Ma che bella decade. Come possiamo definire l’estetica di questi nostri anni Dieci appena trascorsi?
“Boh. Eclettica. E un tot necrofila.”
“Neo-pagana?”
“Sì, molto postmoderna. Con ondate di revivalismo dell’Ottocento e praticamente di ogni decennio del Novecento.”
“Tendente all’estremo. Alla diffusione del mostruoso. Alla sua estetizzazione, normalizzazione e massificazione.”
“Sì, sì, puoi essere obeso, maculato, tatuato, trans, frocio, mutilato, nano o deforme. Tutto quello che ti pare, basta che si veda che c’hai i soldi.”
Sia come sia, ci siamo ritrovati ad amare molto i segni distintivi dello stile degli anni Dieci: il total black, il trucco Forties con le sopracciglia ad ala di gabbiano e il rossetto pesante, il revival Crazy Colors anni Novanta, il septum in stile Bollywood, i tatuaggi da suicidio.
Ora però gli anni Dieci volgono al termine e noi ci siamo improvvisamente accorti che tutte queste cose non le amiamo più. La moda è frivola, iconoclasta per natura, e anche noi lo siamo.
Poi noi abbiamo pure questo vizio di guardare. Le starlette rap, indie, minimal wave, le icone di Instagram senza arte né parte, le socialite alternative che fotografano i propri rictus facciali in locali immondi con i loro capelli rosa confetto. Le abbiamo guardate talmente tanto che non riusciamo proprio più a ignorare il loro vero volto, di fedeli e spietate seguaci del branco. Poveri noi, le chiome grigie da 400 euro e gli allargamenti tribali non riescono più a nascondercelo.
E le neo goth, poi, le cultrici della witch fashion. Con i loro gioielli d’argento e pietre di luna a forma di feticci Blair Witch Project, i loro cappelli a tesa larga a là Alejadro Jodorowski, le loro zeppe a carro armato Jeffrey Campbell. Le stiamo vedendo molto bene, mentre prendono lentamente la deriva di tutto ciò che è dark, e virano senza rendersene conto verso il cattivo gusto da pupazzetto di Nightmare Before Christmas.
Che dire infine delle ragazze tatuate. Ci piacevano molto, ci facevano proprio sesso. Non riusciamo proprio a capacitarci di quanto ci piacessero. Tanto che ci abbiamo dedicato un progetto fotografico, anni fa. Forse – dai – un pochino ci spiaciucchiano ancora. Sarà che, come diceva Moritz Heimann, alla fine dei conti il gusto è raro quanto il genio. E noi, pur essendo – come tutti – sprovvisti sia dell’uno che dell’altro, non ne possiamo davvero più di vedere questa marea di corpi sfigurati da tatuaggi orrendi. Non riusciamo più a guardare quest’esplosione di inchiostro e sangue fetido, cumulativa come ogni aspetto del consumismo. I nostri occhi sanguinano davanti a tutti questi segni indelebili senza senso, che non significano nulla per i loro portatori se non l’inclusione illusoria a un modello estetico di massa pseudo-trasgressivo. Sì, talmente trasgressivo da spopolare perfino negli studi di Maria De Filippi.
Andava il giapponese, e tutte si sono trasformate in geishe guerriere della yakuza. Andava il neo-tradizionale, e c’è stata un’epidemia dermatologica di matrioske colorate, pin-up, rondinelle e navi a vele spiegate. Poi c’è stato il boom delle geometrie sacre e dei neo-tribali di ispirazione indiana, e tutte si sono fatte ‘ste cose che a conti fatti ricordano un po’ le fantasie dei foulard di mia nonna. La moda dei tatuaggi è un triste paradosso, infatti quelli fatti per moda invecchiano miseramente nel giro poche stagioni. Così, in preda al raccapriccio un-cool, ci si ricopre infine di colate nere, non volendo capire che non c’è più modo di sottrarsi alla volgarità.
Nonostante le nostre invettive, noi continuiamo ad amare la pratica. Ci piacciono i suoi risvolti sciamanici, l’idea del marchio a vita, quella della memoria. Ci piace soprattutto il pericolo, di cui nessuno fa mai parola. Un tatuaggio ha sempre dei significati ombra, che vanno a condizionare chi se lo fa. È e deve essere pesante da portare. Il suo marchio è imprevedibile: a volte apre il suo portatore al suo significato più manifesto, altre volte chiude per sempre, marcando la fine di un ciclo.
