Sul pianerottolo dello scalone di Palazzo Margherita compare improvvisamente un relitto. Un salotto buono, di gusto demodè. Certo, il tappeto è un po’ logoro, il centrino fatto a mano è ingiallito, le poltrone di velluto verde oliva non sono al massimo della forma. Ma sul tavolino c’è una ciotola piena di confetti di zucchero e un numero di Epoca, con Gina Lollobrigida in copertina. Come se la proprietaria del soggiorno fosse appena uscita, e stesse per rientrare da un momento all’altro. Tutta la “stanza” è piena del suo fantasma, affacciato su cornici appese ai muri. La protagonista di Dreams, l’installazione di Alessio Bogani per lo Spazio Progetto dei Musei Civici di Modena, è una Signora Nessuno.Col sorriso splendente, la stola di pelliccia, la pettinatura da Joan Crawford. La Signora imita atteggiamenti da diva, ma non riesce a ricordarci il suo nome. I segni esteriori della fama e del benessere non riescono a far argine all’oblio, alla deriva della dimenticanza. Perché nessuno sa chi sia questa donna. Tutte le sue foto, trovate in una bancarella di Porta Portese, risalgono agli anni Cinquanta. Gli anni della transizione, in cui si sono creati i presupposti del boom economico. Quegli anni proprio sul crinale, in cui il godimento della ricchezza stava cessando di essere una cosa per pochi, e in cui si sono codificate le modalità dell’edonismo di massa. Soprattutto, il suo profondo legame con il potere e col sistema delle immagini. Nella parete a fronte c’è un’altra teoria di foto, incorniciate come reliquie. Una sposa che beve il caffè, una coppia in mezzo ai resti di un banchetto. Due biglietti per vedere Via col Vento, risalenti al maggio del ‘52. La Signora Nessuno in mezzo a mucchi di stelle filanti. Mentre balla con un signorotto dall’aria danarosa. Mentre brinda con lui. Più volte in posa con altre coppie di bella gente. Bogani mimetizza le sue opere in mezzo a questo fondale di cronologia domestica alto-borghese, come a svelare il suo aspetto nascosto.Le sue tavole ad olio riproducono una fetta di torta rosa che sta per squagliarsi, un bambino che sembra un vecchio, una starlette seminuda, travestita da odalisca, circondata da bramose braccia maschili. La Diva Senza Nome compare in due oli di grande formato, mentre inarca la schiena all’indietro spingendo i fianchi in faccia allo spettatore. Il suo vestito sembra colare, disfarsi addosso, rivelando la natura illusoria del sogno. Miss Sweet Dreams, con il suo solito eterno sorriso, identico in ogni immagine. Lo stesso sorriso che si è ripetuto nei decenni che sono seguiti, come un campionamento seriale. A tutti i concorsi di bellezza, sulle pagine dei rotocalchi, nei ricevimenti di gala.Nelle corti discotecare di tendenza, alle sfilate di moda, sui volti delle veline, nei reality show. In tutte quante le televisioni a reti unificate. Ripetuto all’infinito, questo sorriso perde ogni significato gioioso, diventando qualcos’altro. Una condanna, abbattutasi su tutti noi, per effetto di uno strano sortilegio.
Pubblicato il 19 gennaio 2010 su Whipart