Qualsiasi oscenità nasce dall’amore.
Evertrip, Tegumenta
Più visibile del visibile, tale è l’osceno. Più invisibile dell’invisibile, tale è il segreto. La scena è nell’ordine del visibile. Ma non c’è più una scena nell’osceno, non c’è che la dilatazione di ogni cosa fino all’estasi. L’osceno è la fine di ogni scena. Inoltre è di cattivo augurio, è il suo nome ad indicarlo. Infatti, questa ipervisibilità delle cose è anche l’imminenza della loro fine, il segno dell’apocalisse. (…) Essa è con la fine del segreto, la nostra condizione fatale. Se tutti gli enigmi sono risolti, le stelle si spengono. Se tutto il segreto è restituito al visibile, se ogni illusione è restituita alla trasparenza, allora il cielo diventa indifferente alla terra. Nella nostra cultura, tutto si sessualizza prima di scomparire.
Jean Baudrillard, Le strategie fatali.
Un po’ di oscenità aiuta a vincere la depressione.
Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi
ci feriremo – di questo Corpo – Necessario, di questo- amore panico che non – tiene i cardini costali- ma rovina in una piena – contro il muro, e sarà sul- muro che ti ritroverai- incauta all’assedio del – mio sgorgare di ettari – di mani, ettari di sale, ettari di piume.
Evertrip, Tegumenta
“Perché mi scortichi?” chiese;
“Ahimè! mi pento!” gridava “un flauto non vale tanto!”
Ma mentre egli disperava gli fu strappata la pelle dalle membra
Nient’altro era che una ferita; ovunque promana il sangue,
si scoprono i muscoli liberi e, rilasciate, senza pelle,
pulsano le vene; potresti contare
le viscere zampillanti e le fibre sanguigne.
Ovidio, Metamorfosi, Supplizio di Marsia, Libro VI, vv. 385-391
Gli occhi umani non sopportano né il sole, né il coito,
né il cadavere, né l’oscurità, ma con reazioni differenti
Georges Bataille
Curami
curami
curami
Prendimi in cura da te
Prendimi in cura da te
CCCP
L’apparato tegumentario è costituito dall’organo più esteso del corpo umano, la pelle, i suoi tre strati di epidermide, derma, ipoderma, e il loro complesso sistema di interrelazioni. La pelle ci ricopre come un guanto, racchiude muscoli, viscere, legamenti, sistemi di circolazione e di scambio, reti di informazioni. È innervata, è il vettore del senso del tatto, il senso preposto all’esplorazione del mondo e all’estasi, il primo senso a svilupparsi nel feto. La pelle protegge dalle contaminazioni, è il sottilissimo confine fra noi e il mondo esterno. La pelle può ammalarsi. Quasi tutte le malattie veneree hanno una sintomatologia cutanea. Può essere ferita e lacerata in molteplici modi, può ricoprirsi di tagli, bruciature, lividi, può venire orribilmente straziata. È l’organo di cui probabilmente Antonin Artaud si sarebbe disfatto per primo, essendo il più vulnerabile al ricatto sadico del Potere. L’apparato tegumentario proviene dal medesimo tessuto fetale di cui è costituito il cervello.
Evertrip (Paolo Ferrante), con il suo libro d’artista Tegumenta, propone un compendio sulla natura dell’amore, incentrato sui concetti di corpo, carnalità, patologia, santità e trasformazione. Tegumenta è razionalmente diviso per lettere, dalla A di Amore, privativa rispetto a mors, morte, alla Z di Zyprexa, che non è una pianta nota ai Greci e ai Latini come panacea per curare tutti i mali, ma bensì l’olanzapina, un antipsicotico prescritto contro la mania, il disturbo bipolare, la depressione, l’anoressia nervosa, insomma tutti quei mali che l’amore può lasciare dietro di sé una volta che la declinazione del suo alfabeto è giunta all’ultima lettera. Tegumenta ha una forma che ricorda i Frammenti di un Discorso Amoroso di Roland Barthes, trasformati in versione lirico-simbolica, con citazioni che vanno dalla classicità, alla tradizione cabalistica, fino a Rilke, e con rimandi sotterranei all’occultismo, alle teoriche dell’oscenità, all’agiografia e all’iconografia di San Bartolomeo. La struttura regolata dell’alfabeto si illumina di visionarietà potente, con l’irrompere improvviso di liriche e vertigini personali, che mettono in scena una passione sfacciata ma mai pornografica, sempre diagonale ed allusiva, senza mediazioni, che si rivolge alla seconda persona singolare. Tegumenta raggiunge gradi febbrili di significazione, grazie alla forza della poesia, a quella delle immagini, e alle loro molteplici intersezioni.