A conclusione di questa filippica, prima che il nostro disgusto ricada sopra noi stessi e ci induca a pratiche di automutilazione in stile Russia Antica, vogliamo scrivere un articolo che abbiamo in mente da circa sei anni, e che in un modo o nell’altro non abbiamo mai scritto. In questo pezzo scopriremo chi erano le prime donne tatuate dei freakshow e dei circhi: non certo delle icone fashion, ma delle disperate che si tatuavano per motivi di urgenza pratica, come riuscire a sopravvivere, lavorare come artiste, tagliare in via definitiva con la società e abbracciare il mostro con autentica passione. Le prime tattooed ladies si tatuavano con tutti i sacri crismi dei misteri. Con l’esclusione degli spettatori paganti e dei colleghi, nessuno lo sapeva, perché durante il giorno i tatuaggi di queste donne scomparivano sotto i loro abiti vittoriani. È una legge quasi impossibile da capire nei nostri tempi, in cui ogni cosa è tenuta a essere oscena. Ma il feticcio, per poter mantenere i suoi poteri magici e trasformativi, deve rimanere nascosto.
IL TATUAGGIO NEL SECOLO DECIMONONO
Sappiamo che ci sono stati splendidi precedenti nel mondo precivile [li abbiamo indagati qui], nelle civiltà classiche e in quelle criptopagane nell’era del cristianesimo. In questo articolo ci concentreremo sull’età contemporanea.
In un saggio del 1876, Cesare Lombroso collega l’inclinazione a farsi tatuare con quella a delinquere. All’epoca, molto più di oggi, il tatuaggio era visto come qualcosa di sporco, e le donne che esibivano i propri total body erano considerate delle pervertite ipersessuate a cui piaceva farsi guardare. [È evidente quindi che certi cervelli non si sono mai mossi dall’Ottocento.] A parte le eccezioni delle classi egemoni, come la madre di Winston Churchill che aveva un ouroboros intorno al polso, la prima generazione di donne occidentali tatuate aveva tatuaggi integrali, compresi fra l’incisura giugulare, i polsi e le caviglie. Erano tutti fatti dolorosamente a mano, un punto alla volta, quindi lunghissimi da fare, e molto lunghi e difficili a guarire. I colori erano limitati ad un blu-nero, detto India Blue, e a un rosso tendente all’arancio, il China Vermilion. I soggetti venivano dalla tradizione marinaia: bandiere (appartenenza, convinzione, lignaggio), navi (il viaggio periglioso), stelle (la natura remota, potente, luminosa e indefinibile del desiderio), cupidi (la sua controparte dolcemente mondana e carnale) ancore (ciò che ci dà stabilità e che nello stesso tempo ci imprigiona), cuori (sessualità), aquile (potestà).
Il tatuaggio fatto con questi crismi e queste motivazioni aveva dei valori mitici e trasformativi. Cambiava sia la persona che la sua storia. Marcava l’importanza della scelta, da cui non si torna indietro, l’appropriazione dolorosa del proprio corpo, l’autodeterminazione.
Gli uomini tatuati si esibivano nei circhi già dagli anni Quaranta, mentre per le donne l’anno di svolta è stato il 1882. La prima generazione di donne tatuate è composta da due pioniere solitarie apripista, Irene Woodward e Nora Hildebrandt, e da tre famose coppie che iniziano a lavorare subito dopo il debutto delle due avanguardiste. Non si sa bene chi sia stata la primissima artista tatuata in Occidente. Noi cominceremo con chi ha avuto l’onore dei primi articoli sulla stampa.
IRENE WOODWARD _ La Santa Diva
“Purezza trafitta. Natura ed Arte perfezionate. Una bellezza.”, così il Brooklyn Daily Eagle descrive Irene Woodward al suo debutto a New York nel marzo del 1882, presso il dime theatre di George Bunnell. Il costume che indossa, con le caviglie e le ginocchia scoperte, è indicibilmente scandaloso per l’epoca. Inoltre Irene è ben fatta, con occhi a mandorla e capelli castani, e ha circa diciannove anni. Il suo collo è cinto da una indelebile corona di fiori (amore, giovinezza, deflorazione), e le fonti riportano che fra i tatuaggi che sfoggia ci sono la luna (mutamento), angeli e stelle (desiderio, aspirazione, guida), e le scritte “Never Despair”, “Nothing Without Labor” e “I Live And Die For Those I Love”.
