“Io sono Lucifero, colui che porta la torcia. Il regalo eccelso che faccio all’umanità è l’assoluta mancanza di morale. (…) Ho trasgredito tutte le leggi: brucio le Costituzioni e i libri sacri. Nessuna religione può contenermi. Distruggo qualsiasi teoria, faccio esplodere tutti i dogmi. Nel fondo del fondo del fondo, nessuno abita più in fondo di me. (…) Sono colui che dà vita alle oscure grotte, colui che conosce il centro intorno al quale ruotano tutte le densità. Sono la viscosità di tutto ciò che tenta invano di essere formale. (…) Il fetore che denuncia l’ipocrisia dei profumi. La carogna madre di ogni fiore. Il corruttore degli spiriti vanitosi che si rivoltano nella perfezione. (…) Io, rinchiuso nei sotterranei del mondo, sono colui che fa tremare la stupida cattedrale della fede. (…) Colui che presenta al mondo, senza pudore, le piaghe aperte come vagine affamate. Io violento l’uovo imputridito della santità. Affondo l’erezione del mio pensiero nel sogno morboso degli ierofanti, per sputare addosso ai loro simulacri lo sperma gelido del mio disprezzo. Con me non c’è pace. Nessun focolare sicuro. Né vangeli stucchevoli. Né madonnine di zucchero per le umide lingue di suore apatiche. Defeco regalmente sopra i passeri lebbrosi della morale. Non mi vieto di immaginare un profeta carponi montato da un asino in calore. Sono il cantore estasiato dell’incesto, sono il campione di tutte le depravazioni e squarcio con diletto, con l’unghia del mignolo, le viscere di un innocente per intingervi il mio pane. Eppure, dal profondo della caverna umana, accendo la torcia che sa riorganizzare le tenebre. Su per una scala di ossidiana giungo ai piedi del Creatore per offrirgli il potere della trasformazione.”
Alejandro Jodorowsky, Marianne Costa
Dall’alto della nostra prospettiva atea, come tutti i pazzi, abbiamo sempre amato speculare sulla mitologia religiosa. L’opposizione di memoria liceale fra religione e mito da una parte e filosofia dall’altra noi non la condividiamo. Il racconto religioso è racconto filosofico. I suoi simboli, archetipi e mitologemi rivelano in maniera spietata la struttura della civiltà in oggetto, meglio di qualsiasi trattato di psicologia sociale. Nei racconti religiosi molte cose che dovrebbero rimanere nascoste vengono svelate: leggi subliminali, dinamiche di potere e sottomissione, rituali violenti, coazioni a ripetere, orrori costitutivi e aporie. Fra le righe dei libri sacri e in mezzo alle ombre delle tradizioni antiche ci sono i codici che tirano i fili delle nostre esistenze, modellando i nostri desideri, le nostre paure, le nostre prostrazioni e i nostri traumi. Per farla finita col giudizio di dio, cercheremo quindi di ricostruire la storia del suo doppio per eccellenza, per capire la sua natura e la sua origine profonda.
Lo faremo per iniziare a dipanare il mistero della nostra maledizione, che ci riporta sempre e comunque a fare quello che stiamo facendo in questo momento. La maledizione della scrittura è radicalmente diabolica. Qualsiasi testo venga scritto, questo testo è sempre il proprio patto col diavolo. Un patto che si fonda su pratiche demoniache: isolamento; necessità di conoscere; condanna a rimanere a guardare per poter vedere davvero; duplicazione della realtà – che è sempre menzogna -; culto del principale e più illusorio attributo diabolico, la bellezza -se non altro formale, della scrittura stessa-; rapporto privilegiato con i morti e gli spettri; comprensione della natura terribile dell’amore, ben nota a Lucifero.
Perché, come dicono i francesi, il poeta si occupa del male. E scrive per i morti.
In questo pezzo ci occuperemo quindi della storia e delle valenze simboliche del diavolo, o del demonio, come preferiamo chiamarlo noi. Siamo costretti a lasciar fuori dalla presente trattazione alcuni universi demonologici meravigliosi, come quelli arabi, slavi, indiani o tibetani, e a concentrarci sulle eredità che ci riguardano più da vicino.
VALENZE SIMBOLICHE DEL DEMONIO:
NATURA, SOCIETA’ E MENTE
Jeffrey B. Russell sostiene che “il male ha raggiunto ogni luogo, tutti i tempi, e la vita di ciascun individuo”. Se qualcuno dovesse prenderci in contropiede e chiederci improvvisamente che cos’è il male, risponderemmo in modo impulsivo. Il male è la morte, la perdita della propria mente, la malattia, la penuria, il tradimento, l’odio che fa contorcere, la reificazione di se stessi o degli altri. Questo quindi, grosso modo, dovrebbe essere ciò che il diavolo rappresenta.
