Jamie Reid è famoso per essere stato il grafico dei Sex Pistols. Quello che ha creato l’icona della regina Elisabetta con la spilla da balia infilata nelle labbra, la bandiera britannica fatta a pezzi di Anarchy in the U.K., l’allucinante accostamento fucsia-giallo di Never Mind the Bollocks.
Al di là degli abiti della Westwood, del teatrino degli sputi, del sangue sul palco, delle morti mitologiche, al di là di tutti questi fenomeni esplosivi con un moto bombarolo dall’interno verso l’esterno, Jamie Reid costituisce il nucleo condensato, incandescente, visceralmente talentuoso e politico dell’operazione manageriale di Malcolm McLaren, indipendente rispetto ad essa e capace di trascenderla. Se i membri dei Sex Pistols prima di McLaren sono dei ragazzini sbandati e (nel caso di Jones) semianalfabeti, che poi di fatto diventano dei modelli figuranti di una performance diretta da altri, Jamie Reid ha già alle spalle un percorso di tutto rispetto. Figlio di una famiglia di socialisti spiritualmente orientati sul druidismo neopagano, Jamie è anarchico e frequenta i membri di una fazione dissidente del movimento situazionista, i King Mob, che credono nella rivoluzione proletaria ma apprezzano la cultura pop ed amano l’iconografia degli assassini seriali. Quando McLaren gli propone di collaborare, Reid ha già partecipato all’antologia dell’Internazionale Situazionista Leaving the 20th Century ed ha portato a termine cinque anni di Suburban Press, un magazine autoprodotto dall’anima eretica, influenzato graficamente dai dadaisti e filosoficamente dai pensatori anarchici come Charles Fourier, che dà spazio a gruppi politici eversivi, composti da neri, femministe, collettivi di occupazione di edifici abbandonati. È sulle pagine di Suburban Press che Jamie Reid si fa le ossa con i suoi collage sperimentali, trasformando una mancanza in punto di forza: dato che non ci sono soldi per la strumentazione tipografica, Jamie ritaglia le lettere dai giornali e le riassembla in caotici cartigli. Nel frattempo produce manifesti per il movimento degli squatters, assieme ad adesivi e poster divergenti che attacca in giro per Londra anni prima che qualcuno pronunci la parola street art.
Reid ha continuato ad esistere e ad evolversi artisticamente ben oltre la conclusione della parabola dei Sex Pistols. La mostra Ragged Kingdom inquadra proprio questi tre momenti di prima, durante e dopo il punk, e quello che risulta evidente è una continua crescita.
Abbiamo le prime prove con le grafiche realizzate per la Suburban Press, a partire dal 1970, che costituiscono anche gli albori della sticker art, in quanto erano proprio degli adesivi che Jamie Reid attaccava in giro allo scopo di causare procurati allarmi e di far pensare la gente. Uno sembra la pubblicità promozionale di un negozio nel momento dei saldi “Closing downsale. Last days. This store will be closing soon owing to the pending collapse of monopoly capitalism and the world wide exhaustion of raw materials.” [Saldi per cessata attività. Ultimi giorni. Questo esercizio chiuderà entro breve a causa dell’incombente collasso del monopolio capitalista e dell’esaurimento planetario delle materie prime.] Quindi, mimetismo apocalittico, con un messaggio di speranza per la fine della democrazia totalitaria e con un ammonimento rispetto allo sfruttamento del pianeta. Anno 1975. Oppure antimilitarismo in stile Crass, con uno scheletro posto a entrata dell’Ufficio Informazioni per la carriera nell’esercito. Prima metà degli anni Settanta.
Come è del 1972, e quindi precedente al terremoto Sex Pistols, la nostra opera preferita di Jamie Reid, i meravigliosi autobus con destinazione NOWHERE. Quest’icona rappresenta il tramonto dell’utopia hippy. Cita l’autobus degli acid-party di Ken Kesey, che sulla destinazione aveva scritto Further, oltre, più in là, che in realtà vuol dire da nessuna parte. Questa destinazione, assieme allo slogan “No Future” ci sembra oggi più che mai familiare.
L’epopea punk è celebrata da Sex Pistols Mural, uno dei due grandi collage presentati per Ragged Kingdom, assieme a due teche e ad un’installazione di fotografie ed opere.