Quindi, Tegumenta è un dizionario emozionale sull’amore.
La trattazione sugli afrodisia si accosta visivamente spesso al tema dei supplizianti, scuoiati e mutilati, acefali, oppure bendati, come i condannati a morte o alle camere di tortura. Il supplizio della scorticazione ha una lunga storia, che parte con i sanguinari Assiri, viene applicato per martirizzare San Bartolomeo, e viene utilizzato in maniera rituale post-mortem sulle vittime dei sacrifici umani degli Aztechi. Una vera e propria passione per questo supplizio ha contraddistinto la dinastia Ming, i cui imperatori l’hanno declinata in molteplici forme e parafilie, chi prediligendo la scorticazione del solo viso, chi quella delle donne, chi quella dei funzionari corrotti. Anche i Persiani usavano questo supplizio contro chi si macchiava di corruzione, e si dice che l’abbiano riservato anche all’imperatore romano Valeriano. Ipazia di Alessandria, geniale astronoma e filosofa neoplatonica, è stata scorticata con tante piccole conchiglie affilate dai parabolani, monaci integralisti cristiani scesi dalle montagne per fornire il loro supporto militare al vescovo Cirillo. La scorticazione ha un posto d’onore nella mitologia greca, viene usata per punire la bravura del satiro Marsia, sconfitto con l’inganno dal dio Apollo in una gara di musica. Questo supplizio è stato spesso scelto come forma di degradazione contro nemici importanti ed esemplari, per mostrarli regrediti al ruolo di prede animali o cose. Ad esempio, Marcantonio Bragadin, ultimo Governatore di Cipro, è stato scuoiato e sottoposto dai turchi a torture ineffabili, alla fine delle quali la sua pelle venne conciata, imbottita di paglia, dotata di occhi a bottone e fatta sfilare pe le strade. In Tegumenta, la lettera D di Dominio della morte sottolinea che “il culto della morte risale alle più remote civiltà, e ha da sempre accompagnato l’uomo. Incapace di pensare all’esistenza di sé come un frutto del caso, ha infarcito la propria vita di cerimoniali leziosi e ha perso il proprio tempo a convincere il suo prossimo della validità dei propri dogmi, arrivando ad atrocità i n d i m e n t i c a b i l i”. Georges Bataille accostava l’atto sessuale al cavalletto della tortura, e Tegumenta, fin dalla lettera A, mostra l’intima, radicale connessione fra amore e morte. Lo scorticato è spesso posto in unione ad allusioni all’attività amorosa, perché è proprio di questo stato che lo scorticato è metafora: nell’amore cadono le barriere fra il soggetto e il mondo esterno. I confini della mente e del corpo si allargano, inglobano l’altro, la sensibilità dell’amante e dell’innamorato si acuisce come se fosse privo del tessuto epiteliale. La E di Epidermide si definisce come “lo strato morbido che ti separa dalle mie mani, situato fra la mia lingua e il tuo sangue.”
Evertrip mostra spesso questi scorticati spaventosi in stile Andrea Vesalio avvinti a donne piene di grazia. I loro amplessi necrofili non sono necessariamente patologici: si può amare qualcuno per le sue ferite e i suoi traumi, oppure si può amare qualcuno solo se si lascia fare a pezzi. Stringere un corpo scorticato e mutilato, come nell’opera Cieli Interni, può anche configurare una necrofilia simbolica, come amore delle cose non vive: amore immaginario, di persone che non esistono o che non sono presenti, o amore degli oggetti, come gli oggetti d’arte nelle loro molteplici discipline e forme, le teorie culturali, la filosofia. Questi amori rassicuranti, in cui l’oggetto d’amore seduce, si allinea ai desideri che abbiamo e ce ne fa scoprire di nuovi, senza però avere la facoltà di contraddirci e deluderci, erano gli amori preferiti di Gilles Deleuze.
Lo scorticato, nel suo rappresentare la caduta del confine fra il corpo e il mondo esterno, è emblema anche della contaminazione con l’alterità e la trasformazione in altro da sé, una trasformazione possibile nella morte, nell’amore, nel delirio e nell’estasi. Nella morte e nella conseguente putrefazione il corpo si dissolve, dando nutrimento a miriadi di altri organismi, animali e vegetali. Nell’amore si assiste all’unione dei corpi, al cambiamento delle menti e alla generazione di corpi nuovi. Nel delirio e nell’estasi si perde il principio di coesione ed identità fino a fondersi in una comunione unitaria o fino a frammentarsi nel molteplice, divenendo altro.
