« Queste bestie eretiche hanno electo uno monte, el qual se chiama Monte Tonale, nel qual se reduseno ad foter e balare, qui afirmano che non trovano al mondo nihil delectabilius et che onzendo un bastone, montano a cavalo et eficitur equus, sopra il quale vanno a ditto monte et ibi inveniunt el diavolo, quale adorano per suo Dio et signore, et lui ge dà una certa polvere, con la quale dicte femene et homeni fanno morir fantolini, tempestar, et secar arbori et biave in campagna, et altri mali, et butando dicta polvere sopra uno saxo, si speza. »
(Alessandro Pompeio, Lettera del 28 luglio 1518 a Giovanni Giustiniani)
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La ribellione è la madre della stregoneria. Slogan dei monarchici scozzesi contro la Convenzione Nazionale, 1661
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Dopo essere stata presentata nel 2013 ad Edimburgo alle National Galleries of Scotland, la mostra Witches and Wicked Bodies, a cura di Deanna Petherbridge, è ora visibile al British Museum. Vi consigliamo caldamente di darvi da fare per trovare una scopa a buon mercato con bagaglio 55-40 per volare a Londra entro l’11 gennaio 2015. Se c’è una cosa che bisogna vedere dal vivo sono le incisioni, e qui ce ne sono parecchie, di scuola tedesca. Altrimenti vi dovrete accontentare del nostro pezzo.
Cercheremo di strutturare questa recensione su un doppio binario. Da una parte le immagini esposte alla mostra, più alcune non esposte ma presenti in catalogo, più altre pertinenti, e in parallelo la cronologia dei testi demonologici ed alcuni riferimenti alla cronaca sociale della caccia alle streghe, per poter vedere in che modo la storia simbolica attinge a quella reale.
IL CORPO DELLA STREGA
La prima parte della mostra Witches and Wicked Bodies è dedicata al corpo della strega, a come questo corpo viene definito, identificato, tipizzato secondo stereotipie sessiste fra il 1450 e il 1650, che corrispondono grossomodo agli anni più bui della grande caccia. Il corpo della strega risulta essere di due tipologie: bianco, morbido, giovane, seducente, oppure vecchio e cadente, ma nello stesso tempo muscoloso come quello di un uomo, forte, con i lineamenti duri, la mascella maschile, il naso azteco. Corpi nella realtà incontrollabili, quindi, o per la loro eccessiva bellezza che ossessiona gli uomini (soprattutto quelli che scrivono i trattati, accusano e condannano al rogo) o per la vecchiaia, che si sottrae alla prima legge di asservimento e di incasellamento sociale femminile, la maternità. Ricordiamoci che fino agli anni Sessanta, che segnano una svolta epocale con l’introduzione della pillola, nessuna donna, a parte le donne sterili, le monache e le prostitute esperte e fortunate, poteva sottrarsi al dovere di fare figli. La vecchiaia delle donne era stigmatizzata anche per gli sbalzi di umore dovuti alla menopausa e per la demenza senile, che per la mentalità superstiziosa dell’epoca erano segni di follia diabolica.
ANTICHITA’
Nella narrazione mitica la strega è una figura che incute timore, sicuramente pericolosa, ma non connotata nei crismi di un assoluto male. Medea è terribile, gli spettatori del teatro greco tremano quando la vedono uccidere i suoi figli, ma non è il Maligno che guida la sua mano. È il fato, è il tradimento di Giasone, è la sua terribile, implacabile forza. Poi c’è Circe, che trasforma uomini valorosi in bestie grufolanti. Circe viene raffigurata su un vaso a figure nere del 450 a.c., in cui cerca di fare bere ad Ulisse una pozione, probabilmente di mandragola. Odisseo però viene avvertito da Ermes, e riesce ad evitare la trasformazione. Nella scena è presente un telaio arcaico, fatto con tre bastoni incastrati fra loro, due posizionati in parallelo e l’altro perpendicolare ad essi, con l’ordito mantenuto in tensione da pesi di ceramica. Al fianco di questo strumento magico di legatura vediamo, accucciato caninamente, un uomo con la testa di cinghiale. Circe è rappresentata anche in opere moderne, come l’incisione del 1650 Giovanni Benedetto Castiglione.
