Divismo, moda, estetica camp, subculture, gusto, arte: in tutti questi ambiti e in molti altri ancora la Marchesa Luisa Casati è un personaggio fondamentale per l’iconografia contemporanea. Senza di lei molte cose che ci sono care non sarebbero mai esistite, in particolar modo le dive trasformiste come Madonna, Patty Pravo o Lady Gaga.
Con le sue ciglia finte lunghe sei centimetri, l’altezza imponente, la magrezza sinuosa, la voce da contralto, i vestiti da Regina degli Inferi, la Marchesa è stata forse la prima vera diva contemporanea, fondatrice del culto dell’immagine di sé, con una carriera durata più di trent’anni. Grazie alla potenza della sua immagine, Luisa Casati è stata forse anche la prima icona gay del Novecento. Proto-situazionista, è ricordata per le sue memorabili ed inimitabili feste. Ha girato tutto il mondo, ha avuto palazzi da Mille e una Notte a Roma, a Venezia, a Parigi. La sua vita è stata un’ininterrotta performance.Di lei Catherine Barjanski ha detto: “Aveva un temperamento artistico, ma non essendo in grado di esprimerlo in nessuna branca dell’arte aveva fatto di se stessa un’opera d’arte. Non avendo alcuna vita interiore, né alcuna capacità di concentrazione, andava in cerca di idee selvagge per la vita esteriore.”
Luisa Casati in effetti aveva un talento troppo avanguardistico rispetto ai suoi tempi per l’immagine, nelle declinazioni più effimere dei suoi apparati. Se fosse vissuta un secolo dopo, Luisa Casati sarebbe potuta essere una grande designer di moda, una stylist, un’organizzatrice di eventi di prim’ordine, un’architetta d’interni, una performer.
La sua vita si può dividere in varie fasi, con gli inizi informi, i primi segni della divina metamorfosi, e i vari regni: il proto-regno di Roma, che rientra ancora nella fase embrionale, il regno di Venezia, il regno di Capri, il regno di Parigi, la disfatta e l’oscuro regno d’Albione. In questo pezzo indagheremo le varie fasi intrecciandole con le declinazioni e le metamorfosi dell’estetica della Marchesa Luisa Casati.
GLI INIZI _ IDOLI, CATALIZZATORI, POLI DI INTERESSE,
BASI DELL’ESTETICA
Luisa nasce nell’anno 1881, sotto la stella dei privilegiati. Suo padre Alberto Amman è un imprenditore che commercia in stoffe e che fonda l’Associazione Cotoniera Italiana, nell’epoca in cui la rivoluzione industriale fa decollare il Nord Italia. Grazie ai cotonifici di personaggi come l’Amman, a Milano nasce un’industria della moda competitiva con quella di Parigi. I genitori di Luisa fanno parte dell’élite nazionale, possiedono varie ville, a Pordenone e a Monza, dove va spesso in visita re Umberto. Inoltre hanno Villa Amalia sul lago di Como e degli appartamenti in via Brera a Milano. Della prima parte della vita di Luisa Amman sono rilevanti il precoce interesse per l’arte, le frequenti visite alla Pinacoteca di Brera, la timidezza estrema, l’esercizio del gioco infantile di provarsi i vestiti della madre – con la differenza che quelli di Lucia Amman sono di Worth e Doucet – l’amore per la divina Sarah Bernhardt, il confronto ad ogni sguardo fra la grande bellezza di sua sorella Francesca e la propria persona, più spigolosa, ossuta, nevrotica, meno tradizionalmente avvenente. Quando Luisa ha tredici anni, nel 1894, la madre muore all’improvviso. Due anni dopo viene a mancare anche il padre, probabilmente per eccesso di lavoro dovuto alle sue manie di controllo. Luisa e Francesca diventano le ereditiere più ricche d’Italia, proprietarie di ville, appartamenti, dell’industria cotoniera e di un enorme quantitativo di titoli, buoni del tesoro e fondi. A cavallo fra i due secoli, l’élite scopre lo sport, e le due orfane miliardarie elaborano il lutto giocando a tennis e praticando l’equitazione. Nel 1898 Luisa compie il suo primo gesto di iconoclastia rivoluzionaria: in anticipo di vent’anni rispetto alle flappers si taglia i capelli, si fa la frangia per sottolineare i suoi occhi enormi, facendosi quella pettinatura che, nonostante tinte mai viste (se non forse nei lupanari dell’antica Roma), non cambierà mai per tutta la vita.
