“Mi fa piacere che tu parta finalmente per l’Egitto, piccola Rondine.”, disse
il Principe, “ Ti sei fermata troppo tempo qui; ma mi devi baciare sulla bocca,
perché io ti voglio bene.”
“Non è in Egitto che vado” disse la Rondine.
“Vado nella Casa della Morte.
La Morte è la sorella del Sonno, non è vero?”
Oscar Wilde, Il Principe Felice
In my glass coffin, I’m waiting
Pj Harvey
La più macroscopica differenza fra la vita e la morte sta forse nel movimento. Nei corpi vivi, anche nel sonno più profondo o nel coma, rimane una lievissima vibrazione. I morti invece sono fermi. Congelati in stop motion nella loro ultima posizione, come statue.
L’arte nasce nel Paleolitico con la composizione rituale dei cadaveri dentro le sepolture. Oggetti, pose, corredi con significati trascendenti. Polly Morgan applica lo stesso tipo di procedimento a piccoli animali, allestendo camere funerarie, luoghi di attesa, oppure composizioni simboliche sulla falsariga delle nature morte seicentesche. Black Fever, la febbre nera è un grappolo di ali mozzate, come un serafino nero senza testa.
Nella morte avvengono tutte le trasformazioni, e capita che un mazzo di fiori sbocci di uccellini al posto delle corolle.
Morning: un pettirosso si conficca nel vetro di una finestra, diventando metafora di prigionia letale, dell’inganno dei sensi, di ciò che non si può prevedere. Receiver, un nido di volotti urlanti si è trasferito sul ricevitore di una cornetta del telefono, per affidare all’etere la propria fame, che è la stessa fame di contatto di chi si avvicina all’apparecchio telefonico.
La tecnica di cui Morgan si serve è la tassidermia, che rappresenta una delle tante sfide dell’essere umano alla morte, e che, come sempre, si risolve nella sconfitta. La mano dell’uomo riesce a bloccare il disfacimento, a conservare la forma. Ma nulla può contro la realtà ultima della perdita. Della creatura deceduta rimane solo l’immagine, il sembiante. Mai la sostanza.
Un volpacchiotto dorme acciambellato dentro ad una coppa di vetro, sotto a stalattiti di cristallo. Il bianconiglio ha scelto invece la sommità del cilindro del mago. Un pettirosso giace riverso all’indietro, sopra ad un vecchio breviario tascabile, dentro ad un micro-mondo di vetro.
Queste teche spesso hanno la forma delle cupolette di plexiglass con la sospensione liquida e la neve finta, oppure i glitter. Lo stesso mondo perfetto dove va ad abitare Susy Salmon, la protagonista di Amabili Resti (Peter Jackson, 2009), dopo la propria dipartita.
Polly Morgan allestisce tabernacoli illuminati da piccoli lampadari di cristallo, la versione ingioiellata delle luci sulle tombe dei morti. Il vetro funziona sia come confine di separazione sia come imitazione del ghiaccio e dei suoi ricami. E ricorda la bara di cristallo di Biancaneve, e la sua morte apparente.
Per molti bambini, il primo incontro con la morte avviene trovando degli uccellini caduti dal nido. Piccole implumi virgole a forma di feto, con grandi occhi a palla, e beccucci tondeggianti. Polly Morgan recupera dei volotti morti prima di imparare a volare, li imbalsama, e li mette in una teca di vetro, sospesi a palloncini pieni d’elio di sette colori diversi. Questi monumenti funebri in miniatura diventano malinconici emblemi, di ciò per cui si era nati, e che non è stato possibile fare.
L’opera Systemic Inflammation è costituita da piccole fiamme, un branco di canarini arancioni in volo, nell’atto di trasportare una gabbia. Una gabbia pesante, medievale, che rappresenta l’astrazione delle vestigia del corpo. Un contenitore cavo dislocato dai messaggeri, con un contenuto invisibile. Presso la maggior parte delle culture umane, gli uccelli sono psicopompi, creature che conducono le anime da un mondo a quell’altro. Questo perché, a differenza degli uomini, hanno le ali, e non sono vincolati alla terra.
I teorici del cinema dicono che la figurazione nasce con cosiddetto complesso della mummia, cioè la volontà umana di preservare le forme delle cose e degli esseri dall’erosione del tempo.
L’arte di Polly Morgan parte da qui, ma si spinge oltre. Sorvola territori di confine, parla di distanze, di perdite, di amore e memoria.
È come la vita brulicante e la morte che congela, in quel tempo e quel luogo in cui sono la stessa identica cosa.
Pubblicato il 2 maggio 2011 su Lobodilattice