemmeno in Noi, I Ragazzi dello Zoo di Berlino, di vari tossicodipendenti che Christiane ha frequentato nel corso degli anni, persone disperate, completamente distrutte, la cui dipendenza e vita ormai sono oltre tutti i limiti, e per le quali non c’è nessuna speranza. Questa galleria di ritratti mostra il vero ed ultimo volto dell’eroina. Spesso però, in molte altre parti, aleggia il sospetto che la narrazione venga spinta dalla più odiosa deformazione psicologica del tossicodipendente, dalla nemica mortale di ogni forma di parola scritta, ovvero la menzogna patologica. Quella che manipola la verità non per rivelare, ma per nascondere, confondere, sembrare migliori di quello che si è. Chi scrive può essere la persona più vile del mondo, ma quando scrive deve avere il coraggio di dire la sua verità, per quanto parziale, spregevole, poeticamente travestita e terribile possa essere. Altrimenti scrivere non serve a nulla e a nessuno.
In questo articolo concentreremo l’attenzione su Noi, I Ragazzi dello Zoo di Berlino, che rimane un capolavoro, ed andremo ad indagarne vari aspetti: la figura paterna, le dinamiche di potere, il senso di tribalismo, il rapporto con gli animali, l’iconografia, i luoghi in cui si svolge la vicenda, la droga, la prostituzione, l’amore e la morte.
IL PADRE
Christiane vive una prima infanzia idilliaca, da bambina selvaggia: nelle campagne di Nutzen gioca nei boschi, costruisce dighe nei fiumiciattoli, sta sempre in mezzo agli animali e fa parte di un gruppo di bambini in cui si decide democraticamente quale sia l’idea migliore per trascorrere la giornata. A causa di velleità imprenditoriali di suo padre, che vuole aprire un’agenzia matrimoniale, nel 1968 la sua famiglia si trasferisce a Berlino. Nel contesto urbano, nel suo stile di vita più claustrofobico, la famiglia di Christiane rivela la sua enorme disfunzionalità, che ruota intorno alla figura paterna. Richard è un buono a nulla, figlio di una famiglia ricca espropriata dai suoi averi dalla collettivizzazione della DDR, che ha in continuazione dei progetti per recuperare la sua ricchezza perduta. La sua inettitudine a realizzarli viene proiettata sulla famiglia, di cui ha un rifiuto totale. Richard si fa mantenere dalla moglie e frequenta rampolli abbienti più giovani di lui per illudersi di essere ancora così. Costringe Christiane e sua sorella a fingere di non essere sue figlie e a chiamarlo zio in pubblico. Qualsiasi cosa facciano, il minimo errore, il più piccolo giocattolo fuori posto, viene punito con enormi razioni di botte, che spesso arrivano nel cuore della notte quando le bambine dormono. La madre assiste impotente, finchè non si decide a chiedere la separazione. Memore della povertà della sua generazione, la madre di Christiane lavora duro per poter arredare decentemente la casa e per poter comprare alle figlie tutto quello di cui hanno bisogno. Per rimediare alla severità del proprio padre, la madre di Christiane permette alle figlie di uscire, di andare in discoteca, di rimanere a dormire da amici, e su tutto ciò Christiane tesserà il suo tappeto di bugie per mascherare le prime fasi della sua tossicodipendenza.Guardando a suo padre, Christiane capisce che la ammazza di botte perché pensa che la famiglia sia stata un ostacolo alla sua carriera, e nello stesso tempo lo vede sempre “col culo per terra”. Il padre è un fallito totale, della peggior specie, che vorrebbe “essere per forza qualcosa di meglio e contare davanti agli altri”. La visione del senso di fallimento del padre e della follia del suo comportamento porta Christiane a credere che tutto quello che gli adulti insegnano sia sbagliato, esattamente come quello che vietano.
IL POTERE
Una parte molto importante della struttura narrativa e quindi delle motivazioni del comportamento di Christiane è la sua attenzione per le dinamiche di potere, che impara a subire per mano paterna, da cui ricava la sua fame di far parte della cerchia di chi il potere lo detiene e non lo subisce.