A diciannove anni Luisa si sposa con il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino. La vita matrimoniale di Luisa è fatta di continui spostamenti fra le varie residenze possedute dai Casati, su una Mercedes con autista. A parte lo sport, un’altra occupazione considerata à la page per l’alta borghesia di inizio Novecento è l’occultismo: teosofia, Isidi svelate, misticismo, neoplatonismo, macchine per il moto perpetuo o per predire il futuro, vangeli secondo gli spiriti, metafonia, automatismi, trance, insomma tutti gli strascichi pseudoscientifici del Romanticismo confezionati in modo da svagare i figliolini viziati di Eliphas Lévi. A fine Ottocento lo spiritismo ha milioni di seguaci, fra cui Cesare Lombroso, Sir Arthur Conan Doyle, e perfino alcuni vertici della gerarchia ecclesiastica cattolica. I Casati, assieme ai loro amici Sforza e Visconti, si dedicano a sedute spiritiche e discorsi su argomenti inerenti la magia. Un argomento di conversazione ricorrente è Cristina Trivulzio di Belgioioso, grande intellettuale del Risorgimento, altra eccellente seguace dell’occultismo. Cristina di Belgioioso è nota per aver avuto molteplici amanti, fra cui un bellissimo tisico di diciott’anni più giovane di lei, che morì per complicazioni dovute alla malattia. Cristina lo fece imbalsamare, e il suo corpo venne rinvenuto nel suo guardaroba. Luisa Casati viene paragonata dai suoi amici alla Trivulzio per i suoi occhi sporgenti da insetto, e questo personaggio la colpisce così tanto che chiama la sua unica figlia Cristina in suo onore. Un altro personaggio che le piace è Virginia Oldoini, la contessa di Castiglione: frequentatrice assidua di balli a cui va con vesti trasparenti, a vent’anni diventa spia e amante di Napoleone III. La grande cortigiana finisce i suoi giorni obesa, calva e sdentata nel suo appartamento delle Tuileries, in cui tutti gli specchi sono sempre coperti come nella dimora di un vampiro.Quando Luisa Casati ha ventidue anni il suo ruolo di moglie cattolica inizia ad andarle molto stretto. Lei è incomparabilmente più ricca rispetto al marito, quindi potenzialmente priva di vincoli. Camillo non interferisce con la sua vita, ma è la normalità fatta persona, il suo unico interesse è la caccia.
Nel 1903, durante una caccia alla volpe sul lago Maggiore, Gabriele D’Annunzio vede “una giovane amazzone sottile” che calma un cavallo imbizzarrito. Nonostante il suo aspetto, caratterizzato, come dice Gilbert Adair, dalla “calvizie totale, il fisico tarchiato e l’aspetto di un tacchino azzimato che lo faceva sembrare un uovo sodo in un portauovo di Fabergé”, il re dei dandies decadenti avrà su Luisa Casati l’effetto chimico di un catalizzatore, stimolandola intellettualmente ed esteticamente, dandole quell’autoconsapevolezza che le farà iniziare la metamorfosi che porta in potenza. All’epoca non era solito che le donne della buona società avessero sfacciatamente degli amanti, mentre era universalmente accettato e tollerato il fatto che fossero i mariti delle coppie abbienti ad avere una o più mantenute oltre alla moglie ufficiale. Luisa rompe questa convenzione senza farsi nessun problema. Fra alti e bassi, lei e D’Annunzio staranno insieme fino alla morte di lui, continuando la loro relazione per decenni pur avendo nel frattempo altri amanti. Come era solito fare con le sue donne, D’Annunzio battezza Luisa con un soprannome, Kore, quello della dea Persefone, la virginale fanciulla che viene rapita da Ade e che diventa la regina degli inferi. Luisa dimostra la sua indipendenza accettando il soprannome, ma solo dopo un paio di modifiche, che lo trasformano in Corè, più morbido e francese. Di lei D’Annunzio ricorda: “Ella possedeva un dono e una sapienza onnipotente sul cuore maschile: sapeva essere o parere inverosimile. È la sola donna che mi abbia mai sbalordito”.