Nell’Antica Roma incontriamo la strega Eritto nella Guerra Civile di Lucano, che si nutre di cadaveri umani e richiama i morti dalla tomba per scopi divinatori. Questo personaggio viene raffigurato in un’opera della fine del Settecento di Robert Dunkarton, in cui la strega della Tessaglia si inginocchia alla sinistra della composizione, stringendo un groviglio di serpi, ghignando ed esibendo piedi, muscoli e tendini assolutamente maschili. Dietro di lei, semi-nascosto, c’è il cadavere di cui si è cibata per risvegliare i morti. Sesto, il figlio di Pompeo rivoltosi a lei per sapere l’esito della battaglia di Farsalo, si ritrae inorridito assieme ai suoi soldati. Un’altra strega simile è la Canidia di Orazio. Canidia affattura il poeta stesso, che si è permesso di parlare polemicamente di lei nei suoi componimenti giambici, raccontando che ha sacrificato un bambino per poter fare filtri d’amore con le sue interiora.
MEDIOEVO
Uno dei primi filosofi cristiani a menzionare il patto col diavolo è sant’Agostino. L’idea inizia a diffondersi nel IX secolo con la circolazione di leggende a riguardo, ma ci vorranno secoli prima che questo concetto possa essere impugnato dal punto di vista giudiziario.
Nel Decimo Secolo esce il Canon Episcopi, che racconta di donne sedotte dalle illusioni di Satana, convinte di cavalcare in ridde assieme ad animali e alla dea pagana Diana. Diana è una divinità erinnica, sterile, mascolina, che non esita ad uccidere o a trasformare in bestia chi non le va a genio. Ma il Canon Episcopi rifiuta la veridicità delle ridde notturne. A livello popolare, questa è invece una credenza diffusa: l’esistenza di signore della notte, terribili ma tendenzialmente benevole, a capo di cacce selvagge, che possono conferire la facoltà di volare. Molte donne del popolo credono davvero di essere in grado di volare nottetempo, forse per effetto di sogni freudiani, oppure a causa di allucinazioni da denutrizione o da segale cornuta. Si ritiene che una delle prime cacce alle streghe sia partita durante le indagini sull’eresia valdese, in cui alcune donne riferiscono agli inquisitori di aver cavalcato al Gioco di Diana. Nello stesso tempo, i popolani temono i maleficia, i malocchi di fattucchiere invidiose, ma per loro non esiste nessuna connessione fra queste fatture, l’adorazione del diavolo, né tantomeno l’eresia. Questo tipo di connessione verrà costruita lentamente a livello culturale e sociale dalla classe dominante.
Nel 1184 papa Lucio III, per combattere il movimento cataro, fonda l’Inquisizione Episcopale.
Parallelamente, nel XII e nel XIII secolo si sviluppa una magia dotta di evocazione dei demoni, desunta dai testi provenienti dal mondo arabo e greco. Durante queste pratiche, il negromante (quasi sempre uomo, erudito e poliglotta) cerca di imprigionare le entità demoniache in anelli, bottiglie o specchi, per potersene servire a suo piacimento. Questa magia colta, che prevede l’utilizzo di libri e grimori, viene praticata presso molte corti europee, compresa quella papale. A quanto pare sarà una moda dura a morire, dato che nel XVI secolo Benvenuto Cellini racconta nella sua autobiografia di aver partecipato a molti rituali negromantici avvenuti nottetempo nel Colosseo.
La Scolastica condanna duramente tutto ciò, argomentando che i demoni non fanno niente senza avere qualcosa in cambio.
Nel 1274 papa Innocenzo IV con la bolla Ad Extirpanda consente agli inquisitori l’utilizzo della tortura. Nel XIV secolo Papa Giovanni XXII stabilisce varie somme che i fedeli devono pagare alla Chiesa per la remissione dei peccati, compresi l’infanticidio o lo stupro di vergini, e, oltre a questo, decreta che l’Inquisizione si debba occupare anche dei rei di stregoneria.
L’inquisitore Nicolas Eymerich nel 1376 pubblica il suo Directorium Inquisitorum, in cui marca l’identità fra magia ed eresia, evidenziando alcune pratiche magiche che poi avranno vasta risonanza nelle opere d’arte, come il ballo intorno al falò, buttare nel fuoco sale oppure carogne di animali, affumicare crani umani.
