“Tu quoque punk? “ è una frase che stava scritta nella mia cucina a Bologna, assieme ad altri contributi tipo “God is an American (povero e porco)” e ”Basta skifo intorno a me”. È una citazione della frase che Giulio Cesare disse al suo figlio adottivo Bruto, mentre questi lo pugnalava a morte durante l’attentato delle Idi di Marzo. Naturalmente Cesare non disse proprio “Tu quoque Punk?”, ma “Tu quoque Brute, fili mi?” Anche tu, Bruto, figlio mio? Anche tu mi pugnali? Non conosco con precisione l’origine della variazione punk, pensavo fosse ascrivibile al territorio CCCP, ma Fatur dice di no.
Anche tu punk? È una domanda che potrebbero farsi i padri e i figli del movimento, scrutandosi con sospetto gli uni con gli altri. La risposta è sempre sì.
Invece, per quello che mi riguarda personalmente, la risposta è no. La vera musica punk di nicchia non mi ha mai interessato, i concerti, per usare un eufemismo, non mi piacciono ( tutti i concerti, a parte quelli di Diamanda Galas), e non arrivo oltre a Misfits e Buzzcocks. Eppure c’è qualcosa che mi ha spinto a fare questa mostra. In primo luogo c’è il fatto che mi occupo, ahimè, di arte contemporanea. Secondo il mio punto di vista, l’arte e le subculture nascono dalla stessa urgenza, dallo stesso malessere, dalla stessa sacra disabilità ad integrarsi nello status quo, e dovrebbero tendere verso medesimi fini. È vero che troppo spesso l’arte ha servito e serve la diffusione dell’apparato iconico del potere, per creare una sensibilità collettiva rassicurante e per glorificare il potere stesso, ed è altrettanto vero che la controcultura troppo spesso si ammanta di divise e codici di comportamento imprescindibili ai fini dell’appartenenza e dell’esclusione. Ma a noi, che siamo romantici, interessano gli ideali, non le stronzate.
Un altro stimolo è stato un discorso che ho fatto con Claudio, quando mi ha raccontato che da ragazzino andava al Virus di Milano, e che negli anni Ottanta ha visto il concerto dei Virgin Prunes a Modena. I Virgin Prunes. Siouxsie and the Banshees. A Modena. Quindi, a quanto pare, la conoscenza del territorio non si limita ai procedimenti per fare l’aceto balsamico o le piastrelle, alla storia dei motori e dell’albero genealogico degli Este. E, a quanto pare, un tempo a Modena succedeva qualcosa, c’era fermento culturale, posti in cui andare la sera, concerti internazionali, e gran parte di questa entropia creativa era legata al movimento punk. E, a proposito di principi d’Este e del post-vandalismo tipico dei nostri manifesti, a questo giro ce la siamo presi con Carlotta Aglaè D’Orleans, che, a detta delle nostre guide turistiche più qualificate, è stata il personaggio storico più punk di Modena, talmente sportiva, scomoda e spregiudicata da dover essere allontanata dal Ducato. E poi non poteva mancare Maria Beatrice D’Este, che divenne regina d’Inghilterra, la cui corona, in perfetto stile Westwood, ora si trova nella Torre di Londra, con la scritta interna “Mary, Queen of Modena”.
Non mi ricordo se è una cosa che ha detto Helena Velena, Eric de Chassey, oppure se l’ho pensato io, ma sono sicura che una delle caratteristiche più eversive del punk è la volontà di riappropriarsi della cultura. Fatti il tuo gruppo, occupa il tuo spazio, produciti la tua pubblicazione.
Queste interviste sono state fatte in maniera random, senza una struttura, senza intenti sociologici, senza propositi onnicomprensivi, senza nessun occhio di riguardo per l’ortodossia. Ho parlato con qualcuno, che mi ha detto di contattare il tal altro, che poi mi ha passato il contatto del tal altro ancora. Piano piano si è delineata una mappa attiva attraverso il tempo, che va dalla Mongolfiera di via dei Tintori allo Small a Pieve di Cento, dal Punto Club fino al Mascotte, dal Titanic di Fiorano al Fassbinder di Sassuolo, dal Pacco di Castelvetro a Carpi al Tuwat, dal XXII Aprile alla Scintilla fino al Libera e al Guernica. È emerso un insieme di pratiche, dalle occupazioni di spazi, alle produzioni delle prime fanze, dalle decine di gruppi musicali attivi a livello europeo all’organizzazione di eventi internazionali, dagli striptease post-industriali degli artisti del popolo fino ai dipinti fiamminghi di fabbriche abbandonate, dai fumetti politicamente scorretti agli esercizi propedeutici per l’insegnamento della filosofia, dalle distribuzioni discografiche attive per l’estinzione del genere umano fino ai cortometraggi distopici dei Videoteppisti.
E, indagando tutto ciò, è venuto fuori questo oggetto di pensiero ed azione, anomalo e meraviglioso, continuamente sfuggente, polisemico. Una metodologia per potenziare linee di pensiero autonome. Un percorso di apprendimento politico. Un codice per comprendere le dinamiche del rigetto sociale, e per risolverle in maniera di cui andare fieri. Un metodo di aggregazione transnazionale fra dissidenti. Uno strumento di liberazione personale, per ribellarsi al principio contemporaneo della repressione, ovvero l’esclusione e l’isolamento. Uno slancio vitale. Una fonte di orgoglio per la propria diversità, che va difesa anche con le unghie e con i denti. Un modo per sviluppare la propria personalità ed arrivare a fare le cose che ci piacciono.
Ho fatto questa ricerca perché fin da trent’anni fa, fin da quand’ero una pupattola col ciuccio e i gadget dei Puffi, nell’Età del Piombo, quando la crisi si esprimeva mediante il terrorismo di stato, il punk è stato -ed è tuttora- uno dei movimenti più incendiari e sovversivi, rispetto a socialità, creatività, perfino economia, in grado di proporre e soprattutto di creare un altro modo di vivere. E noi, ora più che mai, abbiamo bisogno di ricordare e di conoscere le vecchie metodologie di resistenza, per trovarne di nuove da applicare nell’immediato.
L.S.T.
I curatori declinano ogni responsabilità riguardo ad inesattezze relative a date, anni, riferimenti personali, situazioni, nonché a vere e proprie invenzioni allucinatorie eventuali, dovute ad eccessi alcolici, time warp mnemonici, malanimo, sociopatia, mitomania, lesioni espansive del cervello, genocidi neurali, disfunzioni cognitive, demenza senile, sindrome di Asperger, sindrome di Tourette, matta bestialitate o qualsivoglia causa psicofisica. I curatori declinano altresì ogni responsabilità in merito alle coprolalie, alle contravvenzioni del secondo comandamento mosaico, alle contraddizioni, alle licenze poetiche e agli insulti reciproci contenuti nelle seguenti interviste.