Vediamo scritte come “The Roads of Excess Leads To The Palace Of Wisdom” [La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza], o “Believe In The Ruins” [Credi nelle rovine], il poster “God Save Jack The Ripper”, con la sagoma mantellata di una delle glorie del Regno Unito, Jack lo Squartatore, e Debbie Juvenile accucciata sotto la scritta psycho “No Feelings”. Molte parti sono relative all’aspetto dichiaratamente commerciale dell’operazione Sex Pistols. “Call it Filthy Lucre. We call It Fucking Great!” [Chiamatelo pure sporco lucro, noi lo chiamiamo fottutamente grande!]. C’è un’opera con un ipotetico merchandising punk, la barretta marcia Rotten Bar, il Vicious Burger con lucchetto e svastica, la Piss Lemonade, la Barbie Sue CatWoman.
A seguire varie lezioni sulla Grande Truffa del Rock ‘n’ Roll, con slogan tipo “Cash from Chaos” [Soldi dal caos], “Sell the Swindle” [Vendi la truffa]. Poi c’è un commentario amaro sulla vita, sulla morte e sull’exploitation postuma di Sid Vicious, presentato in un potente dittico con Sid in versione My Way e in una foto mentre dichiara “I was the only guy with any bit of anarchy left” [Ero l’unico a cui fosse rimasto un briciolo di anarchia]. Sid viene trasformato infine in una grottesca bambolina Ken dentro ad una bara giocattolo in From beyond the Grave [Dall’aldilà]. Relativamente alla vicenda ci sono anche gli slogan “No One Is Innocent” [Nessuno è innocente] e “Pay The Ghosts” [Paga i fantasmi]. Relativamente al periodo Sex Pistols, questa è stata una delle grandi abilità di Jamie Reid: rimanere in bilico fra prostituzione e rivolta, disvelamento del meccanismo perverso e connivenza con esso, purezza libertaria e mistificazione. Perché, come dice Chuck Palahniuk, non importano tutti gli sforzi del mondo, non c’è modo di eludere la propria cultura. Non importa quanto il tuo stile di vita sia eversivo, prima o poi il sistema ti divorerà. Se ti va bene. Altrimenti ti offrirà un lavoro.
Ma veniamo ora al piatto forte, Time for Magic.
Siamo convinti che Jamie Reid, che è un punk fricchettone ma è anche dotto (ed è così che dovrebbe essere), non si sia perso gli scritti del teorico più amato nell’ambiente delle subculture, anche da eminenze grigie come Allen Ginsberg e William Burroughs. Hakim Bey, oltre a TAZ, la trattazione sulle zone temporaneamente autonome, ha scritto molto anche sulla magia. Hakim Bey racconta che in Età Moderna la magia, detta all’epoca ermetismo, era un paradigma conoscitivo molto serio, praticato dagli intellettuali più brillanti del Quindicesimo e Sedicesimo secolo. Questo paradigma è stato poi soppiantato – per motivi probabilmente economici – dal paradigma scientifico, perché gli scienziati erano più efficienti, più linearmente produttivi, costruivano fortificazioni, armi da fuoco, ingranaggi da mulino più solidi.