Proprio per questa attenzione alla perdita dell’identità Tegumenta cita spesso il regno vegetale e il regno animale, come altro rispetto all’universo umano, con cui l’umano è destinato a mescolarsi, nonostante il fatto che “concepirsi come materia organica che nella disgregazione dà vita a un fiore non sembra far piacere a nessuno”. In D di dominio della morte ed E di Epidermide vediamo due corpi scuoiati e mutilati che al posto della testa mostrano una rosa o il germogliare di infiorescenze. La rosa rappresenta la perfezione, il sangue del sacrificio, il processo di trasformazione. I fiori vengono paragonati alle stigmate, o alludono ai genitali femminili, come per sottolineare la sacralità del corpo amoroso. “abbiamo capito tutto delle rose e sul loro funzionamento, il loro cuore anatomico, il sistema meccanico, dove nidificano e dove sviluppano le prime uova”. F di Finestra mostra il Lilium Giganteum, una specie di giglio, simbolo analogo alla rosa per l’accezione sacrificale. In V di Vegetazione, sul mistero della bellezza di certi fiori, si riprende la tradizione pittorica ottocentesca di considerare la donna omologa ai fiori, anche per quello che riguarda le facoltà cognitive.
Per quello che riguarda gli animali, “i polmoni si riempiono di carpe dorate” alla lettera B di Bezoar. Alla lettera G di Gioia compare una volpe accoccolata sul grembo di una figura femminile mascherata. La volpe, simile alla fiamma, è simbolo di potenza sessuale e di fluidità imprendibile. La volpe è maestra del travestimento e inganna le sue prede simulando i loro versi. In Siberia è lo spirito guida degli sciamani e in Giappone è considerata un kami, un’entità a metà strada fra questo mondo e l’altro. Rappresenta spesso anche donne capace di ammaliare gli uomini e di privarli delle loro energie, come la Volpina di Armarcord o la micidiale groupie cantata da Jimi Hendrix in Foxy Lady.
Uno scheletro di uccello pronto a spiccare il volo compare in H di Ho lasciato le mie ossa a casa per portare in viaggio lo stretto necessario, assieme ad uno scheletro di cigno, realizzato in seguito in versione tridimensionale con pasta di struttura e fil di ferro plastificato da MalaTempora Studio. Il cigno, animale apollineo simbolo di luce e fecondità, rappresenta l’unione alchemica degli opposti, la forza del canto poetico e quella del desiderio. Il cigno compare anche nella pagina L di Lontano, che racconta dei periodi dolorosi in cui l’amore provoca ferite, nei momenti in cui l’amore diventa inganno e si prepara alla sua fine.
Nella trattazione sull’oscenità, Evertrip dice che essa è simile “al confuso ronzìo di sciami di mosche, e produce melodiosa poesia”. La mosca è un animale imprevedibile, imprendibile, veloce, considerato da molte culture un’entità guerriera dell’aria. Evoca anche la morte, la sozzura, la putrefazione, lo stato indifferenziato del cadavere, e le sue facoltà di trasformazione. La mosca è il lato oscuro della farfalla, simbolo di sublimazione dopo la morte.
Un’attenzione capillare viene poi riservata al corpo, e a tutto ciò che lo compone. In Tegumenta si parla di pelle, sangue, stomaci, carotidi, costole, mucose, gole, attaccature di capelli, cuori, polmoni, mani, bacini, ventri, guance, sterni, gambe, cosce, epidermidi, lingue, ghiandole, crani, nei, schiene, denti, grembi, braccia, ossa, nervi, volti, colli, zigomi, colonne vertebrali, pance, bronchi, scapole, uteri, fauci, teschi, cavità addominali, visceri, metatarsi, occhi, sistemi nervosi, insomma tutto il corpo, grandiosa macchina, o anche vescica di sangue e grasso. La carne viene continuamente nominata, costituendo così la fiamma centrale di tutta l’operazione poetica, “una carne che non stanca una carne magnifica”, e di lei si dice che è bramosa, è dolce, è amara, è cruda, è eruttiva, forma architetture, è vivente, e che il suo mistero non è ancora stato risolto.