CLAUDIO, 1964, KRAKATOA INKORPORASCION ANDERGRAUND MUVIS
“Avevo vent’anni. All’epoca c’erano i fricchettoni, ma erano fricchettoni cattivi, mi ricordo di una mega rissa a Riccione fatta da questi fricchettoni, che poi erano anche gli unici alternativi. E insomma ti volevi staccare da quel gruppo malato di hippie imborghesiti, anche perché erano tutti ricchi. Tutti quelli che sono andati in India non ci sono andati in bolletta. I fricchettoni di fine anni Settanta erano come i bimbi-minkia di adesso. Poi c’erano i paninari, con la cintura Charro, le Timberland, il giubbetto arancione, i Levi’s, e loro sotto lampadati arancioni.”
“La balotta vera è finita negli anni Novanta, ora molti alternativi sono come i vecchi fricchettoni. ll punk mi ha forgiato come sono adesso, sempre un emarginato, come all’epoca, ma con le idee chiare. Mi ha portato a ragionare con la mia testa e non seguire le masse. Un po’ come i vecchi tossici, sono vecchi, continuano a farsi e se ne sbattono i maroni.”
MARTINO MERLO GIANOTTI, 1987, CANCER SPREADING, GGANG
“Da parte della vecchia guardia c’è molta critica per il crossover fra la scena punk e la scena tekno dei rave. A Bologna invece ci sono molti scambi fra queste due scene. A me la tekno piace perché mi piace tutta la musica estrema, mi piacciono i Brutal Toys di Milano, poi la Frenchcore, tipo D.O.M, i Sickest Squad, i Programers, tutti francesi, ma anche gli spagnoli non sono male. E insomma successe che Kava stava in compagnia al Bar Giorgia tramite questa compagnia si iniziò ad andare ai rave. Ggang non è altro che un nome che usiamo quando organizziamo qualche evento dove suoniamo. Non è assolutamente facile dare una definizione all’essere punk. Credo che sia l’essere consapevoli del fatto che nel mondo moderno ci siano tante cose che non vanno come devono andare, a partire dai rapporti tra le persone, i pregiudizi della gente e tante altre. Questa consapevolezza ti porta a cercare di fare le cose, nel tuo piccolo, diversamente da come ti viene imposto fin dalla nascita.”
Pera aka Gimmy aka McP47, 1987, GOODBYE MANKIND, Extreme Vandamme Terror
“Per l’etica, per fortuna non c’è una bibbia, essenzialmente il punk è dire no. C’è il gruppo che ti parla solo delle sbronze e c’è il gruppo invece che ti parla di politica. In sostanza io credo alla teoria dell’estinzione, l’uomo è marcio e dovrebbe estinguersi il prima possibile. Per questo la mia etichetta si chiama Goodbye Mankind.”
“Da cinno facevo i cd masterizzati per mantenermi, a due euro a cd. Facevo anche delle cassettine, ho fatto quelle di Cancer Spreading, e di roba stench core, un sottogenere del crust. Poi Ride Now Work Later, Cruel Storm, Hail Idiot. Le cassette le registravo io, facevo anche le grafiche. Poi sono passato al vinile. I vinili radunano varie etichette che vengono rimborsate in copie da distribuire. Ho fatto tutti i vinili dei Cancer, di Terror Firmer, Children of Technology, Humus, Minkions, Repulsione, Violent Headache, Haeomophagus. Un tempo le distribuzioni e il circuito che le tiene in piedi erano diversi, forse più informali, o forse solo meno globalizzati. Il modo di conoscere il punk e i gruppi nuovi mi ha aiutato la scena delle distro e i primi usi di internet a livello di diffusione musicale. Quando avevo dodici anni c’era solo Napster. Adesso ci sono mille modi di promuoversi tramite internet, ma ci sono pochi gruppi underground, fa conto che a fine degli anni Novanta ce n’erano quattro volte tanto.”
LA FRA, 1978, LIBERA
“La mia esperienza visiva primaria del punk riguarda i manifesti che circolavano in città soprattutto alla Scintilla e al XXII Aprile, quello sotto al Novisad. Stiamo parlando degli anni ‘94-‘95-‘96. Io avevo quindici-sedici anni fai, prima-seconda superiore. Poi un’esperienza visiva molto forte è stata forse Minimo, con cui ho fatto i cabò. Lui non andava in nessuna scuola, faceva la scuola di strada. Era bello perché io scabottavo, e lui veniva fuori dal Venturi e urlava per comunicare, come un autistico, come qualcuno che voleva comunicare qualcosa e non ci riusciva, ed era bello stare con lui in giro per Modena. Un’avventura. Eravamo in giro per una Modena morta, come può essere adesso, ma con lui diventava un’avventura. Minimo tentava sempre di rubare qualcosa, bottiglie di vino o birra o cd all’ARGHHH!!!. Nonostante fossero quelli dell’ARGHHH!!!, a lui non fregava un cazzo. Poi diceva devo fare una cosa, si metteva a dieci metri da te. Poi si faceva, e tu lo vedevi. Ti chiedevi che cazzo volesse dire questa vita, e intanto vedevi i suoi tatuaggi, la sua autoproduzione del chiodo. Lui non era amico di nessuno, girava con tutti. Se tu volevi girare con lui, a lui faceva piacere. L’han dato per morto mille volte, lui più di una volta si incazzò per questo, ma io l’ho visto sei mesi fa. Ora è vestito normalissimo, per quanto la normalità sia un concetto che non esiste, ma ha ancora lo sguardo da folle. E ho detto, diocan, quello è il Minimo. Ed è giusto così. Fai la tua vita, ti riprendi, fai magari la comunità, magari non hai più la tua estetica punk visibile, ma è la tua storia, quello che hai dentro. È giusto che Minimo sia vivo.”“Penso che il punk sia un movimento giovanile, è giovanile soprattutto nell’estetica, come forma di rappresentazione di quello che sono i tuoi problemi e la tua protesta. Il ribellismo esiste come fase, a prescindere che tu sia un punk, un fighetto, dark.
L’estetica è importante nel senso che riguarda il mettersi in gioco, subire insulti, parole, offese, quando giri in quel modo, e devi avere il coraggio per farlo. Poi però il punk ti rimane “nella testa e non nella cresta”. Questa è la fase successiva. L’estetica si abbandona e ti rimane il tuo spirito, l’attitudine, il comportamento. Mi interessa protestare con le idee, quando divento adulta. Decido di fare l’operaio piuttosto che il banchiere, decido di rimanere in una classe piuttosto che in un’altra, opto per uno stile di vita modesto, proletario, etico, di rispetto. Decido di avvicinarmi alle idee anarchiche piuttosto che a quelle qualunquiste o di destra. Questo per me è rimanere punk.”
Dott. Alessandro Formigoni, 1967, Paolino Paperino Band, AARGHH!!!
“Per quello che riguarda il mio percorso personale, andai via dalla parrocchia, che mi aveva distrutto la psiche con le sue cazzate, e mi avvicinai a queste forme nuove, che un po’ mi spaventavano, ma che mi hanno rafforzato e temprato, per farmi cercare di dire quello che pensavo e di essere onesto. Avevo già il mio gruppo musicale, e mi così mi sono formato dal punto di vista culturale e politico.