La rappresentazione delle streghe e degli adoratori del diavolo, le loro nefandezze infanticide, cannibaliche ed orgiastiche, tutta questa ideologia viene creata dai monaci incaricati di perseguire gli eretici, quelli veri, i catari, i patarini, i valdesi, che mettono in discussione i dogmi e la moralità della chiesa e cercano degli stili di vita alternativi, più conformi a quello che reputano essere il vero messaggio di Cristo.
Nel Quattordicesimo Secolo possiamo distinguere tre distinte fasi giudiziarie. Fino al 1330 i processi sono soprattutto contro maghi, cittadini spesso in vista e implicati nella vita politica, che usano la magia colta per scopi appunto politici, e che per le stesse ragioni vengono accusati. In una seconda fase aumentano i processi per fattucchieria, malocchi e pozioni, e nell’ultima parte del secolo, dopo il Directorium di Eymerich, si inizia a sentir parlare di satanismo. Questa è una fase di preparazione, per partire alla conquista della mentalità comune e poter aumentare la scala di grandezza della repressione.
QUINDICESIMO SECOLO
Nell’immaginario collettivo di inizio Quattrocento la strega è generalmente una donna capace di praticare i maleficia, incantesimi che nuocciono ai suoi vicini, causando impotenza, sterilità, malattia, depauperamento delle risorse. Ma per il popolo il demonio ancora non c’entra con queste pratiche.
Fra il 1435 e il 1437 viene scritto il Formicarius di Johannes Nider, teologo e inquisitore dominicano. Questo trattato è uno dei primissimi saggi sistematici sulla stregoneria, ed evidenzia il concetto dell’imprescindibilità del satanismo, del legame contaminante col diavolo, per tutto quello che riguarda la magia.
È proprio in questi anni che prende forma lo stereotipo della strega, e poco dopo compaiono le prime opere d’arte.
Andrea Mantegna nel 1470 realizza un’incisione intitolata Battaglia fra dei marini, in cui compare una donna coriacea, con seni flosci, piena di muscoli e rughe, che sorregge una cornice con la scritta “INVIDIA” e che sovrasta tutta la battaglia, connotandosi quindi come la causa della stessa. Viene così fissato uno stereotipo stregonesco che gli artisti utilizzeranno per tutti i secoli a venire.
Nel 1487 i monaci Jacob Sprenger ed Heinrich Kramer pubblicano un trattato contro le streghe, il celeberrimo Malleus Maleficarum. La loro tesi è che le donne sono più propense ad abbandonarsi alle lusinghe del diavolo, per le seguenti cause: la loro inferiorità psicologica e spirituale rispetto all’uomo, la loro minore intelligenza, la debolezza, la vanità, e soprattutto per la loro più grande propensione al bestiale atto sessuale. Il Malleus insiste sulla natura sessuale del peccato di stregoneria, rivelando molto sulla fascinazione del male e sulle fantasie sessuali diffuse fra i frati dominicani.
Esattamente dieci anni dopo la pubblicazione del Malleus Maleficarum, nel 1497 Dürer crea una delle migliori rappresentazioni di sempre della calamità stregonesca. Vediamo quattro donne nude, belle come le virtù cardinali, appartenenti a diverse estrazioni sociali, come si può desumere dal diverso grado di elaborazione delle loro pettinature. Ebbene, queste fanciulle sono tutte streghe. La loro natura malefica viene schermata dalla loro magnetica bellezza, ma viene tradita dal fatto che il diavolo sta nei dettagli: le ossa umane ai loro piedi, la loro nudità promiscua e la bestia a fauci spalancate nascosta dietro l’angolo.
Nel 1489 esce De Lamiis et Pythonicis Mulieribus (Sulle streghe e sulle profetesse) di Ulrich Molitor, dottore di Legge a Padova e Professore all’Università di Costanza. Le sue tesi sono abbastanza blande nei confronti dell’esistenza reale del sabba, che ritiene spesso una visione causata dal demonio grazie al suo potere di creare illusioni e di manipolare la mente, ma insiste sulla necessità di giustiziare tutti gli eretici.
Dimostrare la realtà del sabba diventa uno degli obiettivi ideologici di chi si sta adoperando per rendere possibile un’immane operazione giudiziaria sull’intero fronte europeo.