In questa fase embrionale della propria autopoiesi, Luisa inizia a gettare le basi della sua futura fama, lavorando sui cardini della propria immagine, l’aspetto, la creazione di ambienti unici, l’organizzazione di feste degne dei principi rinascimentali. Come tutti i megalomani dotati di indole artistica, Luisa fa riverberare il suo ego su quanto la circonda, in un’emanazione che coinvolge i vestiti e i paramenti, l’arredo dei suoi palazzi e la regia di eventi spettacolari.
Nei primi anni del Novecento, smette di vestirsi Worth e Doucet, troppo Belle Époque. Inizia a mettersi pizzi veneziani ed abiti con lunghi strascichi, incrementa il proprio pallore naturale grazie ad una polvere bianca, imita il trucco della Belgioioso con gli occhi cerchiati di nero e si tinge i capelli in toni ramati. Allestisce feste e balli in costume, ad esempio quello ispirato a Madama Butterfly e al giapponismo, oppure il capodanno al teatro Eden di Milano del 1903, in cui gli spazi sono organizzati secondo il modello delle cantiche della Divina Commedia.Nel 1906 Camillo Casati fa costruire una villa a Roma e Luisa la arreda in maniera inedita, molto irritante per le abitudini estetiche dei ricchi, che trovano deplorevole la mancanza di velluti rossi e mobili pesanti. Luisa Casati non piace molto ai suoi vicini di casa romani, perché è una nuova ricca, un’adultera e soprattutto frequenta artisti, come Arturo Martini e Marinetti, i cui adepti si riuniscono per un po’ a casa sua. Nella sua villa romana i giardinieri vengono istruiti per far sì che la fontana crei un mormorio musicale. Ogni cosa è bianca e nera, con pavimenti di ebano con pelli di orsi polari come in un video di Lady Gaga, che in effetti ha attinto più volte dalla fonte della Casati. Nella villa romana ci sono levrieri bianchi e neri con collari gioiello ed Angelina, un enorme mastino che obbedisce solo a Luisa. Anche la padrona di casa ormai si veste solo di bianco e nero, e porta al collo lunghissime collane di perle. Quando conosce Boldini, un artista di fama internazionale che aveva già ritratto Lina Cavalieri e Robert de Montesquiou, è al ristorante e le si rompe la leggendaria collana di perle. Boldini si adopera ad aiutarla a raccoglierle e, all’età di sessantacinque anni, si innamora follemente di Luisa. Nel 1908 le fa un celeberrimo ritratto, alle cui sedute di posa la Casati si presenta tutta in nero, come se stesse arrivando da un funerale di lusso: abito di raso di Poiret, manicotto di zibellino, fascia di violette in vita, guanti di seta bianca e cappello monumentale. L’abito viene giudicato dai contemporanei come sconveniente e diabolico, come anche lo sguardo aggressivo del soggetto. Luisa Casati, ancora prima di Coco Chanel, utilizza il color nero per vestirsi tutti i giorni, sfidando la convenzione dell’appena trascorso secolo vittoriano che lo voleva esclusivamente come colore da portarsi durante i funerali e nel periodo del lutto rituale. Senza Luisa quindi non ci sarebbero state le dark nè i maniaci fissati col total black come noi.D’Annunzio trasmette a Luisa Casati la passione per Venezia, dove ha luogo il primo dei suoi grandi regni. Luisa decide di affittare Palazzo Venier dei Leoni, iniziato nel 1749 da una delle famiglie più antiche di Venezia e mai finito. Lo prende in affitto nel 1910, quando sembra una rovina. Chiama una squadra di eccellenti maestranze, esigendo un restauro completo degli interni, che mantenga però l’aspetto di rudere decadente all’esterno. L’interno diventa tutto uno sfavillio di marmo bianco, in bicromie bianche e nere proprio come a Roma, lampadari di maestri vetrai e una stanza rifinita in foglia dorata. In giardino ci sono pavoni bianchi come nella villa di Susy in Giulietta degli Spiriti, merli albini e ghepardi, che la Casati si porta in giro al guinzaglio. Luisa va contro le leggi suntuarie veneziane, facendosi allestire una gondola dipinta di bianco, foderata di pelle di tigre e damasco nero.