“La mia formazione è avvenuta attraverso la dialettica, avevo bisogno di una visione esistenziale. Avevo bisogno di sentirmi importante e utile in mezzo agli altri esseri umani, e l’anarchia mi ha fornito gli strumenti.
C’è stata una “trinergia”.
Io, dottor Formigoni, con i miei amicissimi compagni di gruppo paolini, facevamo canzoni e volevamo diffonderle. All’inizio c’era solo provocazione e distruzione. Nel senso che prima di costruire dovevamo distruggere qualcos’altro, ovvero tutto.
Poi c’era il luogo, la Scintilla, nella quale c’era una grandissima empatia umana con le persone che al tempo c’erano assolutamente affini. Erano i grandi cattivi maestri, che mi hanno motivato in maniera forte: Colby, Giulio, Lele, Mauro, Simona, etc. Sentivo che c’era un gruppo, in Italia e nel mondo, di cui facevo parte.
Il terzo ed ultimo elemento della trinergia è stato che io ed un’altra persona abbiamo deciso di aprire un punto vendita discografico, che trattasse dal punto di vista estetico e contenutistico il punk, per poterlo diffondere nel territorio. Il negozio ARGHHH!!! ha aperto nel ’89 e ha chiuso nel ‘99. Io me ne sono andato nel ’94. Poi, oltre al punk, la cosa si è allargata ad una dimensione più vasta, ad altre subculture antagoniste alla merda assoluta del mainstream degli anni Ottanta, dal punto di vista umano e politico.
Attorno a queste tre polarità si è creata una scena.”
“Il Fassbinder era bellissimo, ci ho visto i concerti più belli della mia vita, tipo i Neurosis. Poi c’era il Lambicco a Vignola, era più dimesso, più politico, con più assemblee. Ci hanno suonato gli LHP, non ho mai visto un tale blasfemia, contro Wojtyla in quel caso. E poi c’era il Tuwat. Io l’ho vissuto nel periodo postpunk e garage. Lì c’è stato un vero movimento underground, i concerti garage che facevano al Tuwat non avevano niente da invidiare a GG Allin.
Nella mia vita, il punk è stata una tutela del diritto di esistere come si è, finocchi, brutti, storpi, grassi, e poter esistere, esistere ed affermarsi in un ambiente complesso e non positivo per chi non è allineatissimissimo.”
FABRIZIO BUCCIARELLI, 1963, MONGOLFIERA, STIGMATHE
“Mi ricordo che quando venne Siouxsie la prima volta, quindi ti parlo, boh, nel ‘79, io mi ero fatto i capelli azzurri. La polizia mi fermava ogni dieci metri, sono stato aggredito due volte, assieme a mio fratello. Non era facile. Tieni conto che a me nell’84 mi hanno arrestato con l’accusa di “porto abusivo di arma da guerra e presunta partecipazione a banda armata” , e l’arma da guerra in questione era la cintura di proiettili tipo Motorhead. È stato umiliante stare tre giorni in prigione, con questi che non riuscivano a capacitarsi, e mi chiedevano se me l’avessero data i palestinesi, o le Brigate Rosse, o i fascisti. E io, è una cintura, si trova, cara, a dodici sterline in Carnaby Street!! Persino il magistrato, che era stato a Londra poco tempo prima, disse, sì sì, le ho viste anch’io, però c’è la legge anti-terrorismo, e io devo applicare. Erano gli ultimi anni di piombo. Mi sono fatto venerdì, sabato e domenica in prigione, perché non c’era un artificiere disponibile né da parte dell’Accademia, né da parte di polizia e carabinieri. E il dramma non era neanche quello, ma la fedina penale sporca, che tutte le volte che ti fermavano poi la prassi era pistola addosso, e “Lei è un delinquente e un terrorista!”, e tu che devi spiegare sempre. Non c’erano i terminali, ma queste telefonate “Uééhh, prondo! Ho preso unu delinguente, unu panke, unu viulentuu, e c’ha uuu coosuuu… e che è??!! … Gli sparu?”
“Era questo il cinturone. Se un ragazzino osava fare una cosa all’epoca così allucinante come colorarsi i capelli, quindi essere martoriato, con tutti che ti fermavano, e tu che ti dicevi, speriamo che non mi picchino anche stavolta, o che non mi arrestino per turbamento dell’ordine pubblico, c’è da dire che le ragazze erano messe molto peggio, perché oltre ad esporsi ai commenti maligni delle persone , tipo ma guarda questa com’è messa, che cosa fa, c’erano gli approcci sessuali, tipo vieni qua eccetera. Erano trattate come delle puttane a passeggio. Le ragazze della prima scena punk erano molto coraggiose, molto più coraggiose sia dal punto di vista estetico che musicale.”
“All’inizio non c’erano né la Scintilla né il Fassbinder, ma, in via dei Tintori, c’era la Mongolfiera, che era diventata l’alternativa dei bar, perché il problema dei bar è la noia. Ovvero che stai al bar e alla fine ti rompi le palle, giochi ai videogiochi o a biliardo, e poi dalla noia viene il problema droga. La Mongolfiera l’abbiamo aperta noi del Bar Amendola, è la prima esperienza di autogestione modenese. Noi siamo entrati, in termini decisamente abusivi ed illegali, in una struttura già completamente attrezzata, nel senso che c’era una sala prove bella e completamente equipaggiata. Salivi al piano di sopra e c’era una cucina professionale completa, la sala da the e ristorante, varie salette in cui organizzare piccole conferenze, mostre. C’erano quattro piani. Emilio Soncini, un mio carissimo amico, aveva cercato di far diventare la Mongolfiera un polo creativo, assieme a me. A me dell’aspetto politico non mi interessava un tubo, per me l’aspetto creativo era il massimo che ci poteva essere in una comunità.”
“L’espressione musicale era fantastica, incredibile, al punto che il fronte italiano ora ha anche un nome storicizzato, si chiama Italian Furious Hardcore. Ha una matrice musicale inglese americana, con testi italiani. Questa è stata sicuramente la cosa che a me ha interessato di più. A Modena, caso unico in tutt’Italia, c’era anche questa passione alla Bad Brains, con pezzi velocissimi e poi pezzi reggae, tipo Bunny Wailer e Linton Kwesi Johnson.”“A Modena quindi c’erano gli Stigmathe, che eravamo noi, ma ci formammo nell’83. Poi i T.K. ovvero Tokyo Hotel, e Rats di Spilamberto. Qualche tempo dopo ci furono gli Acid Cocks, le Menti Alternative e altre formazioni minori. Tutto questo succedeva prima che esistessero Scintilla e Fassbinder.”