SEDICESIMO SECOLO
Fra il 1500 e il 1501 Dürer realizza una piccola incisione di una strega a cavallo un capro, con una conocchia in mano, nell’atto di evocare tempeste. È interessante notare la fluttuazione di significato delle attività tessili. Nelle civiltà protostoriche, filare e tessere sono atti positivamente magici, e gli strumenti deputati a queste attività vengono spesso connessi con la regalità femminile. Rappresentano la capacità di prendersi cura del proprio gruppo, di tenerlo unito, di riparare gli strappi, di creare legami, proprio come avviene nell’ordito della tessitura. Nell’Europa moderna invece gli strumenti di cucito e tessitura, soprattutto il fuso e la conocchia, vengono attribuiti alle streghe. Il filo è metafora della legatura del maleficium, che costringe gli accadimenti e modifica gli atti delle persone, il fuso invece è un vettore di infezione maligna, come mostra anche la fiaba della Bella Addormentata nel Bosco. L’incisione di Dürer, con il suo statuario dinamismo, ha una grande potenza espressiva. Albrecht Dürer stabilisce di fatto il canone rappresentativo delle streghe, assieme al suo allievo Hans Baldung Grier, autore di lascive rappresentazioni di donne dedite alla magia, e all’artista svizzero Niklaus Manuel Deutsch.
Daniel Hopfter all’inizio del Cinquecento rappresenta un episodio esilarante per illustrare l’estrema malvagità delle streghe, che non esitano a picchiare nemmeno i demoni stessi. Intorno a un coacervo di demonietti volanti ed incuriositi, vediamo un povero diavolo con un grugno di cinghiale al posto delle pudenda (come esigeva la moda diavolesca del tempo), mentre viene battuto senza pietà con palette da lavandaia da tre vecchie megere, probabilmente insoddisfatte della sua mediazione magica. Una lo tiene per le corna, l’altra lo ha picchiato con tanta energia da spezzare il suo forcone, buttato per terra in primo piano. Dal muso del diavolo esce un cartiglio (versione cinquecentesca del fumetto) con la pigolante scritta “Gib Frid” [lasciatemi andare].
All’inizio del XVI secolo la credenza al sabba viene universalmente accettata. La depravazione di queste riunioni è sottolineata dalla nudità delle sue partecipanti. Fino al Settecento, secolo in cui prevarrà l’immagine passiva della sessualità femminile, si è ritenuto che la donna fosse più focosa dell’uomo, più orientata ad avere continui amplessi, più ossessionata dal sesso. Le streghe diventano adoratrici del demonio per la loro lussuria e per la famigerata potenza sessuale del diavolo, che soddisfa le insaziabili giovani e anche le vecchie, le quali, secondo quanto riferiscono i demonologi, altrimenti non sarebbero in grado di trovarsi un amante. Quindi la nudità e lo scandaloso atto di ballare nudi diventano un topos figurativo della rappresentazione delle streghe. Quando non viene associata a soggetti classici o biblici, quindi Venere o Diana piuttosto che Susanna o Eva, nell’arte moderna la nudità è sempre indice di implicazioni demoniache. Hans Baldung è il migliore allievo di Dürer. Nel 1510 crea un’incisione che avrà fama imperitura nell’apparato iconografico delle streghe. Vi sono rappresentate delle fattucchiere nude, due giovani, con capelli lunghi e carni burrose, due vecchie, dai corpi macilenti e dalla gestualità esasperata.Due streghe sono ritratte in volo, la più vecchia seminascosta dalle nuvole, la più giovane a cavallo di un caprone, che levita grazie alla magia nera. Il convegno malefico si svolge sotto ad un albero scheletrito dai rami biforcuti come corna o lingue di rettile. Una delle maghe tiene in mezzo alle gambe un paiolo, da cui scaturisce una colonna di fumo ritorta, che fa venire in mente l’apertura del vaso di Pandora, e che avrà un folto seguito di citazioni, da Salvator Rosa a Jacques De Gheyn. Baldung realizza anche svariati nudi di strega in copia unica, alcuni a colori, per soddisfare le richieste della sua committenza privata. Certi dettagli di queste opere rasentano quasi la pornografia, e fanno intendere quanto potesse essere fosco e potente l’archetipo erotico della strega per gli uomini del tempo. Il sabba diventa uno scenario psichico, uno sfondo dove ogni pratica sessuale è possibile ed ogni parafilia è concessa, e dove tutti, i notabili, i preti, i domenicani, gli inquisitori, possono dare sfogo alle loro fantasie più inammissibili. In tedesco c’è perfino una parola specifica per indicare i rapporti sessuali col diavolo, ovvero teufelsbuchschlaft.