VESTITI, MAKEUP E IMMAGINE
Come ha detto sua nipote Moorea Black, l’unica cosa che conta per Luisa Casati è l’immagine.
Mentre posa per Boldini, la Casati inizia a frequentare Cécile Sorel, un’attrice di teatro di grande successo, molto vanitosa, loquace, di cui sarà amica per vent’anni e che la descrive come la donna meglio vestita che abbia mai conosciuto.Durante il periodo del regno veneziano, Luisa finisce di mettere a punto e raffina i tratti salienti del suo personaggio. Continua ad usare ciprie chiarissime che rendono il suo viso luminescente, si fa le labbra rosse e gli occhi bistrati con le palpebre dipinte con nero di china, su cui a volte incolla sottili strisce di velluto nero in accoppiata con lunghe ciglia finte, per avere più intensità. Senza Luisa Casati non ci sarebbe quindi stata Siouxsie Sioux con le sue palpebre gotiche. La Casati si mette quotidianamente e per tutta la vita delle gocce di belladonna negli occhi, i cui flaconi marroni facevano parte dei complementi da toeletta di molte donne dell’epoca. La belladonna induce la midriasi, per avere pupille larghe ed occhi lucidi.
D’Annunzio, nel tratteggiare Isabella Inghirami, l’alter ego letterario della sua amante nel romanzo Forse che sì forse che no, scrive: “Ella amava rilevare col nero e col rosso la freschezza dei suoi venticinque anni; e sempre poneva il lutto alle palpebre e intorno alle iridi chiare, e talvolta insanguinava di un non natio cinabro la bocca. (…) Per ciò, pur così fragile e così elastica e così lasciva, ella s’apparentava con le grandi creature di Michelangelo. Le sue vesti vivevano con la sua carne come le ceneri vivono con la bragia.”
I capelli rossi diventano un altro tratto distintivo della Marchesa. Senza di lei, non ci sarebbero probabilmente state le iconiche chiome di Vivienne Westwood e Grace Coddington.
A Venezia, Luisa inizia a vestirsi da Mariano Fortuny, con i suoi innovativi, lussuosi e minimali abiti ispirati al Giappone, all’India, al mondo classico. La sua prima apparizione veneziana ha luogo in piazza San Marco: è avvolta in mantello rosso di Fortuny, con cappello di pelliccia nero e levrieri bicolor bardati di collari di turchesi, mentre un servo nero enorme le tiene sopra la testa un parasole di piume di pavone. Da allora iniziano a chiamarla “la Casati”. Quando Fortuny diventa troppo celebre e diffuso, la Casati si rivolge al costumista dei Balletti Russi, Léon Bakst, famoso per le sue creazioni rutilanti ed ispirate all’est barbarico.