Claudia “Lloyd” Baracchi, 1962, Rats, professoressa di Filosofia all’Università della Bicocca
“Da qualche parte Oscar Wilde lamenta che Lord Byron dovette sprecare tanta della sua energia semplicemente per essere contro e superare circostanze avverse, e si chiede che cosa sarebbe riuscito a fare se le sue capacità avessero potuto dispiegarsi più liberamente. Anche io me lo sono chiesta spesso, ripensando all’adolescenza; ma senza rimpianto. Forse andare controcorrente, almeno in una certa fase della vita, può aiutare a mettersi a fuoco. Forse scontrarsi con forze opposte, affrontare fatiche, frizioni e frustrazioni, imparare a dire di no, sono preludio a qualcosa d’altro.”
“Mi sentivo straniera, estranea, straniata dal mondo circostante, e quello era un modo per mettere in esplicito l’abisso che mi separava, per acuire il conflitto, ampliare le distanze che avevo comunque in me. (…) A pensarci oggi, fu soprattutto una pratica di purificazione.”
ANDREA CHIESI, 1966, PITTORE
“Per chi come me era adolescente tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta il punk è stato una forma di resistenza fondamentale. Chi non amava il modo di essere degli anni Ottanta trovava nella controcultura un’isola di sopravvivenza.”
“Per me il punk è un’attitudine mentale che ha permesso la nascita di tante altre cose, che mi riguardano di più, come postpunk, New Wave, gothic, dark e industrial. Il punk è stato la prima luce e la prima fiamma. Sintetizzando quindi, secondo me il punk è stato una forma di resistenza culturale per gli adolescenti. Era un fenomeno molto di nicchia, che creava un forte senso di appartenenza. C’era questo senso di appartenenza a qualcosa di diverso, una maniera orgogliosa di essere diversi, in un’epoca in cui vestirsi di nero e ascoltare musica strana faceva di te automaticamente un alieno. Questo è stato molto bello perché ha permesso un approccio mentale differente. Quello che io poi ho sviluppato nel disegno e nella pittura deriva da questo approccio, guardare le cose in maniera diversa, cercare di pensare in maniera indipendente. Non farsi omologare dal mainstream della cultura ufficiale, da quello che va di moda, avere la consapevolezza che esiste un’altra storia.”
“Un luogo molto importante è stato il Tuwat di Carpi, dove, per quanto ne so, si sono formati i CCCP, e che viene citato in Emilia Paranoica. Io ci andavo in motorino, e ci ho fatto la mia prima mostra di fumetti. Era una mostra in 3d, ovvero dei disegni che avevo fatto con la tecnica dei due colori sfalsati, che vanno guardati con gli occhialini apposta autoprodotti. La mostra fu assieme ad Ivan Trevisi, che aveva questo negozio in centro a Modena. Questo negozio si chiamava Il Perfido Zodani, era vicino alla chiesa di San Pietro, ed era un posto stranissimo che vendeva i fumetti d’autore e i libri di illustrazioni, di cinema, e poi pubblicazioni indipendenti, libri usati. Lì c’era questo nucleo indipendente, perché, oltre il Perfido Zodani, c’erano altre realtà, come il Teatro San Geminiano, il primo luogo di teatro indipendente che poi è diventato in vari passaggi il Teatro delle Passioni. Dentro al chiostro di San Geminiano c’era una biblioteca del Comune di Modena specializzata in fumetti. C’era il Wienna locale storico della New Wave modenese. Poi c’è stata Galleria Aperta, una galleria d’arte gestita da Patrizia Lazzaro e Luigi Colli. Infine c’era il Vortex, un negozio di dischi indipendenti ed underground. L’area intorno alla chiesa di San Pietro, dietro al Mercato Coperto, era una specie di cittadella, molto vitale e creativa.”
“Il Wienna, da quello che mi ricordo dopo venticinque anni, era un Arci. Io al Wienna ci entrai quando lo stavano ancora ristrutturando, era tutto mezzo diroccato. C’entrai a fare delle foto, ed è stato il primo luogo abbandonato che ho visto, fotografato e poi disegnato. È stato questo il primo seme da cui sono nate le mie altre opere, sui luoghi abbandonati in attesa di trasformazione. Quando dico che un pittore dipinge sempre lo stesso quadro intendo questo, che tu hai un seme, una cosa dentro che tiri fuori nell’arco di tutta la tua vita, migliorando sempre di più il modo in cui lo esprimi. Ma esprimi sempre la stessa cosa.”
“Sembrava di stare un po’ in una riserva indiana. A cinquant’anni non ha più senso vestirsi da punk perché se lo eri veramente lo sei rimasto dentro, mediante un approccio critico verso le cose ufficiali, verso quello che ti viene detto, con una curiosità di guardare anche le cose minori, e il piacere di esplorare quello che non ti viene detto. Per me è stato questo il punk, non accettare la versione ufficiale delle cose, ma andare a cercare quello che sta oltre questa versione.”
DANILO FATUR, 1960, ARTISTA DEL POPOLO ITALIANO, CCCP
“Io nasco come fashion punk nel ’77, seguendo le orme dei Sex Pistols, a Carpi, dove con la moda ci abbiamo sempre avuto a che fare. Fra gli stessi punk che frequentavano il Tuwat c’era molta ricerca estetica. Vedevi dalle clipper ai Doc Martens, e c’era gente che andava a fare shopping a Berlino piuttosto che a Londra, perché c’erano molti punk di buona famiglia. In tutti i gruppi l’estetica è sempre stata basilare. Io ero finito al Tuwat perché ero uscito dall’Istituto dei preti di Carpi e avevo conosciuto la Sandra e la Mirca, che erano due punk che andavano lì. Avevano un look berlinese, molto carico come trucco, con delle gran creste, con borchie, chiodi, anfibi. Io ero una specie di junky carpigiano, e poi ho iniziato a fare il barista al Tuwat e piano piano mi sono ripreso. Si poteva parlare di cultura e cinema alternativo, e anche dei problemi, come droga, disoccupazione, malessere giovanile.”
“Per quello che riguarda l’aspetto performativo, ho iniziato con i Rosemary’s Baby, un gruppo di Verona tipo Genesis P. Orridge all’italiana. Avevano fatto un disco dedicato a Charles Manson, e mi invitarono a fare una performance con loro al Leoncavallo. Poi i CCCP suonarono al Tuwat, quando erano ancora in tre, fra l’82 e l’83. Ci fecero due o tre concerti e presentarono un filmino, in cui apparivano con gente con problemi psichiatrici dell’Appennino Reggiano. C’era anche la sala prove, tutti suonacchiavano e avevano i loro gruppi, e anch’io volevo dire la mia. Quindi ho iniziato a fare degli striptease-uomo, con dei cerchioni di macchina e rottami, una specie di striptease post-industriale, usando gli scarti delle macchine. Al secondo che ho fatto, i CCCP mi hanno scritturato. E da hobby, piano piano, è diventato un lavoro.”
