Il buio è spesso come una coltre. A causa del buio, l’elefante in tuba e bastone da passeggio legge tranquillamente il giornale, senza vedere la casa in fiamme dietro di lui. L’orso bianco si barda con poche piume e si arrampica su una scaletta. Il piccolo corvo lo guarda con occhio incredulo, mentre l’orso lo apostrofa dicendo: “Scommettiamo che ce la faccio?” Al buio si scoperchiano le bare, e dentro ci sono roditori con orecchie a punta e una ghianda fra le mani, come se Skrat dell’Era Glaciale si fosse convertito al vampirismo.
Non serve mettersi cappucci bianchi e dare fuoco ad una croce, per illuminare il buio. Il buio porta i pesci a credersi pescatori. Al buio i gufi aspettano che i topi escano dalle loro tane.
I pipistrelli si rifugiano a perdere i loro denti appuntiti sotto le sedie, e si proteggono con il loro mantello da un sole che non c’è.
Il Buio è un libro d’artista a tiratura di cento copie, firmato dal collettivo Ericailcane. Matite bianche su fondo nero, spettrali e cesellate. Lo stesso buio degli incubi di Goya, dell’illuminotecnica dei quadri del Seicento, della foresta proibita. Un buio psichico, quello della cecità per scelta, delle abbaglianti illusioni, delle finzioni identitarie mal riuscite.
Ericailcane mette in scena un mondo pieno di grazia e crudeltà, in cui gli esseri umani si nascondono dietro la maschera degli animali. La funzione della maschera è sempre la medesima: spostare dei significati scomodi in un altro orizzonte, per poterli rivelare compiutamente.
Come nelle favole moraleggianti di Esopo, ogni animale si occupa di rappresentare una diversa sfumatura antropologica. Gli insetti, per la loro natura insinuante e gli esoscheletri rigidi come l’abbigliamento dei nobili spagnoli del Cinquecento, diventano i baciapile. Come nell’installazione al Festival Ingràfica, alla chiesa di Sant’Andrea di Cuenca, con scarafaggi oranti e mantidi genuflesse.
Nella performance in Arte Fiera del 2007, due scimmie hanno dipinto una banana di Andy Warhol sulle pareti dello stand. Warhol, il re dei campionamenti. Campionamento = imitazione. Imitazione = scimmiottamento.
Uomo _ scimmia _ artista
Gli animali di Ericailcane sono viziosi come gli uomini dietro alle loro maschere. Spicca l’ossessione pecuniaria. Nell’installazione alla D406, due conigli in doppiopetto si arrampicano su per una scala, per riuscire ad afferrare un bigliettone verde attaccato al soffitto. In un’incisione, un topolino ancora più malizioso manomette una trappola per topi, sostituendo al pezzo di formaggio una banconota da un dollaro.
Altre volte tocca all’edonismo, soprattutto quello con esiti fallimentari. Nella serie Unhappy Birthday vengono ritratti i protagonisti di feste meste e compleanni tristi, conclusi a suon di traumi e ordalie. Acquolina, una teoria di animali con gli occhi sbarrati la schiuma alla bocca, rappresenta la brama che rende folli. Un desiderio divorante, come dimostra la gru con le sue marionette piangenti a forma di rana.
La pratica dei divoramenti, l’ebbrezza consumistica della bulimia viene ribadita nel ciclo Muffins, dove orsi ed elefanti con lo sguardo drogato e depresso si rimpinzano di dolcetti.
Lungo la ferrovia di Rovereto ci sono due enormi castori che divorano un uomo albero, esattamente come la TAV si è divorata il bosco.L’aggressività è il tratto che accomuna gli animali agli uomini. Qui Ericailcane mischia le carte, confonde i ruoli, mostrando erbivori in armi e carnivori sconfitti. La vittima e il carnefice, un grosso lupo ed un agnello nero che giocano a pinco panco.
Poi vittima e carnefice si dimenticano dei loro ruoli: due tassi si baciano con passione, e nel frattempo si crivellano la schiena di coltellate.
L’aggressività umana si sistematizza nel conflitto. Nella serie Guerra Civile, presentata alla Galleria Patricia Armocida, un asino dall’aria stupida ammucchia una montagna di bombe a mano, un gallo dalla grossa cresta rizza il suo fucile, un piccolo martin pescatore si mette a cavalcioni di una Beretta. Ognuno fa quel che può: l’ariete brandisce un ariete, il castoro un ramo a punta, il rinoceronte corazzato un detonatore. E ognuno reagisce a suo modo: la volpe fa il saluto romano all’uva, gli insetti più piccoli si armano di razzi anticarro. Molti finiscono in manette, molti altri schiacciati da grossi macigni. Il lupo impugna una marionetta a forma di agnello, ma, come spesso accade durante la guerriglia, David colpisce Golia negli occhi con una minuscola freccia. Durante la performance realizzata in occasione della mostra, tre figuranti hanno suonato un pezzo noise, indossando maschere di lupo, lepre e coniglio, pantaloni da carabiniere e mantelle nere.