Hans Burgkmair, in un’opera realizzata fra il 1512 e il 1516, mostra l’Imperatore Bianco (Massimiliano I) mentre viene istruito nell’ambito della magia, quella colta di derivazione neoplatonica. Venuto a conoscenza della magia nera, l’Imperatore vi si oppone. Le pratiche proibite sono rappresentate da una vecchia strega, con una borsa piena di soldi, frutto della sua avarizia. La megera è zoppa come il diavolo e coronata da un demone pustoloso e urlante, con artigli, squame e sovrabbondanza di seni, che ricordano la Signora del Gioco, Diana di Efeso.
Hans Wechtiln, nei primi vent’anni del Cinquecento, rappresenta un’alba magnifica, tramite un capolavoro radiale di linee. Vediamo una civetta appollaiata su un teschio, sicuramente una strega mutaforma. Come tutte le creature demoniache, essa perde i suoi poteri con il canto del gallo, che preannuncia il ritorno della luce. D’altra parte, la parola strega viene dal latino: le strigae sono donne che di notte si possono trasformare in gufi, per suggere il sangue e mangiare i bambini. Nella scena d’apertura del Trovatore di Verdi si racconta la vicenda di una zingara mandata al rogo, per supposta malia nei confronti del figlio del conte. I familiari del nobile si spaventano a vicenda, dicendo che l’anima della strega non è andata all’inferno ma dimora ancora nel mondo: “Sull’orlo dei tetti alcun l’ha veduta! In upupa o strige talora si muta! In corvo tal’altra, più spesso in civetta, sull’alba fuggente al par di saetta. (…) Apparve a costui di un gufo in sembianza nell’alta quiete di tacita stanza. Con occhi lucenti guardava … guardava, attristando il cielo d’un urlo feral. Ah, sia maledetta la strega infernal!”
Agostino Veneziano nel 1520 realizza un’opera fondamentale per l’iconografia delle streghe, Lo Stregozzo, in cui c’è una sorta di infernale carro carnevalesco. Un’opera scurissima, con capri, uccelli che scappano spaventati, scheletri semoventi di chimere. I partecipanti allo stregozzo sono per lo più uomini, nudi e vigorosi. Solo quattro anni più tardi Giovanni Pico della Mirandola dà alle stampe Strix, in cui introduce l’idea della sodomia fra demoni e stregoni. E’ un’idea innovativa: fino al Medioevo si era ritenuto infatti che i diavoli rispettassero le leggi di natura, come gli angeli, e che aborrissero quindi le pratiche omosessuali. Nell’opera di Veneziano c’è una sola strega, vecchia, laida e urlante. Troneggia in alto sulla scena, a cavallo di un grande scheletro di drago, che si muove ad opera di incantamento. È seduta in corrispondenza delle ossa del bacino della bestia, tiene una giara da cui scaturisce fumo mefitico, e tasta con la mano uno stuolo di bambini da sacrificare al diavolo, per scegliere il più succulento.
Nel periodo compreso fra il 1520 e il 1560 gli uomini di cultura, influenzati dall’Umanesimo, si dimostrano scettici rispetto alle implicazioni sataniche della magia. Circolano le opere di Cornelio Agrippa, Desiderio Erasmo e Pietro Pomponazzi, e la Chiesa si trova a dover fronteggiare la Riforma protestante. Ciò nonostante la caccia alle streghe continua, ad esempio in Val Camonica, dove tra il 1505 e il 1522 ardono circa centoquaranta roghi.
Nel 1524 viene pubblicato Tractatus de Haereticis et Sortilegiis, del magistrato pontificio Paolo Grillando, che ribadisce l’esistenza dei sabba e ne descrive le caratteristiche. Grillando sostiene che esistano degli assassini dotati di superpoteri, che nuocciono alle persone e minano le basi dell’economia. Individui dediti alla necrofilia, all’infanticidio seriale, al cannibalismo, che fanno periodici raduni orgiastici con migliaia di partecipanti, che si adoperano per il rovesciamento dell’ordine, della moralità costituita e del cristianesimo. In questo modo si crea la paura sociale di una subcultura pervasiva e terrorista. Questa paura viene elaborata prima dagli strati alti e colti della popolazione, che poi indottrinano gli strati più ignoranti, tramite sermoni, catechismi e pubblici processi.