“I CCCP si staccavano da tutti perché sembravano dei militari dell’Armata Rossa, della marina militare della Germania dell’Est, portavano i primi pantaloni arabi, nello stile Istanbul-punk. Era una contaminazione folle fra Islam ed Unione Sovietica, e io mi vestivo tipo militare tossico. Una volta c’è stata una sfilata di moda filosovietica al Tarantola di Reggio, c’erano i Černenko Party, dove si sfilava vestiti da militari, rezdore emiliane e musulmane col chador. A casa di Ferretti c’erano i poster di Lenin, dell’Armata Rossa, dei cavalli nella steppa. Vedevi questa ricerca di un’estetica fra Mishima e Majakovskij, anche a livello grafico, e di testi. Era una ricerca di altri confini. All’epoca c’era un muro oltre cui c’erano i comunisti, ed a Trieste finiva il mondo conosciuto. Di quello che stava al di là del muro, al di là delle gite delle cooperative rosse, non si sapeva niente.”
“Per capire cos’è il punk bisogna risalire alla parola originaria, che vuol dire scarto, rifiuto. In effetti è facile essere scartati nella società di oggi. Vuoi che vieni bocciato a scuola, vuoi che perdi il lavoro. Quindi ci sono milioni di giovani, metti fighetti che vivono in casa con i genitori, che in realtà sono punk e non lo sanno, perché sono già stati scartati dal sistema. Punk designa della gente scartata che cerca di sopravvivere. Il punk è quella misura che cerca di riportare l’essere umano al centro, per una sorta di umanesimo, di resistenza umana in una civiltà dominata dalle macchine, dall’ingiustizia sociale e dalla società industriale. Per mantenere le squadre di calcio chiudono le fabbriche, c’è la delocalizzazione e ci sono nuove forme di povertà. I centri sociali sono utili in questa società, io ho iniziato a sperimentare perché c’era il Tuwat, non avrei potuto farlo a teatro o una scuola di danza, a questo servono i centri sociali, a salvare i giovani dalla degenerazione. Il punk è una creatura contemporanea, un essere umano e intelligente, che vive sulla lama di un coltello, non ha fobie e cerca forme nuove di sopravvivenza.”
SANDRA, 1963, TUWAT
“Tutti i lavori li facemmo noi. Quando ce lo diedero il posto era nudo e crudo, noi usavamo queste due stanze, c’era un corridoio con una specie di atrio. Il problema era che eravamo una presenza assolutamente incomprensibile per il vicinato, avevamo di fronte un convento di clausura, ma con loro non abbiamo mai avuto problemi. Anzi. Una sera una suorina che era attesa al convento fece tardi per colpa del treno in ritardo, e il convento ad una certa ora chiudeva, anche perché erano suore di clausura. Questa suora rimase fuori e l’abbiamo ospitata noi. Gli altri vicini però non capivano, quindi, soprattutto all’inizio, erano vigili, carabinieri e polizia, un continuo. Le droghe hanno fatto parte dell’esperienza di quegli anni, io non voglio fare del moralismo ma se diventi un tossico alla fine poi non fai più un cazzo. Negli anni Ottanta non era un caso che ci fosse così tanta eroina in giro, serviva a rincoglionire una generazione.”
“Quando proponemmo i CCCP la pagina locale del Resto del Carlino ci definì “un covo di punk balordi”, e dopo i CCCP sono diventati famosi. Poi molti altri della scena modenese ed emiliana sono passati da noi, i The Pound Egg, scritto all’inglese ma con la pronuncia tipo Paundeg, la ponga, il topone, c’erano Sgombro, la Polly. Poi vennero i Thelema, gli Stigmathe, gli Incontrollabili Serpenti. Vennero anche molti gruppi punk stranieri come gli Amebix, i Rubella Ballet, venne un gruppo teatrale amici di Ferretti da Berlino, gli Underfleck. Poi vennero gruppi di elettronica.”
“Facemmo anche delle fanzine, c’è stato un momento in cui il punk italiano ha cercato di darsi un minimo di struttura, quindi uscirono i numeri di Punkaminazione, fatti da diversi centri sul territorio nazionale. Un numero l’abbiamo fatto noi.”
“In qualche modo ci si autogestiva, se uno riusciva meglio su basi comunicative si occupava di comunicazione. Io mi occupavo di tenere dei contatti in lingua, di tenere i contatti, di scrivere i pezzi per Punkaminazione. C’era chi era bravo a disegnare, e allora faceva i volantini, altri che stavano dietro a cose tecniche, all’ amplificazione, c’era chi metteva su la musica, come Claudio Franchini. I due ragazzi più grandi, che erano anarchici, erano più attivi per l’aspetto politico. La Katia si occupava delle mostre, e anche d’altro. Abbiamo fatto anche delle serate reggae o delle serate a tema, abbiamo prestato il posto per fare delle serate beat. Al di là di questi due ragazzi che ti dicevo eravamo tutti dei ventenni. Tuwat veniva dallo slang berlinese, vuol dire datti una mossa. Ci impegnava tutti tanto, noi avevamo quasi tutti un lavoro, E aprivamo al pubblico il venerdì e il sabato. C’era l’aspetto creativo che era gratificante e poi l’aspetto dello sbattimento, per cui tu la domenica dovevi pulire, dai cessi a tutto il resto, poi dovevi fare la spesa, buttare il vetro. L’impegno era tanto. Abbiamo chiuso nel 92, facendo una festa di chiusura, il Tuwat è durato nove anni e ha attraversato varie fasi, e la connotazione punk c’è stata dall’ 83 fino all’87-88.”
“Ci siamo divertiti un sacco. C’erano parecchie ragazze attive nel Tuwat, ma anche i ragazzi erano fondamentali. Anna, Dany, Rino, Sandro, Sandra, Mirca, Gianluca, Katia, Alberto, Susi, Gota, Sandro A., Fabrizia, Cry, Mara, Robby, Patty, Cipo, Luigi, Gigi e gli altri che ci hanno accompagnato. Non avremmo potuto fare nulla se non insieme, con la maggioranza di loro ci vediamo ancora, e questo per me è importante, perché vuol dire che la nostra esperienza non si è esaurita lì.”