“Da noi al paese non c’era il capo: ognuno poteva fare proposte sui giochi che si volevano fare. Quindi si litigava fino a che una proposta non passava. Non c’era niente di strano se per una volta i più grandi cedevano nei confronti dei più piccoli. Era una vera democrazia di bambini. A Gropiusstadt, nel nostro stabile, un ragazzino era il capo. Era il più forte ed aveva la più bella pistola ad acqua. Giocavamo spesso ai banditi. Questo ragazzino era naturalmente il capo dei banditi. La più importante regola del gioco era che noi dovevamo fare tutto quello che lui comandava.”A scuola Christiane si rende conto che creare caos porta riconoscimento, e questa grande verità verrà confermata dal successo raggiunto dal romanzo tratto dalla sua intervista e dal film. Capisce che essere accettati dal gruppo è una “lotta dura e continua”.
Dimostrare debolezza in contesti sociali è proibito, ad esempio “piangere di fronte al gruppo è kitsch”.
Il primo ragazzo che piace a Christiane è Piet, perché sembra “tremendamente sicuro di sé”.
I rapporti di potere balzano agli occhi più il livello delle droghe aumenta. L’eroina è rivelatrice in questo senso, perché azzera tutte le sovrastrutture su cui si basa la convivenza civile, mostrando in piena luce l’ossatura delle dinamiche di comando e sudditanza. Quando i ragazzi entrano nel giro della prostituzione, Christiane nota che Detlef e Berndt, essendo belli, possono permettersi di trattare male i clienti, di insultarli quando sono forniti di eroina e non hanno bisogno di loro, mentre Axel, che nonostante il suo carattere meraviglioso è molto brutto, deve sempre avere un atteggiamento condiscendente e sottomesso. Le regole sono: se sei brutto, sei debole; se non sei abbastanza aggressivo, sei debole; se hai bisogno di qualcosa, sei debole. Più il bisogno è assoluto, più tu sei debole. Ed essere deboli è severamente proibito.
Dopo la sua prima crisi di astinenza, improvvisamente Detlef diventa meno sollecito a regalarle la roba, perché ora lei ne ha bisogno. Il bisogno genera debolezza e punti deboli da sfruttare. Nonostante Christiane provi un grande senso di umiliazione, di sottomissione, la sensazione di essere una nullità, nello stesso tempo è anche soddisfatta per il passaggio di status. “Ora sei una vecchia bucomane, come avevi sempre desiderato. Nessuno può più trattarti di merda, ora sei tu che tratti di merda gli altri.” In questo momento, Christiane si ricorda anche di quando aveva mandato in paranoia dei vecchi eroinomani in crisi di astinenza, nel momento in cui erano maggiormente sensibili: “con loro avevo scatenato la mia smania di potere.”Christiane si nutre della paura di Max Balbuzia, un povero derelitto che diventa il primo cliente fisso suo e di Detlef. Nonostante l’affetto che dimostra loro nei fatti, nel modo in cui li tratta e nelle premure che usa, Detlef e Christiane lo abbandonano completamente quando Max perde il lavoro, e di conseguenza non può più dare loro dei soldi.Christiane sente il bisogno di affermarsi in ogni contesto in cui si ritrova, anche quelli che odia come la birreria in cui la porta il padre, convinto di farla smettere con l’eroina facendole apprezzare l’alcol e i suoi fondali sociali.
APPARTENENZA TRIBALE
La cosa in assoluto più importante per Christiane è trovare un gruppo sociale che le piaccia e farne a tutti i costi parte. Rispetto agli altri gruppuscoli adolescenziali, Christiane è attratta da quello dei fumatori di hashish e di chi in genere preferisce la droga all’alcol. Questo perché non sono rumorosi, non si picchiano, non si danno arie. Le piacciono gli “sballati” perché sono più sensibili, mostrano più empatia rispetto non solo agli “etilici”, ma anche rispetto ai rapporti interpersonali che ci sono a scuola, che Christiane trova “incredibilmente squallidi”. Nei primi periodi lei e i suoi amici vanno anche a vedere mostre d’arte. Il gruppo costituisce un mondo privato, una famiglia, una tribù a cui appartenere.Quasi tutti gli amici di Christiane provengono, come lei, da situazioni familiari agghiaccianti. Il padre di Stella è morto, sua madre, che era stata una gran bellezza, è un’alcolizzata. Babsi ha un padre suicida e una madre che fa la ballerina e la fotomodella, mentre il suo compagno è un pianista di successo. Loro sono perennemente all’estero, e Babsi vive con una nonna molto severa, che non sopporta. Per questo preferisce vivere per strada, o a casa dei clienti. I ragazzi in generale, da Detlef ad Axel, hanno figure genitoriali indifferenti alla loro tossicodipendenza. La madre di Axel gli ha dato a disposizione un appartamento pur di averlo fuori dai piedi, in cui il figlio vive in condizioni immonde. In questo modo, cadute le figure di riferimento all’interno della famiglia, i modelli di comportamento si cercano proprio all’interno della cerchia di amici.