Un’altra opera di Hans Baldung di assoluto rilievo artistico è Lo stalliere stregato del 1544, in cui si evidenzia la signoria delle streghe sugli elementi della natura e sugli animali. In primo piano si vede un uomo, immobile per terra, inquadrato nella stessa posizione del Cristo morto di Mantegna. Dietro di lui una cavalla con un’espressione malefica, più umana che animale. Questo non deve stupire, perché nel Sedicesimo Secolo ancora si sente pesantemente l’influenza dei bestiari medievali e dei trattati dei Padri della Chiesa, che attribuivano agli animali la stessa malvagità degli uomini e dei vizi perversi veramente incredibili. Sulla destra si vede una vecchia col seno scoperto, che tiene in mano la torcia di Venere, tipico attributo sabbatico. Quest’opera prende probabilmente spunto da una leggenda tedesca, in cui un barone fa il patto col diavolo e in cambio ottiene un cavallo, che lo calcia a morte.
Rispetto alla trattatistica, nel 1563 Johann Weyer esprime una voce fuori dal coro con i suoi De praestigiis Daemonum et Incantationibus ac Veneficiis [Sulle illusioni dei demoni e sugli incantamenti e i veleni] e con il De Lamiis [Sulle streghe] del 1577. Weyer si oppone alle condanne a morte delle donne accusate di stregoneria, sostenendo che esse sono affette da un disturbo all’utero, la melanconia, e che il diavolo causa loro delle allucinazioni. D’altra parte, in ambito protestante la malinconia è ritenuta opera del demonio, come ogni tipo di tristezza o di sconforto. Nel 1528 Lucas Cranach il Vecchio, molto vicino a Lutero, aveva dipinto un’allegoria della Melanconia in cui il cielo si riempie di donne nude, volanti a cavallo di buoi, cervi, capri, maiali, fra le quali si nota anche un demone che monta un cavallo.
LE GRANDI CACCE
Fra il 1560 e 1630 c’è il periodo di massima follia, quello delle grandi cacce. Grazie all’attecchimento sociale dell’ideologia del sabba e del complotto satanista, all’utilizzo della tortura e all’isteria collettiva, avvengono denunce a catena. Gli esisti dei processi vanno da un minimo di dieci esecuzioni, a fino a un centinaio di vittime per ogni sentenza. Le operazioni giudiziarie si possono protrarre anche per tre o quattro anni. Ci sono grandi cacce a Treviri, Ellwangen, Rouen, Würzburg, Bamberga, nei Paesi Baschi. Considerando un periodo di tempo più dilatato, tutto questo avviene in ogni nazione europea, almeno una volta.
Pieter Van Der Heyden nel 1565 riprende alcune opere di Pieter Bruguel il Vecchio, con svariati cortei di demonietti saltanti e metamorfici, che sembrano allucinazioni causate dallo stramonio. In questa sua versione delle tentazioni di Sant’Antonio, le streghe nude inforcano cavalcature ibride, a metà strada fra maiali, rettili, salamandre e capri. Quello del sant’uomo tentato dal demonio sotto forma di femmina è un soggetto ideologicamente molto pregnante, che diventa un tema ricorrente in tutta la storia dell’arte. Nella mostra Witches & Wicked Bodies viene indagato in altre opere, come quella di Camillo Procaccini del primo trentennio del Diciassettesimo Secolo, con il santo flagellato da satiri con ali di pipistrello, armati di catene, che accompagnano una diavolessa con scollatura generosa e modi maliardi. Anche Jost de Negker nei primi vent’anni del Cinquecento rappresenta lo stesso soggetto. Le streghe/demoni sono raffigurate in modo simile a quelle dell’opera di Dürer, belle, con seni piccoli e ventri prominenti come le Grazie del Botticelli. La loro natura malvagia è tradita da piccole corna di mucca e da un diavolo deforme che spunta all’altezza dei loro sessi, porgendo a sant’Antonio una ciotola piena di monete, lo sterco del diavolo. Sant’Antonio invece è rappresentato con i suoi attributi tradizionali, il bastone da eremita e il maialino nero al pascolo. Oltre al fatto di essere il santo patrono degli animali domestici, protettore delle stalle, sant’Antonio veniva invocato nei casi di herpes zoster, e il grasso di maiale era uno dei pochi rimedi contro questa malattia, comunemente detta fuoco di Sant’Antonio. Sicuramente ci sono stati molti casi di questo male che furono attribuiti a veneficio malefico. Nel 1569 Sigmund Feyerabend scrive Theatrum Diabolorum, un trattato di demonologia in cui afferma che i diavoli ammontano a ventisei miliardi di unità.