Il video in stop motion presentato, Ammazzarne uno per educarne 100, ribadisce la sintassi della guerra. Spesso accolta in pompa magna (la scimmia che suona la grancassa), l’unica educazione che la guerra può offrire è quella alla morte e alla devastazione (la volpe che agonizza, la casa che brucia, tutti che muoiono).
A metà strada fra teatro della crudeltà e tavolo settorio, nel segno della massima violenza dell’essere umano nei confronti delle altre specie (e talvolta anche della propria), abbiamo la serie Demmotu. Animali scuoiati e sezionati, collegati a circuiti elettrici.
Le stesse tematiche, riproposte in modo meno cruento, più spirituale e astratto, ritornano nel ciclo delle spogliature corporee: cavalli, scimmie, conigli che perdono grandi lacerti epiteliali, mostrando gli scheletri, esibendo i componenti del corpo macchina.
A volte Ericailcane si accontenta di togliere solo il pelo, mostrando animali tristi e imbarazzati, mezzi nudi, con tutta probabilità affetti da qualche malattia, come indicano i loro collari elisabettiani.
Capita che gli animali/uomini di Ericailcane facciano anche cose belle, come leggere, in occasione del compleanno della Biblioteca Salaborsa, o andare a teatro, per Emilia Romagna Teatri. La serie degli spettatori evidenzia le varie sfumature della fruizione dell’arte: dalla meraviglia delle galline, che si lasciano dietro due ovetti e qualche piuma, alla supponenza dei cervi, che perdono le corna, al ronfamento trionfale degli orsi, che si dimenticano il cuscino e le pantofole, fino ad arrivare alla pesantezza solitaria dell’elefante, che sfonda la propria poltrona.
Ericailcane cambia supporti, tecniche, formati, con la stessa nonchalance di un camaleonte. Può fare matite da miniaturista, realizzando texture di segni fini come un ordito di seta, o dipingere pareti alte quindici metri. E le sue creature cambiano la loro funzione a seconda della taglia e del contesto. Il catalogo degli stereotipi umani lavora in modo ottimale nei piccoli formati, mentre en plein air le funzioni degli animali diventano due. Totemica, di rappresentanza del genius loci, e politica, di espressione delle istanze della città. A Capodanno 2009 in Piazza Maggiore a Bologna si è dato fuoco al Vecchione, un grosso lupo in abito talare, che rappresentava le scorie del passato da eliminare per il nuovo inizio.
A Pisa, sede di Camp Darby, un gruppo di topini fugge dai bombardamenti ai lati di via Quarantola.
Lungo la muraglia di otto metri che divide Israele dai Territori Occupati della Palestina, si vede una riproduzione del muro stesso: i suoi pannelli cadono a terra sotto la spinta di una formica, mentre le ombre cinesi di uomini e donne vanno su per una scala che li porta dall’altra parte.
Animali fuori taglia, grossi come palazzi, si sono mostrati nelle città per mettere ordine. Perché adottare la misura delle targhe alterne, quando ci sono scoiattoli con addosso eleganti polacchine nere che possono sgranocchiare le automobili di troppo?
Questi animali giganteschi spesso trovano posto anche in interno, sui muri delle gallerie. Provenendo dalla Street Art, Ericailcane è oltre la paura della cancellazione del proprio lavoro. Nelle installazioni, il collettivo customizza ogni galleria in cui espone, trasformando lo spazio in un fondale psichico per mettere in scena le proprie opere. Ecco quindi il pipistrello a fauci spalancate, i corvi, e i cervi neri per l’assortimento gotico della mostra Epistassi.
Oppure il maldestro sorcio con la torta a grattacieli e l’orso con la palla da rugby per il debutto a Chicago. Ericailcane è come Wu Ming, nessun nome. Il nessuno dalla faccia cancellata dal fotoritocco, nelle panoramiche dei murales. I tanti del collettivo. La persona in particolare che viene additata durante le mostre. Ha un nome da donna, ma è un ragazzo.
Ericailcane, donna e animale, tutto ciò che è altro. Perché l’alterità è la sede dei segreti, di quello che non si deve sapere. Ericailcane ci dimostra che la cultura spesso si ammanta di falsi ideologici per storpiare la natura, che i vivi e i morti interagiscono sullo stesso piano di realtà, e che gli animali sono la figura di ciò che vorremmo dimenticare.
Pubblicato su Lobodilattice il 15 marzo 2010