ZANNA, 1985, NOWHITERAG, VIDEOTEPPISTI
“La cosa dei cortometraggi è nata tra me e Marconcio, che è l’altro chitarrista, quasi per divertimento, entrambi avevamo avuto a che fare con l’audiovisivo nelle nostre esperienze lavorative e scolastiche. Quindi abbiamo voluto provare a fare video con lo stesso approccio con cui facevamo musica: nessuno ci aveva insegnato niente, pur avendo fatto una scuola abbastanza attinente, tutto quello che abbiamo fatto non l’abbiamo imparato a scuola. Io e Marconcio ci siamo detti, non c’è bisogno di studiare manuali di tecnica cinematografica per fare un video, proviamo a farne uno con il nostro stile. Abbiamo fatto cortometraggi dal 2008. Il titolo del primo, Wolfhound, indica un cane che caccia i lupi, una razza di cane addomesticabile che viene usato soprattutto in Inghilterra per allontanare i lupi, è un horror sulla duplicità della figura della preda e del cacciatore. Il messaggio è che il cacciatore non è mai come te lo fanno vedere, e fino in fondo non si capisce chi è il buono e chi è il cattivo. Poi abbiamo fatto Semelle, vuol dire “unico, da solo” in francese, è un cortometraggio postpunk politicizzato e riguarda gli stessi messaggi che mettiamo nei nostri testi. È una critica alla società moderna basata sullo spreco e sull’inquinamento che usa mezzi di controllo e repressione per tenere in riga la gente. In Semelle viene rappresentata una società in cui si vive di notte, perché l’atmosfera si è dissolta e i raggi solari sono insopportabili per l’uomo. Alla fine si capisce che questo non è vero, che c’è stata una strumentalizzazione da parte del potente di turno per tenere la gente chiusa in casa e farli fare quello che vuole. C’è un personaggio che beve, è depresso, e una volta si addormenta prima del coprifuoco e si risveglia che è l’alba. Le guardie lo inseguono, si ritrova di giorno a combattere con queste guardie e trova dei gruppi di ribelli che vivono di giorno, isolati, senza che li succeda niente. Il terzo cortometraggio come Videoteppisti è un mediometraggio del 2010, Canis Canem Edit, più elaborato, ci abbiamo lavorato quasi sei mesi. E’ ambientato in un futuro dove realtà virtuale e reale si mescolano, e segue le vicende di un gruppo di disperati senza alcuna morale che si nutrono con flebo per sopravvivere mentre stanno giocando. Gli effetti speciali li abbiamo fatti noi in postproduzione al computer, abbiamo imparato da autodidatti con i tutorial. Basta un po’ di tempo e un po’ di passione.”
“Per me il punk è diventato uno stile di vita. Mia madre si incazza ancora perchè mi faccio la cresta, ma ho passato quindici anni a fare le stesse cose, quindi non credo proprio sia una moda, o una fase adolescenziale. Il punk nella pratica mi ha permesso di conoscere un sacco di gente, di aprire gli occhi nei confronti di tante cose, di essere contro-informato tramite gli ambienti anarchici. È stata una grossa opportunità. Mi ha permesso di girare tanto, quando facevo le superiori i miei compagni di classe andavano al Vecchio Fiume a Modena, e io facevo trecento chilometri per andare a suonare. A dieci anni di distanza, coi NoWhiteRag abbiamo girato tutta Europa, siamo andati anche in Indonesia. Il punk mi ha cambiato la vita, non so se me l’ha fatta vivere meglio o peggio ma son sicuro che mi ha riempito di esperienze positive. Mi sento parte di un network di situazioni bellissime, internazionali, ovunque vai sai che puoi contare sulla gente che fa parte di questa rete. È affine nei modi al movimento anarchico, ovunque vai trovi gente che vive in collettivi, c’è questo sentimento comune di condivisione, solidarietà, supporto. E’ una cosa forte.”
ENRICO, 1966, INFEZIONE, SCINTILLA
“Il movimento dell’autoproduzione nasce col punk, non esisteva prima, e non è un caso. Perché il punk si discosta dal fenomeno commerciale del punk rock, che io preferisco chiamare rock punk, che è quel fenomeno di costume dove tutto è in vendita. Il punk è un modo di pensare, è uno stato di coscienza, di presenza, di aggregazione. Il punk è un movimento di persone che vuole riappropriarsi della propria vita, e da qui viene il discorso dell’autoproduzione e dell’autogestione.”
“Il progetto Infezione nasce nel 1983. Gli Infezione erano un progetto più ampio rispetto al gruppo, principalmente di controinformazione, per cui facevamo volantini, comunicazione, andavamo alle iniziative. E nel frattempo, assieme alla mia ragazza che suonava il basso e a mio fratello, stavamo anche organizzando il discorso musicale. Nell’86 c’è il primo concerto, in occasione dell’apertura della Scintilla.”
“La Scintilla nasce come centro sociale, come circolo libertario, viene conquistata politicamente approcciandosi alle autorità locali, facendo comprendere che c’era la necessità di creare degli spazi in cui le persone potessero autogestire la loro vita, e come opposizione ad un progetto comunale. Il Progetto Giovani del comune di Modena era un progetto alienante, in cui il comune pretendeva di stabilire che cosa fosse il giovane, quali fossero le sue esigenze e i suoi bisogni, per poterglieli semplicemente vendere. E noi rispondemmo dicendo: “Non abbiamo bisogno di un’autorità che ci dica che cosa siamo e che cosa vogliamo, abbiamo bisogno di spazi per esprimere il nostro modo di essere.” Per evitare l’occupazione il comune concesse il posto con un affitto simbolico di centomila lire. Inizialmente erano le due stanze al primo piano. C’erano altre realtà nello stesso spazio, c’erano quelli che chiamavamo i Cristiani, un gruppo di volontariato cattolico, che se ne andarono per evidente incompatibilità, perchè le iniziative nostre non erano di loro gradimento. Ogni volta che un gruppo lasciava una parte dello stabile noi occupavamo, fino a conquistarlo tutto. Dopo la Scintilla è diventato il posto dei concerti, alla Scintilla sono passati gruppi come Oi Polloi, Varukers, Subhumans, Propagandhi, Pennywise.”
“Nel 1987 in piazza facemmo una bellissima performance teatrale sul Primo Maggio. Il primo Maggio è nato anarchico, in ricordo di alcuni anarchici che vennero uccisi durante uno sciopero a Chicago, nel 1886. Chiamammo una compagnia teatrale che si chiamava La Nave dei Folli, loro erano molto bravi e ci aggregammo anche noi. Io facevo lo sbirro. Avevamo costruito una forca con i tubi Innocenti, perché questi anarchici vennero impiccati, e su questo patibolo impiccammo una persona, ovviamente legata in vita e tutto. Tutto questo in piazza grande a Modena, senza autorizzazione. Abbiamo occupato la piazza per un giorno, alla mattina c’erano gli strilloni che davano la notizia, vestiti tipo il monello di Chaplin, come nell’Ottocento, che dicevano “Arrestati gli anarchici, saranno impiccati questo pomeriggio”, con la gente che non capiva. E il pomeriggio ci fu il processo, con gli imputati dentro la gabbia, e infine la condanna e l’impiccagione, con tanto di rullo di tamburi. S’era fermata tutta la gente in piazza a guardare. Quando tu le cose le fai e coinvolgi tanta gente, la polizia che fa?”
“Adesso per fare resistenza c’è ancora una sensibilità da parte delle persone, anche se il sistema ha ridotto le nostre capacità di autosufficienza ed autonomia e ci fa credere che non siamo capaci di fare le cose. Il sistema cerca di distruggere qualsiasi cosa sia viva, e tutti i rapporti fra le persone. All’epoca, quando andavi tipo a Roma e vedevi qualcuno vestito da punk, ti salutavi, anche se non ti conoscevi. E questo voleva dire qualcosa, non era solo un fatto di costume. Era un fatto di condivisione di senso della vita. Mi ricordo questo aspetto di condivisione, all’interno della Scintilla e del movimento, che era anche molto sensuale, ci si parlava, ci si confrontava. Uso la parola “sensuale” apposta, non la parola “sessuale” che riguarda solo la genitalità, mentre la sensualità investe la totalità della persona. Io credo che si debba fare una rivoluzione sensuale, anche perché quella sessuale non ha funzionato.”