Una volta Luisa arriva ad un ballo tutta vestita d’oro come la dea del sole, accompagnata da due servi dipinti d’oro e con un pavone al guinzaglio. Causa degli svenimenti a teatro perché si presenta con una coda di pavone intera intorno alla testa e del sangue di pollo appena sgozzato sul braccio destro. Una volta si veste da Lady Macbeth, in nero integrale, con alla gola una mano di cera che stringe un pugnale. A un ballo del barone Maurice de Rothschild si presenta con corna di ariete autentiche e ricoperte d’oro alle tempie. Si trucca la faccia d’oro e indossa diademi di serpenti impagliati. Va in giro per Parigi con un piccolo coccodrillo al guinzaglio, un vestito nero di Vionnet, un cappello a cilindro di pelle di tigre e una benda nera sull’occhio. Senza Luisa Casati non ci sarebbe stato Pete Burns dei Dead or Alive, che ha fatto della benda piratesca sugli occhi parte integrante della sua immagine. Fra il 1912 e il 1914, assieme alla Rubinstein, Luisa è la miglior cliente di Poiret, che le fa un elmetto di piume nere con parrucca verde. Grazie a questo copricapo viene soprannominata Venere di Père-Lachaise.Luisa incarna forse per la prima volta in carne ed ossa l’immagine della femme fatale, che fino ad allora era esistita solo in letteratura e nelle arti figurative. E’ un ibrido fra le bibliche fanciulle amanti della lama castratrice, Giuditta, Dalila e Salomè, la fata Morgana, le figure mitologiche di Circe e Calipso, fatali perché padrone della propria sessualità, la virago regicida Lady Macbeth e la Cleopatra di Shakespeare, la diabolica Matilda de Il Monaco di Matthew Lewis, le dame dagli occhi selvaggi di John Keats, la zingara dissoluta dell’opera di Bizet, l’orribile, malata di nervi, incadaverita, morbosa ed irresistibile Fosca nel romanzo incompiuto di Tarchetti, la vampira lesbica Carmilla, le ritornanti di Edgar Allan Poe, la furiosa Kathy di Wuthering Heights. Luisa si fregia di questa affascinante eredità adottando un’estetica medusea, che viene esaltata dall’interesse per l’occultismo e dalle leggende sugli amanti suicidi.
La Casati fa anche uso di codici propri della comunità lesbica dell’epoca, come il bracciale sopra al gomito al braccio sinistro oppure intorno alla caviglia destra, per aumentare le dicerie sulla sua depravazione. Con D’Annunzio si dedica al sesso violento e le capita di indossare i lividi sul collo al posto dei gioielli.
Senza Luisa Casati non ci sarebbero state le vamp del cinema muto, e non lo pensiamo solo noi, ma anche il critico Philippe Julian:
“La sfinge Art Nouveau spiegava le ali nere per diventare la donna vampiro dei film dell’orrore… questa malefica immagine della Casati in costumi sontuosi e inquietanti dominati da velluto e ricami neri, mantello e guanti neri con paillettes appariva sullo schermo … Con le loro facce pallidissime, gli occhi cerchiati di nero, queste figure emergevano dall’Orient Express o da un castello in Carpazia o da un palazzo di New York, seminando disperazione ovunque passassero col loro strascico. Bellezze imperturbabili avvolte in stole di pelli di scimmia, si toccavano le file di perle o gli orecchini di giada che scendevano fino alle spalle. Erano tutte giovani sorelle della Casati.” Non a caso il film The Devil’s Daughter del 1915 con Theda Bara è tratto da una pièce teatrale di D’Annunzio, La Gioconda. Luisa, come i principi delle epoche passate con i loro serragli esotici, possiede molti animali stravaganti, soprattutto nel periodo veneziano, in cui a Palazzo dei Leoni ci sono scimmie di varie specie, leopardi su di giri che alle feste cercano di mordere tutti, pappagalli, gattopardi, tigri. Per lei questi animali non sono altro che un accessorio vivente, come i servi neri nerboruti, li