I maghi rinascimentali a cui stiamo facendo riferimento sono Giordano Bruno, Pico della Mirandola, Tommaso Campanella, Marsilio Ficino, John Dee, Paracelso. Molte delle loro ricerche vertevano sui geroglifici egiziani. I filosofi rinascimentali volevano assolutamente decifrarli. Si riteneva infatti che i geroglifici fossero un alfabeto magico, capace di modificare le cose a distanza per conferire potere, ricchezza, capacità di sottomettere la natura e longevità di dominazione paragonabile a quella delle dinastie faraoniche. Era questo il motivo per cui i principi finanziavano le ricerche degli ermetisti. Con la decrittazione della Stele di Rosetta si è scoperto che gli ideogrammi vanno a formare un sistema semi-fonetico, in cui il soggetto rappresentato nell’ideogramma fornisce la prima lettera o i primi suoni della parola, che si vanno poi a sommare agli altri suoni suggeriti dagli altri ideogrammi, in una combinazione di ideogrammi propriamente detti e fonogrammi. Per quanto la scrittura egiziana si sia rivelata quindi molto più prosaica di quanto immaginassero i filosofi rinascimentali, in ogni caso le loro ricerche vertevano intorno ad un’idea che non possiamo ignorare. L’idea di un potente sistema semiotico formato da immagini e parole, le quali, una volta combinate fra di loro, sono capaci di modificare l’operato degli esseri umani a distanza, facendoli ubbidire al volere del mago che conosce e sa adoperare il codice. I maghi e gli alchimisti lavoravano per ottenere la pietra filosofale, un dispositivo capace di trasformare la materia vile in oro. Se tutto ciò vi sembra stupido, se pensate che questi filosofi rinascimentali fossero dei trogloditi retrogradi fissati con l’oroscopo e l’antico Egitto, se vi sentite superiori a questa paccottiglia da Mago Otelma, provate a pensare all’ultimo oggetto costoso che avete comprato, trasformando la vile materia del vostro lavoro (della vostra esistenza) in oro per qualcuno molto distante e molto ricco. Magari era un oggetto elettronico con sopra una mela che viene generalmente associata ad un’esortazione composta da due parole riguardo al pensiero divergente. Non sapete perché, ma nonostante i problemi, i guasti, la batteria, le code, il costo elevato, le prestazioni uguali ad altri dispositivi meno costosi, voi non potete fare a meno di quella mela. O di quel baffo rivolto verso l’alto che vi esorta a fare le cose. O di quell’automobile che si chiama come la moglie di Federico Fellini ed è fatta, come dice Prospero ne La Tempesta di Shakespeare, con la stessa materia con cui sono fatti i sogni. O del disco in vinile di quel gruppo che diceva Dio salvi la Regina. E alla fine comprate, e non sapete dire perché comprate una cosa piuttosto che un’altra, ma lo fate. It’s a kind of magic. E Jamie Reid questo tipo di magia ha dimostrato di saperla usare molto bene. L’immagine della Regina Elisabetta con la spilla da balia è finita sulla copertina di News Week due settimane dopo aver visto la luce.
Nella sala delle opere più recenti abbiamo un altro grande collage che fa il paio con quello sul punk, Time For Magic. Gli elementi che compongono questo collage sono molteplici. Ci sono emblemi e manifesti copia/incolla. Fra gli emblemi, c’è la sagoma del Bianconiglio, un personaggio generalmente associato ad Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui rappresenta il lavoratore stressato, ossessionato dal tempo, adoratore servile dell’autorità che lo opprime. Ma in realtà il coniglio bianco ha una storia simbolica molto più lunga e complessa. Nei ricami cinesi del Diciassettesimo secolo questi animali preparano l’elisir di lunga vita, e nel sopravvalutato cult-movie Matrix il coniglio bianco diventa un animale totemico da seguire per conseguire la liberazione. Solitamente il coniglio è associato alla morte, per il suo essere facile preda di innumerevoli predatori, ma anche alla luna, l’emblema dell’eterno rinnovamento. La mascherina delle foglie di quercia, che potrebbe essere una citazione del disegno a sanguigna di Leonardo da Vinci, si ricollega all’appartenenza spirituale di Reid, neopagano ed interessato allo sciamanesimo. Gli infiniti querceti dell’Europa precristiana erano i santuari delle popolazioni germaniche e slave, che svolgevano i loro rituali sotto ad alberi sacri. Le querce possono vivere per mille anni e raggiungere i trenta metri di altezza. Il nome dei druidi viene da “duir”, quercia in celtico. Nell’Europa del Nord la quercia era un albero associato con il mondo dei morti, e secondo Virgilio le sue radici sprofondavano nel Tartaro. La quercia è simbolo di forza personale, tempra (può resistere alle alluvioni e perfino al fuoco) e regalità.
Abbiamo un unicorno rampante, simbolo di purezza, rarità, inavvicinabilità, contatto con i misteri della natura, protezione contro i veleni, poteri magici, forza. Nella mitologia cinese è rappresentato col corpo splendente e la voce argentina come le campanelle dei monasteri.
Poi ci sono i manifesti a collage. Una Libertà sulle Barricate con dietro uno skyline di grattacieli, ed un proclama che esalta l’epoca della pirateria. Una presa in giro visiva dell’icona del duro uomo d’azione, John Wayne, raffigurato con il rossetto e il simbolo della pace e la scritta “Peace is tough”, la pace è tosta. Un altro poster proclama la propria impermeabilità al concetto di gloria militare “No War No Glory Fuck Forever End of Story”.