GUIDO, 1981, STRANGE FEAR
“L’etichetta con cui abbiamo lavorato è la Indelirium Records, dell’Aquila, un’etichetta indie viva dal 2003. Ha fatto il decennale l’anno scorso. Sì, qua a Modena ci sono più che altro delle distro, che si sbattono tanto e aiutano un sacco le band. Se guardi la parte retrostante di molti dischi a sette pollici che ho a casa, vedi che ci sono un sacco di loghi di piccole distribuzioni, c’è chi ci ha messo venti euro, chi trenta e così via. O altrimenti, noi spesso quando dovevamo fare i tour facevamo la colletta fra di noi e i rimborsi li mettevamo in cassa, per avere i finanziamenti per i dischi, e chiedevamo l’appoggio delle distro solo per piazzare le copie. Oppure si dice alla distro, tu mi paghi il prezzo di produzione, e il guadagno è tuo. Chissenefrega. L’hardcore e il punk non ti arricchiscono. C’è il passaparola fra le band e si riesce a trovare degli studi che ti producono a qualità molto alte e prezzi molto bassi. A volte senti delle band indie che sai che hanno speso un puttanaio e il risultato fa sempre schifo. Con il nostro passaparola, puoi finire a registrare a Senigallia, come a Cesena, a Ravenna, a L’Aquila, un po’ dappertutto. È il Do it yourself.”
“Il tour europeo è stata una figata pazzesca. È sempre bene partire con la Svizzera, perché in Svizzera ti pagano bene, ti danno un mappone di soldi che praticamente ci paghi tutto il tour, per un’ora di musica e due gruppi ti danno cinquecento euro. Sì, questi sono i centri sociali svizzeri. Siamo stati in Svizzera, Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia. Che pazzi i serbi, quanto cazzo bevono. Peggio che i polacchi, i polacchi in confronto sono astemi… Una volta eravamo a casa di uno dopo un concerto e un suo amico era così sbronzo che è svenuto. Il proprietario di casa ha detto “Ok, voi siete miei ospiti, e questo è troppo sbronzo e ha rotto il cazzo, ora lo metto fuori” e l’ha sbattuto fuori di casa. Io sono uscito un attimo a fumarmi una paglia e l’ho spenta subito, perché fuori c’erano meno ventuno gradi, e c’era questo tipo comatoso lì sdraiato in veranda. Poi non so, non so se come dici tu si sia ripreso in modo fulmineo e il giorno dopo non abbia avuto neanche il postumo, non lo so proprio. Non l’ho più visto. Ehhehhehehehhe. Noi poi siamo partiti per Budapest. Quando siamo arrivati a Budapest c’han preso per zingari. Per colpa del nostro furgone. Un Volkswagen dell’84, con cui siamo rimasti a piedi una data sì e una data sì. Siamo arrivati a Budapest che avevamo la parte metallica del cambio che lo sputavamo dal tubo di scarico di dietro. Non andiamo a beccare un vecchietto di Budapest che aveva lavorato in Germania per quarantacinque anni alla Volkswagen? Questo apre il pannello del suo garage, guardiamo, aveva sette furgoni uguali al nostro. Con cento euro abbiamo cambiato il cambio, e siamo andati via con quattro marce. In Italia a cambiare un cambio ce ne volevano mille, se non di più. Il tipo voleva anche comprarcelo, il furgone. Siamo stati in Ungheria, Slovenia e Trento, nel 2012. Tour di fine mondo. Siamo andati con i My Own Voice, una band di Milano, sono amici e ci siamo conosciuti per la scena. In dieci anni di attività abbiamo fatto, non li ho mai contati veramente, ma ho stimato che, con quello dei Raw Power, abbiamo fatto duecentodiciassette concerti. E conosciamo delle band che in quattro anni ne hanno fatto duecentocinquanta. Tutto grazie alla scena. Abbiamo fatto tutti i paesi balcanici. A livello umano, di ospitalità, sono fantastici. Ho notato che ai lì ai concerti c’è il pienone dal lunedì al lunedì, in Italia invece la gente alza il culo solo al fine settimana, e solo se c’è un gruppo grosso. Quando siamo tornati indietro a Brescia il furgone ci ha lasciato di nuovo a piedi, c’è venuto a recuperare un ragazzo della scena, e poi il furgone l’ha venduto per duecento euro a un senegalese, che gli ha detto “Amigo, mi lasci per duecento euro io porto in Africa e questo BOMBA!” Kava ci ha fatto anche un volantino con il nostro furgone del tour. Era il nostro simbolo.”
“Il punk è libertà di espressione. Come GG Allin, che cagava sul palco e poi lanciava la merda e il pubblico si gasava. A volte veramente, basta una cagata!! Se sei handicappato con le mani come lo sono io e vuoi suonare uno strumento musicale, il primo strumento che inizi a suonare è il basso, perché è facile. E le prime canzoni con cui inizi sono quelle punk rock. I Ramones, perché sono facili. E poi se ti prende la musica, continui, e piano piano capisci qual è la tua musica. Io ho iniziato con il punk ’77, poi sono passato all’hardcore melodico e poi sono rimasto nell’hardcore incazzato. I testi sono più intelligenti, invece l’hardcore melodico è più della serie ho visto la tipa sulla spiaggia, che bello, e ora bevo la birra con gli amici. Non è che mi comunica più di tanto. Quando ti ascolti per la prima invece il vinile di State Oppression dei Raw Power, dici, cazzo è una bomba. I Raw Power hanno registrato la maggior parte dei dischi in America, non in Italia. Hanno aperto il concerto agli Agnostic Front al CBGB. Sai quante volte ci hanno suonato? Per noi, aver suonato assieme ai Raw Power, puoi anche cancellare tutti gli altri gruppi americani con cui abbiamo suonato. Gli AgnostiC Front, i Madball, i 7 Seconds, tutti i gruppi storici americani dei primi anni Ottanta sono nati dopo aver visto suonare i Raw Power al CBGB. Da Poviglio a New York con furore.”
RICKY, 1995, INFAMIA, ft. KAVA, 1986, INFAMIA, GGANG, SUBURBAN DISEASE
Ricky : “Anche negli eventi non strettamente punk si trovano degli ideali che sono punk, tipo quello che tu sei lì a partecipare senza stare a guardare. O anche l’idea di organizzare una festa senza fare compromessi con posti che ci devono mangiare sopra. L’autogestione, l’antirazzismo, l’idea di essere pronti a discutere realtà diverse. Quando riconosci questi ideali all’interno di una situazione, apprezzi questa situazione. Se io vado al locale dove spendo otto euro a bere, quindici per entrare, altri soldi per lasciare la giacca, vuol dire che non è accessibile a tutti. Invece ci sono determinate feste ed eventi in cui qualsiasi tipo di persona può partecipare e non è discriminata. Bisogna conoscere le persone ed ampliare le proprie idee, non si finisce mai di conoscere. Io il punk lo vedo come mentalità, il fatto di poter uscire, poter trovarsi in qualsiasi situazione con gente che ha voglia di divertirsi, e che non si mette su nessun piano rispetto agli altri, che non è impostata a seguire la catena delle classi sociali. Sei tu con un’altra persona e altre persone.”