Il booklet promozionale della Woodward racconta che la ragazza è cresciuta nel Far West assieme al fratello e al padre. Proprio il padre è indicato come l’autore del suo total body, fatto con “grande delizia” di Irene per passare il tempo nella baracca in cui abitavano insieme, ma soprattutto allo scopo di dissuadere i nativi americani dal rapirla. Il booklet asserisce che il padre, dopo aver tatuato anche il fratello, è stato ucciso dagli indiani, i quali però, spaventati dai tatuaggi, hanno risparmiato i figli. La verità è chiaramente molto più prosaica: la Woodward nasce a Philadelphia, suo padre fa il calzolaio, i suoi numerosi fratelli vengono falciati dalla mortalità infantile, e infine muore anche sua madre. Dopo quest’ecatombe, Irene vede l’esibizione dell’uomo tatuato Captain Constentenus, e capisce che la sua unica via d’uscita è scappare col circo.
La sua carriera continua al Globe Dime Museum sulla Bowery. Irene Woodward sposa il suo agente, che adotta il suo famoso cognome, il quale viene trasmesso anche ai loro figli. Antesignana del guerrilla marketing, la Woodward si procura un falso fratello tatuato per supportare la propria mitologia, e insieme diventano l’attrazione American Tattooed Family. Dal 1886 al 1890 fanno una tourneé negli Stati Uniti, per poi andare in Europa. Cominciano a Londra con P.T. Barnum, dove Irene diventa ufficialmente la “Barnumic Tattooed Lady”. Le mete successive sono la Francia, la Germania e la Russia. Irene Woodward è conosciuta in Europa come la Belle Irene, e diventa talmente famosa da sfilare davanti a famiglie reali e alle Società Antropologiche di Monaco e di Berlino.
A fine carriera si ritira nella sua città di origine, da cui all’inizio della professione voleva far dimenticare di provenire. Muore a Philadelphia a 59 anni, per un cancro all’utero, nel 1915.
L’aspetto della carriera di questa donna che ci ha colpito di più è che le sono stati dedicati circa trentotto modelli in cera. Ci ha fatto pensare alla Firenze del Rinascimento, in cui i più potenti, ricchi e temuti banchieri facevano circolare la loro immagine non soltanto tramite gli affreschi, ma anche tramite le statue dei ceroplasti. La basilica della Santissima Annunziata ne era piena, tanto che alcune erano appese al soffitto. Spesso anche le statue devozionali dei santi e delle madonne, soprattutto quelle da processione, erano realizzate in cera, proprio come quelle della Woodward. A giudicare dalla sua fama, dalla diffusione della sua immagine, dalla vita itinerante, dal suo benessere, possiamo affermare che Irene è stata una delle prime dive contemporanee, una vera e propria madonna portata in processione transoceanica.
La donna tatuata da contemplare è a tutti gli effetti una santa con le stigmate. Prima di essere sostituita in epoca contemporanea dal tahitiano tatau, la parola con cui i greci indicavano i disegni permanenti sul corpo dei barbari sciti e traci era infatti stigmatha.
È molto difficile capire i soggetti dei tatuaggi dai dagherrotipi ottocenteschi. Però, osservando una foto stampata in grande formato sul saggio The Tattooed Lady di Amelia Klem Osterud, abbiamo notato una cosa che ci ha fatto venire i brividi. Sulla coscia sinistra di Irene Woodward c’è un rombo iscritto nell’intersezione fra due grandi V, che sembra in tutto e per tutto il pittogramma sacro di una divinità vudù del Dahomey. La Grande Madre Ayizan, preposta a tutti i rituali di iniziazione, compare spesso con l’aspetto di una commerciante con le tasche piene di denaro e viene invocata nei canti come la patrona di un lungo viaggio, che porta alla liberazione. Ed è proprio questo che è successo alla portatrice del simbolo, e a tutte quelle che sono venute dopo di lei.