Le opere politiche contro i reali, con le Regine Elisabette, prima e seconda, Lady Diana, Enrico V con le scritte “Damn Them All, Common Wealth for All e The End of The Dominator Culture” [Dannazione a tutti loro, Ricchezza comune per tutti e La fine della cultura dominante] ci sembrano degli sberleffi un po’ troppo ottimisti, come anche l’icona di Bush Nosferatu con la scritta “Liar” [Bugiardo]. Jamie Reid sa fare di meglio.
Ad esempio il manifesto “Corporate Slavery” [Schiavitù corporativa], con un indiano americano intento nelle danze rituali che girandosi su se stesso vede un topolino della Disney con denti da vampiro, il logo di Mcdonald’s e una svastica. Molto abbiamo già detto sulle simpatie naziste di Walt Disney e su quello che succede solo da Mcdonald’s, quindi ci concentreremo sul logotipo più interessante, la svastica con le braccia fatte di chitarre. Le adunate dittatoriali dei ventenni fascisti e nazisti, con l’epifania del leader e la folla oceanica adorante, la decadenza sessuale delle SA, le orge, l’uso indiscriminato di droghe, i manifesti di propaganda con l’icona di Stalin, i proclami dei leader ascoltati alla radio, tutto ciò rappresenta un chiaro preliminare di quello che sarà la mitologia del rock ‘n’ roll, con il suo risvolto non detto di potere biopolitico, di tirannide visiva e attitudinale del must-be-cool, che si risolve nel consumismo di prodotti più o meno di nicchia. Poi su tutto troneggia lo slogan situazionista copiato da Vivienne Westwood e Malcom McLaren “Demand the Impossible” [Chiedi l’impossibile].
Jamie Reid, utilizzando gli slogan e i pay-off tipici del mondo pubblicitario, mostra come la cultura (bassa o alta che sia) sia ormai compromessa dalle leggi del marketing, andando a costituire un sistema di segni che vengono scambiati per profitto o per ribadire il proprio status. Bisogna sempre tenere gli occhi bene aperti, e trovare altre risorse astratte in cui investire per la propria liberazione.
Nella stessa stanza del collage Time for Magic troviamo l’opera più bella di Jamie Reid, quattro tepee provenienti da Eightfold Year, un’installazione presentata per la prima volta nel 2011 a Londra, presso Isis Gallery e London Newcastle Depot.
Eightfold Year riprende la ruota dell’anno celtico, divisa in otto festività che segnano le fasi cicliche di vita e morte della natura, e l’inserimento dell’uomo nella ruota cosmica tramite il lavoro. In base a questo ciclo, le festività di Samhein, Yule, Imbolc, Ostara, Beltane, Litha, Lughnasadh, Mabon, insegnano all’uomo a fare i propri bilanci psicologici e spirituali: ora è tempo di raccogliere, contare i frutti ed immagazzinare, ora è tempo di andare a caccia, ora è tempo di amare e fare festa, ora è tempo di rimanere in ascolto, ora è tempo di lavorare come se non ci fosse un domani, ora è tempo di comprendere che, nonostante la profondità assoluta del buio, la notte sta per finire, ora è tempo di tagliare i ponti con l’esterno, perché tutto ciò che è rimasto sui campi in questo periodo dell’anno è proprietà degli spiriti. Questi momenti sono individuabili in un anno, ma anche nel corso dell’intera esistenza. L’operazione meravigliosa compiuta da Jamie Reid in Eightfold Year è quella di trasformare le fasi della sua vita in ambienti, in cui i visitatori possono sostare ed avere qualcosa in dono, cioè delle stampe di sue opere da infilare in una busta. Ci è piaciuto moltissimo questo catalogo do it yourself for free, assolutamente in linea con la poetica e la politica dell’autore. Tutto ciò avviene all’interno di piccole stanze super-accoglienti, dei veri nevermind the bollocks environments, composti dall’interno di quattro tende indiane tradizionali, circolari, in cui si può stare comodamente in piedi o seduti su cuscini, stuoie, letti. I tepee sono luoghi topici e radicali dei free party, in Italia possono essere stati avvistati e fruiti in un’epoca remota, alle varie Feste della Luna piuttosto che a qualche rave sui colli bolognesi. Il tepee può ergersi solo in contesti dove impera una socialità tribale, e per Reid simboleggia la libertà, il nomadismo, qualcosa di armonico all’interno del mondo, lo spazio del sogno, dell’elevazione, della pace. Uno dei tepee di Jamie Reid, in cui troviamo una poltrona, un tavolino di vetro con un portacenere strabordante e una macchina ciclostile, è dedicato allo sviluppo della personalità tramite l’apprendimento del codice magico. Questo è il luogo dell’iniziazione alla conoscenza e del lavoro, simboleggia l’attività di Jamie Reid presso la Suburban Press.