considera degli oggetti animati da utilizzare con la finalità di stupire chi la guarda. Le viene anche il pallino dei serpenti. Si fa fare scatole foderate di raso da gioiellieri famosi per potere portare sempre i suoi serpenti con sé. Quando, all’inizio degli anni Venti, il suo amato boa Anaxagarus ormai lungo svariati metri muore di polmonite, Luisa lo fa imbalsamare e continua a tenerlo nella sua teca. Nel 1925 va in America con una lussuosa nave da crociera, dove le scappa il suo nuovo pitone, seminando il panico fra i passeggeri. Luisa dovrà annegare la sua disperazione al bar del transatlantico, perché il suo nuovo pitone non verrà mai più trovato. Luisa Casati usa molto la nudità. Gira per Venezia di notte con i suoi leopardi al guinzaglio avvolta solo in un mantello di pelliccia nera. Nel periodo di Capri, Sir Compton MacKenzie inizia a frequentarla e durante il primo incontro lei lo riceve sdraiata su una pelle di orso nero davanti al camino acceso, completamente nuda. Senza Luisa Casati non ci sarebbe stata Cicciolina nuda con il suo serpente.L’utilizzo dello shock visivo è un tratto molto in anticipo sui tempi, proprio dell’estetica postmoderna, che ama i picchi di adrenalina.
Catherine Barjanski si ricorda delle sue scarpe coi tacchi ricoperti di diamanti, e del fatto che nonostante le sue mise da Mille e una Notte Luisa Casati non sembrasse mai artificiosa. “Era così diversa dalle altre donne che sarebbe stato impossibile per lei indossare abiti normali.”
Nel 1919 Luisa ad Oxford gira con un bastone da passeggio alto come lei nel cui pomello tiene l’assenzio. Va in India e quando torna è convinta di essere stata una tigre in una vita precedente, pertanto cammina con una nuova andatura flessuosa portandosi dietro al guinzaglio un cucciolo di tigre. Infine si tinge i capelli di colore giallo verde con strisce nere dal parrucchiere parigino Antoine. Senza Luisa Casati non ci sarebbero state le punk con i Crazy Colors nè Gloria Cavalera con la sua chioma verde.Luisa Casati per tutta la vita ama indossare pellicce di animali esotici, soprattutto quelle di leopardo, e anche questo tratto avrà vari eredi. Ad esempio, Edie Sedgwick è stata fotografata con la sua pelliccia di leopardo autentico i primi tempi in cui stava a New York. Il testimone animalier verrà raccolto sia dalle vecchie cougar ricche degli anni Settanta e Ottanta, sia dalle giovani punk amanti delle fantasie leopardate e zebrate. Senza la Casati probabilmente non ci sarebbe stato il leopardato.Nel 1923, nonostante la pressione dei debiti la costringa a vendere la sua casa di Roma ed a cedere il Palazzo dei Leoni, Luisa non abbandona la mania delle spese folli. Le torna l’ossessione per il suo idolo giovanile, la contessa di Castiglione. A Parigi fa incetta di oggetti che le sono appartenuti, ventagli, ritratti, sandali. Si veste con i suoi ammennicoli per Le Bals du Grand Prix all’Opéra di Parigi, con il supporto del divino Erté, che all’epoca collabora con Paul Poiret e che le disegna un enorme vestito di crinolina nera intessuto di diamanti. L’abito deve essere indossato e sfoggiato accanto a quattro amici fra cui Erté stesso, travestiti altrettanto riccamente, che impersonano vari attanti della vita della Castiglione. Il bracciale, lo specchio e il medaglione d’onice che Luisa sfoggia in quest’occasione sono pezzi originali appartenuti alla Contessa.Negli anni Venti, quando ormai la Marchesa ha superato i quarant’anni, la giovinezza diventa un attributo molto importante e le riviste di moda insegnano alle donne ad essere eleganti spendendo pochissimo. A metà del decennio l’eccentricità inizia ormai ad essere considerata un peccato di stile. In questo modo i tempi iniziano a superare la Divina Marchesa.