NORA HILDEBRANDT _ La Femme Fatale
Fisico tarchiato, lineamenti feroci da contadina e occhi gelidi, Nora Hildebrandt nasce a Londra intorno al 1857. Emigrata in America, fa la serva per molti anni. Poi il destino le fa incontrare un misterioso uomo di origini tedesche, probabilmente ex marinaio della marina, che fa vita da nomade lungo la East Cost e si mantiene fin dal 1846 grazie ad una strana arte.
Martin Hildebrandt, uno dei primi tatuatori documentati nella storia d’America, si stanzia infine negli anni Settanta dell’Ottocento in una taverna al 36 di Oak Street, nel pieno della baraccopoli che è all’epoca l’isola di Manhattan.
Nel corso della sua carriera tatua migliaia di marinai e soldati. Nell’immagine sottostante potete vedere Jacob Hildebrandt, il fratello di Martin, quasi sicuramente tatuato da lui.
Dopo una serie di interviste di Martin Hildebrandt uscite sul New York Times, Nora inizia a frequentarlo, a quanto pare se lo sposa e si fa tatuare integralmente, per intraprendere la professione nei dime theatre e nei circhi. Il suo debutto come donna tatuata avviene nel 1884, nella medesima città di Irene Woodward. I suoi dagherrotipi promozionali la ritraggono vestita di fine biancheria di merletto e stivaletti stringati, mentre assume pose leggiadre che riflettono l’immagine idealizzata che aveva del suo corpo massiccio.
A scopo pubblicitario, anche Nora Hildebrandt tesse una propria personale mitologia tragica, in cui suo padre viene forzato a tatuarla da Toro Seduto in persona. Martin la segue nei suoi viaggi, presentato di volta in volta come marito o come genitore. Il carattere volitivo di Nora le fa fare una sensazionale carriera in Messico, dove incontra sia il presidente che Porfirio Diaz. I fan messicani la riempiono di regali, fra cui orecchini di diamanti, un pony e un cucciolo di tigre. Tornata in patria, la Hildebrandt lavora in un dime theatre sulla Bowery, vantandosi sempre di essere la donna tatuata migliore di tutte, la meglio vestita, la più bella, la più tosta, l’unica ricoperta da capo a piedi di diamanti e pietre preziose. Questo tratto ricorda un po’ le spacconerie delle rapper di oggi, da Lil’ Kim, a Nicki Minaj e Brooke Candy.
Come loro, anche Nora fa un trionfale tour europeo. E c’è davvero poco da scherzare con lei. Oltre che suo mentore, amante e primo marito, Martin Hildebrandt diventa anche sua vittima sacrificale, quando Nora firma per farlo internare in manicomio. Si dice che Martin sia sempre stato instabile, ma si vocifera anche che la donna abbia un amante più giovane, con cui attua il piano di eliminazione. Cinque anni più tardi, l’ex marito muore al New York City Asylum, mentre Nora mantiene il suo cognome e si risposa con un barbiere tatuato, che diventa Mr Hildebrandt ed inizia ad esibirsi con lei. La carriera della femme fatale si chiude come da copione, con una morte prematura a 36 anni.
_Fine prima parte_
Nel prossimo articolo ci occuperemo sempre della prima generazione di performer tatuate, soprattutto quelle che facevano parte di famose coppie: Annie Howard, Emma de Burgh e Maud Stevens Wagner. Scopriremo come funzionava la potente magia del circo, quali erano le stragegie di marketing di queste prime donne tatuate, e quanto venivano retribuite.
Stay tuned!_
Bibliografia
Amelia Klem Osterud, The Tattooed Lady, A History, Taylor Trade Publishing, 2009.
Sulle performer tatuate
http://the-history-girls.blogspot.it/2016/11/victorian-tattooed-ladies-circus-freaks.html
https://en.wikipedia.org/wiki/Tattooed_Lady
https://www.nytimes.com/2015/07/12/nyregion/tattooing-embraced-long-ago-by-new-yorkers.html?_r=0
Sull’aspetto di New York nell’Ottocento
https://io9.gizmodo.com/slum-life-in-new-york-city-during-the-nineteenth-centu-1584688488