Un altro tepee è dedicato alla sua giovinezza punk. Abbiamo un letto da motel ad una stella, con una coperta arancione fluo e la stampa una starlette anni Cinquanta scosciata con un maglione a coste e la scritta FUCK FOREVER. C’è anche il mantra che segna la fine dell’infanzia, Who Killed Bambi?, ovvero cosa sta succedendo, perché non mi diverto più, perché mi sento amareggiato, why drugs don’t work anymore, whatever happened to saturday night??? A questo punto questo tepee va abbandonato, per entrare nel terzo.
Nel terzo tepee vediamo un’icona con un cavallo rampate, un carro e una figura che solleva un bastone. Non la riconosciamo subito, ma poi andiamo a cercarci un personaggio che avevamo già incontrato nel corso delle nostre ricerche. Un personaggio splendido, e rileggere la sua storia ci fa quasi commuovere. Boudicca era la regina degli Iceni, una tribù britannica del I secolo dopo cristo. Quando i Romani, venendo meno al patto che avevano fatto con suo padre, la espropriano del suo regno, lei protesta a gran voce, si ribella, e allora, come riferisce Tacito, viene denudata pubblicamente e frustata, mentre le sue figlie vengono violentate sotto ai suoi occhi. Dopo questo trauma indicibile, Boudicca si mette a capo della più grande sommossa antiromana su territorio inglese, sbaraglia Londinium, Verelatium, Camulodunum, distrugge la Nona Legione, e, quando infine viene sconfitta, prende il veleno per non cadere in mano dei suoi nemici. Gli antichi romani la ricordano così “Era una donna molto alta e dall’aspetto terrificante. Aveva gli occhi feroci e la voce aspra. Le chiome fulve ricadevano in gran massa sui fianchi. Quanto all’abbigliamento, indossava invariabilmente una collana d’oro e una tunica variopinta. Il tutto era ricoperto da uno spesso mantello fermato da una spilla. Mentre parlava, teneva stretta una lancia che contribuiva a suscitare terrore in chiunque la guardasse.” [Cassio Dione Cocceiano, Storia Romana, 62, 2]
Sul ponte di Westminster c’è questa statua di Thomas Thornycroft, da cui Jamie ha ricavato la sua opera.
E l’opera di Jamie Reid è il logo degli Strongroom Studios, uno studio di registrazione che ha visto sfilare al suo interno Nick Cave, Tricky, Philip Glass, Marianne Faithfull, i Radiohead, Marc Almond, John Cale e Nico.
Il terzo tepee contiene dei cd, delle cuffie con cui ascoltare musica reggae, e una televisione in cui si vede un video in cui l’interno di alcuni ambienti degli Strongroom Studios viene smontato e rimontato a velocità da film muto. Sono gli ambienti che Jamie Reid ha modificato, per renderli più tranquilli, accoglienti, colorati, allineati con l’onda dell’attività inventiva.