Nel 1580 Jean Bodin formula ufficialmente la tesi dell’organizzazione satanista con succursali in tutto il territorio europeo, suffragata dalle dichiarazioni delle streghe, che vengono costrette ovunque a confessare le medesime cose. Bodin difende a spada tratta l’utilizzo della tortura, perché viene applicata a colpevoli di un crimen exceptum, un crimine eccezionale, terroristi organizzati, traditori di dio e della società. Le sue tesi, esposte in La Démonomanie des Sorciers, riescono a screditare quelle di Johann Weyer. Jacob Matham nel 1593 crea un’allegoria dell’Invidia che la rappresenta nella forma tradizionale della strega, una donna mascolina, con grossi occhi ipnotici, muscoli tosti come quelli di un uomo, e i seni vizzi, perché non possono dare nessun nutrimento. È rappresentata nell’atto di mangiare un cuore e circondata da due emblemi, che raffigurano serpenti guizzanti e cani.
Il serpente è uno degli animali più importanti del bestiario della Grande Madre, divinità preistorica che simboleggia l’eterno rinnovarsi della vita, passando anche attraverso la morte. Il cane è sacro ad Ecate, dea della magia, dei crocicchi, dei legami e degli intrecci, amante della solitudine degli animali, regina invincibile capace di realizzare i desideri dei mortali.
Nel 1594 il procuratore generale ed avvocato Nicolas Rémy pubblica Demonolatreiae, in cui descrive il sabba, con i banchetti di carne umana, l’osculum infame sotto la coda del demonio, la danza al suono di musiche dissonanti e la sperimentazione da parte delle streghe del fatto che il fallo del demonio è, a livello di temperatura, “freddo”. Nicolas Rémy, nel corso della sua carriera, manda a morte più di duemila persone, punteggiando la Lorena di migliaia di pali a cui vengono legate le sue vittime, talmente tanti da causare lo sgomento dei viaggiatori.
Alla fine del Sedicesimo secolo, nel 1597, il re di Scozia Giacomo Stuart in persona pubblica una Demonologia in forma di dialogo divisa in tre libri e assume un ruolo fondamentale nella caccia alle streghe. L’opera si rivelerà in qualche modo utile, influenzando la vena gotica e demonologica di Shakespeare e anche il suo rivale Christopher Marlowe, che sotto il suo influsso scrive il Doctor Faustus. Poco prima, nel 1584, la stregoneria era stata messa in dubbio da Reginald Scot, con il suo The Discovery of Witchcraft, un trattato che fece infuriare il re di Scozia (e futuro re d’Inghilterra). In questo trattato Reginald Scot infatti sostiene svariate tesi in odore di eresia: i testi biblici non sono da interpretare alla lettera, il diavolo è una metafora del male dentro ciascuno di noi e le streghe in realtà altro non sono che “vecchie zoppe, mezze cieche, sudicie e piene di rughe, smilze e deformi, che offrono le loro facce malinconiche al disgusto di chi le incontra.” In linea di massima, proprio come evidenzia Scot, coloro che vengono accusati di stregoneria sono gli individui più deboli e vulnerabili della popolazione, per lo più vecchie sole, povere, mantenute a spese della comunità. Nei periodi di grande stress ed ansia sociale queste donne diventano il capro espiatorio perfetto. Nella mentalità comune, è la loro povertà che le spinge ad entrare in affari con il demonio. Inoltre, nei momenti di crisi, esse si trasformano uno spauracchio collettivo, perché la loro miseria estrema è l’immagine di ciò in cui tutti possono precipitare da un momento all’altro.
Quest’immagine deve quindi essere esorcizzata.
_Fine prima parte_
Bibliografia
Deanna Petherbridge, Witches & Wicked Bodies, Grafos, 2013.
Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Editori Laterza, 2008.
René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, 1992.
Sebastiano Vassalli, La chimera, Einaudi, 1990.
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http://the1642goodwyfe.wordpress.com/category/common-people/page/10/