Kava “La Ggang ad esempio è nata perché c’erano Detto e dell’altra gente che andavano a ballare, mentre io e il Merlo invece avevamo il gruppo. Prima quando eravamo cinni, tipo tredici quattordici anni, uscivamo tutti insieme. Poi dopo ci siamo divisi ed ognuno ha fatto la sua vita. Detto andava alle feste al Lido di Volano e agli after a Mirabilandia, di qua e di là, io e il Merlo andavamo in Scinti, Alby andava alle serate al Number One. Poi, passati cinque o sei anni di adolescenza, ci siamo ritrovati tutti di nuovo perché comunque abitiamo tutti nello stesso quartiere e siccome siamo persone che invece che scriversi su internet si beccano su una panchina sotto casa a parlare, è capitato che ci siamo scambiati delle idee. Abbiamo iniziato a portare Detto ai concerti, Detto ha portato noi alle feste, Alby ci ha fatto sentire la French, perché lui ascoltava quella roba lì, ma ascoltava anche punk, e noi così gli abbiamo passato i nostri cd.”
Ricky: “Il morire di questa scena si può legare anche al fatto di chiudersi in quello che c’è già, e negare tutto quello che c’è al di fuori, tenere gli occhi chiusi, vivere di quello che c’è stato. Bisogna aprire le frontiere, non rimanere legati ad eventi e modi passati. Bisogna ampliare la propria visione. Adattarsi al divenire delle persone e delle generazioni. Chiudendoti nei vari contesti, ti neghi una serie di possibilità. Bisogna evolvere la visione di quello che è punk, si può partire dal significato d’origine di essere fuori dalla società, e con questo si possono intendere molte altre cose, non solo i concerti punk. E’ una questione di come mi pongo verso gli altri”.
TRITONE, 1966, UPSIDE, FASSBINDER
“Una volta eri molto più riconoscibile, anzi, ci tenevi ad essere riconoscibile, era importante. Io ero punk, ero fiero di essere così, e volevo che la gente vedesse che ero così. Ed erano risse, tutti i giorni. Era un rischio, tutte le volte che uscivi di casa, battute del cazzo, gente che ti rompeva i coglioni, era un continuo. Ci siamo dovuti scontrare con un sacco di personaggi, a Largo Collodi, al Serpentone. Sì, facevi a schiaffi tutti i giorni. Ho dovuto salassarne una serie, prima di poter star tranquillo. Era una lotta continua. E non ti dico quante volte abbiamo dovuto fare a schiaffi per Settantasette.”
“Sette era un ragazzotto che era affascinato da Sid Vicious, il suo mito era Sid Vicious, e lui è diventato punk per Sid Vicious. Sette venne da noi che non era ancora punk, mentre noi sì. Mio fratello doveva fare un concerto con dei ragazzi che dovevano fare due pezzi dei Clash al Teatro Carani. Quindi noi andammo tutti a vederlo, e Settantasette arrivò, presentandosi: “Ragazzi io mi chiamo Marco, e voglio uscire con voi, voi mi piacete, impazzisco per i Sex Pistols.” Noi abbiamo anche pensato che fosse un po’ un rompicoglioni, ma gli abbiamo detto: “‘Scolta, se vuoi venire, noi siamo in Piazza delle Corriere”, e lui: “Ma posso venire?”, e noi: “Guarda, noi non mandiamo mai via nessuno.” E ha iniziato a venire lì in piazza. Arrivava le prime volte con le catene, le prime borchie, e dopo c’è stata un’escalation paurosa, e per questo abbiamo iniziato a chiamarlo Settantasette. Noi crescevamo, iniziavamo ad ascoltare anche altre cose, perché alla fine i Sex Pistols te li lasciavi un po’ alle spalle, lui invece è rimasto sempre lì.”
“La vera storia della citazione di Emilia Paranoica è questa. Eravamo a Fellegara alla sala prove dei CCCP, che all’epoca erano ancora Mitropa NK. Settantasette si era fatto un panino con dentro Plegine e Roipnol, perché ne prendeva talmente tante che, per riuscirle a buttare giù tutte insieme, si faceva i panini. Sette era un nichilista pauroso, si è distrutto molto velocemente, infatti è morto a trentadue anni. Fino al momento in cui è morto, non si era mai fatto delle pere, se se n’era fatta una era tanto. Sette prendeva solo psico, lo vedevi sempre con i tossici ma non ci andava molto d’accordo. Li conosceva tutti perché andava a farsi fare le ricette degli psicofarmaci e poi vendeva gli psicofarmaci ai tossici, oppure li vendeva direttamente le ricette, dai ricettari spesso rubati ai medici. Lui era un pusher di pastiglie. Quella volta a Fellegara che cosa successe, che ne prese tantissime e collassò. Ha rischiato di morire, era lì che era agonizzante. Noi l’abbiamo preso e l’abbiamo portato in ospedale a Reggio, e l’hanno salvato, ma è stato un miracolo. Da lì è nata Emilia Paranoica, perché eravamo a casa di Giovanni, che vide sta scena, e cadde nel panico più totale. Lui era una persona molto sensibile, e alla fine disse: “Ma com’è che uno si deve ridurre così, vabbè che siamo in paranoia, ma così non ha senso.”
“Il punk iniziale era di facciata, aveva a che fare con l’uscire dalla normalità, poi si è politicizzato, ed ha iniziato ad affrontare problematiche vere, aprire degli spazi di libertà, trovare spazi sociali. I centri sociali esistono perché è esistito il punk rock. Ogni regione ha avuto i suoi spazi, è stato un’esigenza del punk trovare spazi per suonare ed esprimerti, usare la tua arte, che sia teatro, musica, iniziative, mostre, video. Cercava di fare cultura, mentre la società non ti faceva esprimere. Quindi l’unico modo era prendersi degli spazi. Occuparli perché non c’era altro modo per averli. E poi usarli per esprimere la propria voglia di fare.”
Le versioni integrali di queste interviste sono state pubblicate su Unkown Pleasures, la fanza cartacea autoprodotta delle iniziative di Cayce’s Lab, di cui avete visto le scansioni nel testo. Per averne una copia scrivete a kainowska@gmail.com
A partire da quest’indagine e dalle fotografie, dai flyers e dai materiali gentilmente forniti da tutti gli intervistati è stata realizzata la mostra TU QUOQUE PUNK? ___ Dalle avanguardie alle ultime generazioni punk di Modena [e dintorni], inaugurazione 28 febbraio 2014 presso Cayce’s Lab a cura di L.S.T. e di Simone Cavalieri. Qui sotto trovate le foto dell’allestimento.