Il terzo tepee, con i suoi cuscini tinti e svarecchinati, con i motivi celtici e i volantini contro il Criminal Justice and Public Order Act, ci fa venire in mente la cultura dei traveller, una subcultura inglese seminale e di lunga tradizione, composta di nomadi per scelta che vivono in camion e furgoni. I traveller esistono fin dai free party inglesi jazz degli anni Sessanta, e poi negli anni Settanta si organizzano in convogli di veicoli, che si spostano fra le fiere di Horseshoe Pass, Aston Court, Deeply Vale, Windstor, da Cambridge, ad Albione, fino a Lowestoft e Stonhendge. C’è un filo rosso che unisce i traveller, che decidono di praticare delle attività che, in mancanza di una casa mobile, sono appannaggio esclusivo della classe dominante, ovvero vivere negli spazi aperti della campagna inglese e viaggiare continuamente, e i situazionisti, che inventano il concetto di psicogeografia, su come l’ambiente esterno sia importante per la qualità emotiva della vita interiore dell’individuo. Inoltre la partecipazione ai free festival si sposa con la ribellione al principio dello spettatore passivo e controllato della riflessione di Guy Debord. Nel terzo tepee c’è anche lo slogan “Shamarchy in the Uk”, un invito un po’ in stile Arthur Rimbaud a divenire veggente, a entrare in contatto con gli spiriti, a divenire animale, a cercare un modo costruttivo di trascendere la realtà per provare ad essere completi. Lo sciamanesimo contemporaneo postula che il mondo sia pervaso da un enorme flusso di energia, a cui si può attingere per ottenere la guarigione e per risolvere i propri problemi.
Quindi, nel terzo tepee troviamo gli spunti che ci conducono al quarto. L’ultimo tepee ha il pavimento ricoperto di feltri multicolori, e in alto c’è una sfera rotante con gli specchietti da disco anni Settanta. Vi troviamo un altarino con vari dipinti a mandala, che rappresentano la ricerca di Jamie Reid nell’ambito della geometria sacra, i suoi esercizi rituali per non perdere la capacità di vedere.
Ovunque ricorre l’esagramma unicursale, il simbolo di un culto menzionato da Rabelais nel Sedicesimo Secolo e sviluppato poi da Aleister Crowley, incentrato su thelema, l’esercizio della volontà. L’esagramma unicursale rappresenta la protezione dal male, la fede, la fedeltà, la promessa, l’unità assoluta fra uomo e universo. Ma soprattutto il principio magico della volontà: capire quello che si vuole davvero, nel profondo, al di là dei canti ammaliatori delle sirene, visualizzare quello che si vuole, lavorare pazzamente per ottenerlo. Se la volontà è pura, la magia avrà successo.
Amavamo Jamie Reid per le sue grafiche punk, ma ora ci siamo resi conto che si trattava un amore superficiale. Abbiamo imparato a non fidarci dei fricchettoni, ma questo mix di filosofia, anarchia, odio dei poteri forti, culto della bellezza, amore per il pianeta, questa spiritualità figa impermeabile a qualsiasi stereotipia, questo talento puro, tutto questo ci piace molto. Perché ci insegna che possiamo edificare un reame bellissimo usando i nostri stracci.
Dal 12 settembre 2014 al 6 gennaio 2015 alla Galleria Civica di Modena, corso Canalgrande 103.
Many thanks to Richard Boote from StrongRoom for the infomations.
Bibliografia
AA. VV, Il Libro dei Simboli. Riflessioni sulle immagini archetipiche. Taschen, 2011.
George Mckay, Atti insensati di bellezza. Le culture di resistenza hippy, punk, rave, ecoazione diretta e altre TAZ, Shake edizioni, 1996.
Hakim Bey, Il giardino dei cannibali. I viaggi filosofici di un sufi beat. Shake edizioni, 2010.
Stewart Home, Assalto alla cutlura. Le avanguardie artistico-politiche. Lettrismo, Situazionismo, Fluxus, Mail Art, Shake edizioni.
AA.VV., PUNK. The Whole Story, DK Publishing Ink, 2006.
Civico 103 n. 13, free magazine della Galleria Civica di Modena
A cura della NPU, Banalitá di Base: Breve storia dell’Internazionale Situazionista, Nautilus,1999.
http://www.jamiereid.org/
http://www.mital-u.ch/PunkWave/j_reid.html
2.bp.blogspot.com/-x1ErOAbXxH0/TgJFx5IpfeI/AAAAAAAAAEo/fP0194Zmbbk/s640/statue_postcard.jpg
http://www.arcadia93.org/thelema-arcadia93.html
http://www.statemaster.com/encyclopedia/Unicursal-Hexagram
http://www.cesnur.com/neo-paganesimo-neo-stregoneria-neo-sciamanismo/la-corrente-neo-sciamanica/
Per tutto il resto c’è Wikipedia-