LE FESTE
Senza Luisa Casati non ci sarebbero stati i teatrali New Romantics, i Club Kids, né le discoteche di tendenza, con le serate tematiche e l’animazione di stampo teatrale. Luisa diventa una leggenda internazionale grazie ai suoi balli in maschera, in stile rinascimentale, settecentesco, indù, persiano, con i suoi servi neri nudi che buttano incessantemente limatura di rame sui bracieri per produrre bagliori verdastri, che battono i gong o fanno da figuranti con la pelle ricoperta di foglia d’oro. Mitico rimane il ballo Longhi in Piazza San Marco, con carabinieri in alta tenuta in veste di buttafuori che trattengono la folla ai cordoni di sicurezza. Tutte le finestre delle case intorno vengono affittate a prezzi inauditi, e la gente sta appollaiata sui tetti per poter assistere allo spettacolo. Per promuovere le sue feste ed invitare il bel mondo veneziano, Luisa fa più o meno così: “Entrò una donna che sembrava un cadavere. Indossava un abito di raso bianco avvolto intorno al corpo superbo come un sudario. Un bouquet di orchidee le nascondeva il seno. Aveva i capelli rossi e la carnagione livida come alabastro. Il viso era divorato da due occhi enormi, le cui pupille nere quasi sommergevano la bocca, dipinta di un rosso così vivo da sembrare sangue coagulato. Tra le braccia aveva un cucciolo di leopardo … non riuscivo a resistere all’attrazione provocata da quella strana donna. Puntò un piccolo monocolo tempestato di diamanti sugli altri invitati e li invitò ad un ballo in maschera.” Tutta Europa vuole partecipare alle feste di Luisa Casati, ci vanno personaggi del calibro di Pablo Picasso. Lei vi compare su cocchi trainati da fiere, avvolta da serpenti, causando risse fra gli altri invitati. Finge di cadere morta vestita da Sarah Bernhardt.
Nel 1925, nell’ultima fase del suo periodo parigino, i famosi balli iniziano a perdere mordente, degenerano in orge, vengono sbeffeggiati dalla plebaglia che si arrampica sui muri perimetrali. Un giorno Luisa Casati prepara un ballo sontuoso incentrato sulla figura del conte di Cagliostro. L’uso della luce elettrica è vietato, tutti i domestici hanno splendide livree settecentesche e i baristi sono vestiti da diavoli. Tutti gli invitati, arrivano con costumi incredibili, c’è la crema del bel mondo parigino dell’epoca. Sul più bello arriva però una tempesta che spazza via tutti gli allestimenti, e tutti fuggono con i costumi inzaccherati di fango. Il Bal du Cagliostro è un completo fallimento.
MALEFICO GLAMOUR
Robert de Montesquiou è stato uno degli illustri amici della Casati, la chiamava dea e spesso la accompagnava a fare shopping da Lalique. Di lei ha anche detto: “Medusa o tigre che sia, quando sorride par che morda.” Non ce ne vogliano i suoi molti ammiratori e fans, ma ci siamo fatti l’idea che Luisa Casati sia stata una gran stronza.
Per inseguire la sua vocazione di diva e per fondare il regno veneziano, non esita ad abbandonare la figlia Cristina che, a nove anni, viene spedita in un rigorosissimo collegio cattolico in Svizzera. Se era prassi comune all’epoca tenere le distanze con i propri figli, Luisa evidenzia nei confronti di Cristina altri comportamenti non proprio sani. Ad esempio, quando la figlia ha tredici anni, Luisa continua a vestirla con abiti infantili, per evitare di fare i conti col tempo che passa. Quando nel 1914 Luisa divorzia dal marito, Cristina sceglie di stare con lei. Luisa non si fa commuovere da questo gesto e la lascia nel collegio svizzero, dove perfino nei bagni le ragazze devono tenere la camicia da notte per non indulgere in pensieri peccaminosi. Le concederà di andare ad Oxford a patto di risiedere in un appartamento assieme alla governante. Nel 1953 la figlia muore a causa di un tumore e la Casati non si presenta al funerale. Ma forse Luisa odia i funerali, dal momento che non era stata nemmeno a quello del suo pigmalione D’Annunzio.