Detlef è molto carino e sensibile, i suoi amici lo chiamano Bamboletta. Quando Christiane conosce quelle che diventeranno le sue migliori amiche, Babsi ha dodici anni e Stella tredici. Babsi le piace più di Stella e diventerà la sua amica preferita. Babsi pesa trentuno chili, ha una faccia innocente da angioletto, per questo motivo tutti i clienti vogliono sempre lei. La sua famiglia è ricchissima e lei ha una camera da piccola principessa, ma nessuno si cura davvero di lei, tanto che Babsi arriverà a conquistarsi le prime pagine di tutti i giornali a quattrodici anni, per essere la più giovane morta di eroina della Germania.
Axel, il ragazzino brutto che deve mostrarsi sempre gentile con i clienti per non perdere la sua fonte di guadagno, è una persona molto amabile ed affettuosa. Tutte le settimane, quando Christiane si ferma a dormire nel suo appartamento lurido durante il weekend, Axel le rifà il letto perché possa dormire in lenzuola profumate di bucato. Non si offende mai, o almeno non lo dà a vedere, e aiuta tutti come nessun altro eroinomane fa. Christiane pensa che il suo modo di fare angelico sembra non appartenere a questo mondo. Infatti, dopo un anno e mezzo, Axel muore di overdose.
La droga rafforza il senso di appartenenza tribale. Dopo essersi fatta con Pollo e Berndt, Christiane afferma che si sentono come “fratelli, come parte di una bella famiglia”. All’inizio tutti i ragazzi del gruppo la trattano come la loro principessina, fanno le marchette al suo posto, le comprano sempre l’eroina più pulita anche se è la più cara, perché Christiane ha problemi di fegato.Anche nei periodi della prostituzione Christiane afferma di essere sicura che “tra i ragazzi che non si drogano non ci sono amicizie stupende come c’erano nel nostro gruppo”. Ma poco dopo si rende conto che la droga alla lunga distrugge tutti i rapporti, che si litiga furiosamente perché “si vede il proprio squallore riflesso nell’altro”.Ad un certo punto si crea un regime di isteria per cui le tre ragazze litigano sempre per stabilire quale delle tre sia la prostituta più miserabile, Christiane che va con gli stranieri alla Bahnohf, Stella che rischia con gli automobilisti sulla Kurfursenstrasse, o Babsi che ha rapporti completi. Quando una delle tre manca, le altre due sparlano di lei.La droga rende tutto più intenso, il sentimento di amicizia, la complicità, l’amore, la rabbia, il disprezzo, l’odio e i tradimenti reciproci. È come un suffisso superlativo, un oggetto sacro attorno a cui si costruisce un culto tribale. A questo culto bisogna sacrificare tutto, la propria salute, la propria virtù, il proprio corpo, la propria mente e tutti i rapporti più cari. Ma, tolto l’idolo, la tribù collassa.
LA PROSTITUZIONE
I primi tempi, quando accompagna Detlef a prostituirsi, Christiane si sente superiore alle altre ragazzine che già battono, perché è meno rovinata di loro. Inoltre vede che loro hanno paura di lei, perché è nuova e più fresca e quindi potrebbe rubare loro tutti i clienti. Si sente superiore anche ai clienti, li tratta in malo modo e li scaccia. Nello stesso tempo nota come tutte le altre ragazzine fingano, come siano schifate dai clienti ma debbano comunque sorridere ed essere gentili per poter rimediare i soldi. William Burroughs la chiamava l’algebra del bisogno.