L’erezione viene accostata visivamente al Bezoar, un rimedio medico amato dagli occultisti rinascimentali per combattere morbi come la sifilide e l’epilessia, molto usato all’epoca assieme ad altri incredibili ritrovati, come l’unguento di mummia, fatto con polveri o secrezioni cadaveriche, o al grasso di impiccato, che assicurava ai condannati un abbondante vitto prima di salire sul patibolo, usato per combattere le malattie della pelle. Il Bezoar è un calcolo che si forma nella bile dei ruminanti, o di altri animali, simile alle palle di pelo dei gatti. I papi e i re erano disposti a spendere cifre astronomiche pur di procurarsene uno. Si dice che la regina Elisabetta I possedesse una corona con un Bezoar incastonato al centro, donatole dal suo cortigiano John Dee, figlio del sarto di corte di Enrico VIII, mago condannato per stregoneria, negromante e seguace dell’ermetismo.L’orgasmo è trattato sotto la I di Incendio. “INCÈNDIO: fase di rassegnazione del cervello umano, oltre
la quale il corpo perde l’inibizione necessaria alla civiltà e adotta le sembianze della
combustione. Le fasi del declino si possono riassumere in: 1. brivido di calore 2. Cardiospasmo 3. ritmica lombare […]”In Tegumenta vediamo fotomodelle che frugano oscenamente dentro al petto di angeli in estasi, omuncoli in erezione accostati ai raggi X dei denti di un cranio, scorticati, donne chiuse in camicie di forza, corpi nudi stretti in corsetti ortopedici, i corpi nudi di Venere ed Eva, scheletri con lacerti di muscoli ancora attaccati alle ossa, donne abbracciate a cadaveri, figure femminili brutte, vecchie, sovrappeso, nell’atto di vomitare o di sanguinare in mezzo alle gambe, con i visceri in bella vista. Tutte le opere sono state realizzate con la tecnica del pennarello, una tecnica elementare, grossolana, che non permette virtuosismi.
La stessa parola Tegumenta è in qualche modo brutta, gutturale, di difficile comprensione.
E questo perché la morale di Tegumenta è che sono proprio l’imperfezione, l’oscenità e la deformità dei nostri corpi ad essere il nostro ornamento, a costituire l’unico degno oggetto dell’amore. O di Oscenità indica “tutto ciò che è sbagliato o inadatto, deforme, emarginato, ambiguo, o esente da criteri morali soddisfacenti”. E poi dice “Intendemmo la notte come sublimazione dei nostri corpi storti”. E infine “Qualsiasi oscenità nasce dall’amore”. Oppure, se guardiamo il ragionamento attraverso uno specchio, qualsiasi amore nasce dall’oscenità.
Evertrip, alla lettera H, sostiene che l’idea di perfezione sia volgare. La perfezione può ispirare solo l’adorazione, che è a senso unico, ma mai l’amore. La perfezione coincide l’idea del corpo asettico e stereotipato diffusa dai media, è il fantasma demoniaco del biopotere, con cui instillano le passioni tristi nelle masse per tenerle soggiogate. Ed ecco perché chi si arrende al demone della perfezione, chi la cerca in se stesso e negli oggetti del proprio amore, è destinato ad ammalarsi. L’unica cura disponibile si trova alla Z di Zyprexa, un antipsicotico, “ossia come finalmente imparammo ad amare la perfezione delle carni!” ma nella psicosi la realtà si allontana, viene sostituita da un surrogato, e non c’è panacea che possa guarire.
Accanto al corpo, in Tegumenta emerge anche una trattazione sulla patologia della mente, sui vari modi che la mente ha di provare dolore, tramite i ricordi del passato, la lontananza, le persecuzioni fobiche, il gelo della fine, il disagio, le apatie, l’angoscia, i temporali, gli addii, le cardioalgie, i demoni perfezionisti e le loro cure chimiche.
La tematica della santità costituisce il leitmotiv di tutta la composizione, con raffigurazioni di martirii, esseri alati o aureolati (I di Incendio e S di Senza Tregua), mani con stigmate (M di Manualesullerose), riferimenti ai desideri di Cristo, a donne benedette o piene di grazia, a liturgie, a pentimenti e pratiche religiose della lontananza. Quindi l’amore si configura come un oggetto di pensiero paradossale, contradditorio proprio come l’idea di Dio, in cui la cura e la malattia convivono, assieme a tutti gli altri opposti.
Tegumenta intreccia mistiche dell’estasi per parlare del corpo, delle sue mortificazioni ed elevazioni, delle trasformazioni inevitabili a cui l’esperienza amorosa lo sottopone, in cui albedo, rubedo e nigredo corrispondono caoticamente ad innamoramento, passione e fine, in un ciclo eversivo che troverà sempre nuovi, infiniti oggetti in cui perpetrarsi.
Testo scritto e curatela per la mostra Tegumenta, di Evertrip, inaugurazione 17 maggio 2014 presso Cayce’s Lab