Quando la sorella Francesca rimane sfigurata da una meningite, Luisa smette di invitarla alle sue feste favolose. E questo nonostante il fatto che Francesca fosse l’unica di tutti i suoi parenti ad andarla a trovare. Tutti gli altri la ritenevano una specie di pecora nera, evitandola come la peste.
Per tutta la vita, Luisa manifesta il suo odio nei confronti delle donne. Non ne vuole intorno, perché lei deve essere l’unico polo di attrazione, ma anche perché le donne capiscono meglio la natura del suo artificio. Catherine Barjansky, ceroplasta, la conosce al Ritz, accetta una commissione e racconta di come Luisa se la sia portata dietro per settimane al fine di trovare vestiti adeguati per il suo doppio di cera. “Era sua abitudine occuparsi interamente delle persone finchè non aveva succhiato da loro tutto ciò che era insolito ed interessante, per poi mollarle del tutto. Quando mi capitò di incontrarla in altri paesi e chiederle come stavano gli amici con cui l’avevo vista a Parigi, lei aveva scrollato le spalle. Il loro tempo era finito. Ma aveva grande fascino, molta immaginazione e vedeva il mondo in modo divertente e originale. Dove c’era lei non ci si annoiava mai.” Il vampiro glamour che abbandona i cadaveri una volta risucchiato tutto quello che può dal punto di vista estetico ed emotivo è diventato ai giorni nostri un modello etico largamente praticato.
Come tutti gli egocentrici, Luisa mostra la propria indifferenza per gli altri collezionando ritardi pazzeschi, anche alle sedute di posa di Boldini.
Ai giorni nostri, Luisa Casati sarebbe stata la bitch number one di tutti gli animalisti. Luisa si circonda di animali a puro scopo ornamentale, fa tingere le loro pellicce di vari colori assurdi per intonarle con elementi del suo vestiario, e quando gli esemplari più esotici del suo serraglio muoiono per malattie, probabilmente causate da cure inadeguate in un clima a loro non congeniale, li cambia con leggerezza.
Lo stesso ruolo di figuranti Luisa lo riserva ai suoi servi neri. Li sceglie alti e muscolosi, li fa vestire di vesti succinte come se fossero schiavi in un delirio di esotismo imperialista. Il suo amante D’Annunzio, uno dei firmatari del Manifesto degli Intellettuali Fascisti dell’aprile del 1925, pur trovandosi infine in disaccordo con la deriva totalitaria, continua ad intascare gli assegni di mantenimento del Duce. Luisa condivide sicuramente i suoi orientamenti ideologici, tanto che farà molta fatica a sopportare il secondo marito di sua figlia Cristina, Lord Milford Wogan Philips, chiamato il Pari Rosso per le sue simpatie comuniste.
Luisa Casati ci ha fatto pensare che fascismo e divismo hanno non pochi tratti in comune: la struttura piramidale, con l’idolo al vertice e la folla adorante alla base, la fascinazione della ricchezza che crea consenso, lo splendore abbagliante della maschera che equivale alla superficie finta dell’ideologia, il gusto per lo spettacolo.
Fine prima parte
Bibliografia
Scot D. Ryersson & Michael Orlando Yaccarino, Infinita Varietà. Vita e leggenda della Marchesa Casati. Corbaccio, 1999.
Jennifer Hedgecock, The Femme Fatale in Victorian Literature: The Danger and the Sexual Threat, 2008.
https://strangeflowers.wordpress.com/2012/06/28/places-palais-rose-le-vesinet/
http://www.fantasmitalia.it/locate.htm
http://www.messynessychic.com/2011/04/07/who-was-the-original-lady-gaga-hint-it-wasnt-madonna/