Christiane inizia a prostituirsi un giorno in cui lei e Detlef stanno particolarmente male e prendono un pacco da uno spacciatore. Il suo primo cliente la paga tantissimo ed è molto eccitato perché la vede terrorizzata. Inizialmente Christiane tiene i clienti a distanza toccandoli e non facendosi toccare da loro. A quattordici anni arriverà a guadagnare quattromila marchi al mese, “più di un direttore di ditta”.Quando ancora non sono completamente agganciati, i ragazzi della sua cerchia si aiutano a vicenda, cercano tutti di fare le marchette solo quando sono fatti, quando invece sono in crisi di astinenza ci vanno gli altri. Assieme a Babsi e Stella, Christiane discute su quali siano le caratteristiche che connotano un cliente come buono o migliore rispetto agli altri clienti. I plus sono dati dall’usare il preservativo, voler fare solo sesso orale, essere un po’ giovani e non così orrendamente grassi, comportarsi gentilmente. Ma la cosa più importante, il discrimine fondamentale chiaramente sono i soldi.A Natale, grazie ai soldi ricevuti in regalo, Christiane sta più tranquilla, perché può farsi uno o due clienti in meno. La tipologia dei clienti è antropologicamente molto rivelatoria. C’è la vittima, il drop out disperato che paga soprattutto per la presenza e l’illusione di calore umano, c’è il pervertito pedofilo, c’è il ricco uomo d’affari abituato a comprare qualsiasi cosa, anche la presenza di due quattordicenni in un’orgia per animare una festa nel suo appartamento milionario. C’è infine l’omosessuale innamorato e masochista, destinato a fare una gran brutta fine.
Max Balbuzia è il primo cliente fisso di Christiane e Detlef. È “una persona perbene”, un operaio con una storia di violenze domestiche alle spalle. Christiane percepisce che vuole bene sia a lei che a Detlef, è premuroso con loro, fa trovare loro le cose che preferiscono, il succo di ciliegia e il budino di semola, che cucina lui stesso. Quando ne hanno bisogno, Max riesce sempre a racimolare i soldi per una dose, e Christiane si rende conto che spesso a casa sua non c’è cibo, perché Max dà a loro tutti i soldi che ha e non riesce nemmeno a fare la spesa per mangiare. Lei e Detlef dormono da lui e stanno a casa sua a guardare la televisione. Un giorno Max scoppia a piangere perché trova un articolo che parla di un morto di eroina che si chiama D. e teme che sia Detlef. Ma Detlef e Christiane odiano tutti i clienti, quindi anche lui, anche se provano un po’ di compassione perché capiscono che “a lui va ancora più di merda” che a loro.Babsi ha fin da subito un cliente fisso e anzianotto che si chiama Heinz, con cui dice di potersi limitare a rapporti non completi e a farsi fare delle foto pornografiche. Ma il più grande pregio di Heinz è che la paga in eroina. Le ragazze lo trovano “un cliente stupendo, perché ti risparmia le corse in giro per trovare la roba.” Quando Christiane ci andrà a sua volta, capirà che Heinz è un gran pervertito e che pretende rapporti completi. Heinz verrà infine arrestato per pedofilia e sfruttamento della prostituzione, dopo una rocambolesca caccia all’uomo. Sarà proprio testimoniando durante il processo di Heinz che Christiane conoscerà Kai Herman e Horst Rieck, i due giornalisti che la porteranno alla ribalta internazionale.Quando ritornano nel giro dopo la prima disintossicazione, Detlef e Christiane conoscono Jurgen, un cliente molto ricco, un uomo d’affari con cui fanno un’orgia durante una festa di ricchi creativi. Tirando le somme Christiane dice che è pur sempre un cliente, quindi sgradevole, ma prova anche un sentimento di amicizia nei suoi confronti. Lo ammira perché è ricco e va da lui anche solo così, per chiacchierare.Prostituirsi è chiaramente molto pericoloso. Le prostitute professioniste spesso danno la caccia alle ragazzine tossiche che rubano i clienti, e quando le prendono le pestano a sangue, “le graffiano fino a ridurle a carne tritata”. Il pericolo peggiore però non sono le professioniste, ma i magnaccia. Una volta Babsi cade nella trappola di un magnaccia che si finge un cliente normale, che la sequestra e la tortura per tre giorni, costringendola a fare sesso con un esercito di derelitti, alcolizzati e vagabondi, mentre lei è in crisi di astinenza.Christiane impara che non bisogna “andare con i tipi giovani che hanno la macchina sportiva o una macchina americana: si tratta di magnaccia. I tipi un po’ anziani, con la pancia, la cravatta, possibilmente anche col cappello vanno bene. I migliori sono quelli che nel retro dell’auto hanno un seggiolino da bambino. Bravi padri di famiglia che vogliono per un attimo sostituire la “mamma” e che, garantito, hanno più fifa loro delle ragazze con cui vanno.”
