La collettiva Emotional Landscapes mostra come la sensibilità contemporanea per il paesaggio abbia profonde radici nell’estetica romantica. Proprio nell’Ottocento nasce l’idea del mondo come cassa di risonanza individuale, e quindi il concetto che il paesaggio sia un’emanazione dell’interiorità. Il mondo non esiste, se non nei nostri sensi. Il mondo poi, nella speculazione attuale sulla corporeità, ha sostituito il polo tradizionalmente occupato dall’anima, nel dualismo oppositivo rispetto al corpo. Anima/corpo, corpo/mondo. Gli opposti si fronteggiano, e si fondono gli uni negli altri.
Mauro Barbieri rappresenta il paesaggio cittadino, in particolare gli snodi di flusso delle fermate d’autobus. Campiture che si sfocano a contatto con la luce: la tecnica impiegata è di matrice impressionista, per evidenziare la natura effimera dell’aura dei nonluoghi. Quei luoghi di passaggio in cui le persone non entrano in relazione, non elaborano memoria se non a brevissimo termine, e rimangono sospesi nel tempo interstiziale dell’attesa.
Dai nonluoghi al luogo che per millenni è stato emblema dell’alterità e del caos, il bosco. Maria Grazia Sarcina raffigura una radura in cui tronchi verticali si allungano davanti a una fonte di luce nebulosa. Una strana foschia pervade ogni cosa, alludendo all’inconoscibilità, al mistero che certi luoghi riescono a conservare. Perché, per quanto tutti gli alberi possano essere tagliati, alla fine il bosco avrà sempre la meglio sulla civiltà.
Arnaldo Vignali propone un pezzo della serie Digital Azulejos, fatto con stucco, smalto, e stampa digitale su piastrelle ultraleggere. Una finestra sulla regione di Essaouira, con le sue spiagge di surfisti, i mercati dei gioiellieri e delle spezie, le comuni hippy degli anni Sessanta a cui nemmeno Jimi Hendrix ha saputo resistere. Mogador diventa emblema del desiderio. Per fuggire dalla realtà. Per trovare qualcosa di totalmente altro.
Dal deserto sub-sahariano al deserto di neve dell’inverno nella Pianura Padana: Ernesto Ubertiello delinea una distesa di ghiaccio, con sullo sfondo alberi avvolti dalla nebbia. Un paesaggio ridotto alla sua essenza, fatta di distanze e dal nero di rami scheletriti.
In Sorriso Verticale stella (Stefania Gagliano) sperimenta soluzioni agghiaccianti sul tema dell’Origine du Monde di Coubert, lavorando sul concetto di corpi che sembrano paesaggi e paesaggi che sembrano corpi. Architetture gotiche, taglienti, che emergono in una prospettiva vertiginosa, dentro un mare di bianco. L’artista rappresenta un’isola inospitale, in mezzo al nulla, metafora dell’isolamento dell’uomo alla deriva nel suo ambiente.
Emotional Landscapes mostra la coincidenza dei luoghi del mondo con i luoghi dell’anima. Per tentare di risanare la frattura fra uomo e mondo.
Testo critico scritto per la collettiva Emotional Landscapes, inaugurazione gennaio 2011 presso Art Ekyp, Modena.