Dormire dai clienti è l’ultima spiaggia per chi non ha una casa, ma significa chiaramente avere rapporti sessuali completi.
Quando Christiane inizia infine a battere per strada con gli automobilisti, uno dei suoi clienti è uno sbirro.
Nel frattempo Detlef inizia a vivere da Rolf, un gay completamente cotto di lui, che Detlef schiavizza come una moglie sottomessa, mandandolo a fare la spesa, facendolo pulire e cucinare. Christiane è molto gelosa e il loro rapporto inizia ad incrinarsi. Verso la fine del romanzo, Christiane incontra Rolf in stazione. È diventato tossico a sua volta e fa molta fatica a rimediare clienti perché ha già ventisei anni. Detlef è in terapia, e Rolf è disperato perché lo vorrebbe al suo fianco. Christiane lo tratta malissimo, lo accusa di voler sabotare il recupero di Detlef per puro egoismo, si diverte a mandarlo in paranoia perché Rolf sta in crisi d’astinenza. Christiane va a stare a casa sua, sorbendosi i suoi deliri d’amore per Detlef e le sue fantasie di mettere su casa con lui una volta ripuliti entrambi. “Mi dicevo talvolta che noi Rolf ce l’avevamo proprio sulla coscienza. Sarebbe rimasto solo un povero, solitario gruista finocchio che ogni tanto scacciava le sue pene con una ubriacatura se non ci avesse incontrato.”
L’ICONOGRAFIA
Come tutte le adolescenti, Christiane è molto attenta alla propria immagine. Tramite l’immagine costruisce la sua identità e marca la sua appartenenza al gruppo sociale di cui vuole fare parte. Ancora prima di diventare eroinomane, Christiane è magrissima e adora il suo aspetto. È molto esperta su come si stringono i pantaloni. “I pantaloni stretti da schiattare” sono il suo marchio di fabbrica.Porta i capelli lunghi per nascondere la faccia, stivaletti con la suola di dieci centimetri, cappotto da venti marchi con lo spacco lungo fino al sedere. Nel periodo in cui si prostituisce gira con la busta di plastica, un oggetto molto importante nell’immagine dei tossici. Dentro ci tiene la giacca, la siringa e il cucchiaio. Quando sta in stazione con la sua busta di plastica di Blika, spostandosi con disinvoltura da un gruppo di rifiuti umani all’altro, si sente “fantastica, star fra le star”. Indossa i soliti jeans molto stretti, una giacca da uomo e stivali con tacchi altissimi. Tutti gli elementi dell’immagine dell’eroinomane mettono in risalto le sue caratteristiche, la magrezza spettrale accentuata dai pantaloni, la fisicità dinoccolata messa in evidenza dai tacchi vertiginosi, una rudimentale corazza data dalla parte superiore dell’abbigliamento, che sia la giacca oversize o il pellicciotto di coniglio. Christiane si mette la sua “uniforme da bucomane” anche quando è confinata a casa della zia per disintossicarsi, ci va nel bosco col cane, nonostante i tacchi la facciano inciampare e cadere di continuo. Le viene l’orrore quando la nonna le dice di comprarsi “un paio di scarpe per camminare”.
Lei tiene a quest’immagine nonostante faccia ribrezzo agli altri. Una volta scappando da una retata, urta un anziano, che le urla dietro: “Ma che fai, brutto cadavere ambulante!”
Dell’iconografia della tossicodipendenza fa parte anche l’adorazione per il Duca Bianco, David Bowie. “(…) andai in metropolitana e vidi che ovunque si stavano attaccando dei manifesti. Erano manifesti pazzescamente pop. Sopra c’era scritto: ”David Bowie viene a Berlino”. Non riuscivo a capacitarmi. David Bowie era il nostro idolo solitario, il più stupendo di tutti. La sua musica era la migliore. Tutti volevamo assomigliare a lui. E finalmente veniva a Berlino.”Christiane non lo poteva sapere, ma da lì alla fine dell’anno Bowie si sarebbe trasferito proprio a Berlino Ovest al 155 di Hauptstrasse, in un appartamento di sette stanze a pochi isolati dalla casa dove era nata Marlene Dietrich. Bowie diserta Los Angeles dopo aver registrato Station to Station, e scappa in Europa, nella capitale della Germania divisa dal muro. Lo fa per salvarsi dalla follia e dalla morte, per ripulirsi dalle droghe, per porre un freno alla sua dipendenza da cocaina, che gli faceva passare le giornate provando a cambiare canale della televisione con il pensiero e cercando di capire se fosse militarmente più forte la struttura dell’albero della Qabbalah ebraica o le gerarchie delle potenze infernali.
Bowie all’epoca pesava cinquanta chili e aveva continue allucinazioni, vedendo spesso i suoi doppi, quelli su cui ha costruito la sua carriera.
Claudio Fabretti su Onda Rock cita la rivista Uncut: “Con la mente alterata dalla cocaina, Bowie si convinse che due fan volevano impadronirsi del suo sperma per essere fecondate in un sabba, in modo da propagare il satanismo nel mondo. Passava i suoi giorni scarabocchiando enormi pentagrammi sulle pareti di casa, conservando la propria urina nel frigo per proteggersi dai malefici, scolpendo enormi monoliti davanti alla tv… Visitandolo, gli amici John Lennon ed Elton John si convinsero che fosse prossimo alla morte“. C’è quindi una strana corrispondenza di amorosi sensi fra Christiane e il suo idolo, nonostante uno ami la velocità schizofrenica, mentre l’altra la pace artificiale. Anzi, sembrerebbe che nel periodo in cui Christiane batte per avere la droga, il suo idolo, dall’altra parte dell’oceano, mentalmente sia messo molto peggio di lei.Nonostante gli anni e la sua attitudine hardcore, Christiane rivela alla fine del libro di aver sempre odiato il punk, “il trip dei punk per la brutalità”. Non di meno, adotterà un meraviglioso look postpunk nei primi anni Ottanta: “A quel tempo usavo stivali con le borchie e ombretto nero, e avevo il cranio rasato a metà.” In questo periodo, Christiane si veste con maglie militari, maglioni infeltriti, collant velati, scaldamuscoli, felpe oversize con collo borchiato, abiti color ghiaccio, cinture di proiettili. Porta il death-hawke, ovvero la cresta larga, codificata da Jonny Slut degli Specimen ed adottata ad un certo punto da tutti, da Blixa Bargeld a Giovanni Lindo Ferretti. Christiane però la porta senza cotonare i capelli, con il ciuffo lungo sugli occhi e le rasate laterali. In questo periodo interpreta Decoder, un film del suo coinquilino Klaus Maeck sull’ossessione, l’esclusione sociale, la criptocrazia, il lavoro come estensione del regime nazista, la paranoia dei media e il controllo delle menti. Il film è basato sulla credenza un po’ ingenua che la rivoluzione contro il sistema si possa fare per mezzo della musica industriale. Ci sono alcune sequenze rimarchevoli, una breve ma orripilante scena di necrofilia, e un sabba infuocato in una fabbrica abbandonata in cui il sacerdote supremo, che parla di terrorismo informatico, è Genesis P-Orridge. Christiane recita il ruolo di una sorta di strega post-apocalittica che lavora in un peep-show, alleva rospi allucinogeni, li bacia, li vezzeggia e li addestra ad uccidere. La vediamo con un trench grigio alla Joy Division, un bomber di peluche leopardato, sottovesti bianche e rossetto nero.
Fine prima parte _ Nella seconda parte del pezzo dedicato a Christiane F. indagheremo i luoghi in cui si svolge la vicenda, l’eroina, l’amore, la morte, il rapporto con gli animali, la vita senza droghe. Stay tuned _
Bibliografia
Christiane F., Noi, I ragazzi dello zoo di Berlino, a cura di Kai Hermann e Horst Rieck, Rizzoli Editore, 1981.
Christiane V. Felscherinow con Sonja Vukovic, Christiane F., La mia seconda vita, RCS, 2014.
Giovanni Rossi, Kyt Walken, Silence is sexy. L’avanguardia degli Einsturzende Neubauten, Tsunami edizioni, 2014.
http://www.ilmitte.com/christiane-f-intervista-seconda-vita/
http://thequietus.com/articles/07233-david-bowie-cocaine-low
http://viaggizainoinspalla.com/2014/07/08/partire-per-berlino-alla-ricerca-di-david-bowie/
http://www.lastampa.it/2014/05/24/spettacoli/musica/a-berlino-scoppia-la-bowiemania-