Egli pervade tutto il cosmo ed è antico quanto l’uomo. La sua figura delinea ciò che non può essere accettato, la divisione, la rottura dell’unità, la fine dell’idillio. Il demonio fa la sua comparsa con il peccato originale della nascita, in cui l’individuo perde la beatitudine dell’essere una cosa sola con il suo creatore, e si rende conto invece di essere separato, sia da chi lo crea, che da ciò che lo circonda, natura e società. Spesso anche da se stesso.
L’ostilità della natura può mostrarsi in vari modi: devastazione dei raccolti, moria degli animali, patologie fisiche o mentali, furia degli elementi, desertificazione delle risorse di sussistenza, minaccia dei predatori.
Emblema del conflitto con la società è la guerra. Questo a livello collettivo, perché a livello individuale c’è il martirio. Le rappresentazioni dei tormenti e delle efferatezze infernali, con i dannati bolliti vivi, dilaniati da bestie feroci, fatti a pezzi e divorati, non sono altro che lo specchio fedele di ciò che l’uomo è capace di fare all’uomo in tempi di guerra. E anche in tempi di pace, come punizione per aver contravvenuto a ciò che viene chiamato legge.
Ma il demonio si è evoluto nel corso del tempo, penetrando dall’esterno all’interno dell’uomo. Se prima si mostra nel mondo, si rivela infine al pieno della sua potenza, dentro di noi. Serve a dare un volto al male di vivere. Rappresenta le nostre ferite psichiche e le nostre angosce. Alfonso M. Di Nola sostiene che il demoniaco è la “dialettica fra pienezza di essere e fallimento, fra Eros e Thanatos, come momenti del godimento dell’esistere e del negare l’esistenza”. La Bibbia si trova d’accordo con Freud e la sua teoria del bambino come perverso polimorfo, nel passo che afferma: “I disegni del cuore dell’uomo sono malvagi fin dalla fanciullezza.” Freud si occupa di demonologia applicata alla psicanalisi quando parla del pittore Christoph Haizmann, che nel XVII secolo aveva stretto un patto col demonio in un periodo di grave malinconia che gli impediva di lavorare. Anche la psicosi e la schizofrenia si servono di fondali infernali e comparse diaboliche, per tessere le narrazioni sconnesse e numinose dei deliri. Quando arriva l’attacco di psicosi, prima ci si toglie le scarpe e ci si spoglia, poi si inizia a guardare i demoni. Il diavolo appare di tanto in tanto ai piedi del letto, durante gli episodi di apnea notturna. A volte è coperto da una corazza, e quando ti tocca il tuo corpo si ricopre di vesciche simili a morsicature d’insetto. Può essere visto nel bosco, ricoperto di pelliccia rossa, mentre guarda l’orizzonte seduto su un alberello decisamente troppo esile per sostenere il suo peso. Può affacciarsi al balcone della casa di fronte, fissando il sole, poco tempo prima che il proprietario della casa si suicidi. Il diavolo fa così. Si mostra, si mette in posa, e finge sempre che tu non lo veda. Ma lui sa che lo stai guardando.
E ora un po’ di storia.
LE CULTURE CLASSICHE: GRECI, ETRUSCHI ED
ANTICHI ROMANI
L’idea primigenia del diavolo, del male radicale, ha sicuramente origine nel confronto con la morte, con la sua rapinosità irrevocabile e con le orribili trasformazioni fisiche che vanno a sfigurare il cadavere. Per tutte le popolazioni mediterranee i morti sono pericolosi, tendono a tornare per mettere a repentaglio l’esistenza dei vivi. Per questo motivo il loro ritorno veniva regolamentato con una serie di rituali, come il mundus patet, un rito di apertura dell’inferno praticato tre volte all’anno dagli Antichi Romani, fatto per consentire ai morti di uscire dai luoghi sotterranei e di vagare in mezzo ai vivi. Ma solo, appunto, per un periodo limitato. Questo rito era di derivazione etrusca.
Gli etruschi avevano una demonologia molto ricca e svariate divinità dell’oltretomba, un mondo spesso dominato dal terrore. Una delle prime epifanie della morte è Charun. Compare al momento del trapasso armato di un poderoso martello, con il quale colpisce e schianta chi è destinato a morire. Le sue caratteristiche fisiche rimandano alla putrefazione e al disfacimento della carne: ha un naso adunco come quello dei rapaci che si cibano di cadaveri, i suoi denti ringhiano come quelli dei predatori, nelle sculture policrome la sua pelle è blu, come il livor mortis. Altri attributi possono essere le ali (l’anima che esce dal corpo e se ne stacca) i serpenti sulla testa, la fiaccola come viatico per l’aldilà, la clava o l’uncino per percuotere e separare violentemente.
Altre divinità demoniache che si mostrano al morto sono Tuchulca, mostro ibrido con orecchie d’asino, serpi fra i capelli e carni incartapecorite, la dea Vanth, dall’aspetto severo e grandi ali, come Psiche, gli angeli cristiani o i geni di marmo che ornano le tombe papali, e Cerbero, il cane policefalo posto da Dante a guardia del III Cerchio, che “graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.”
Anche l’aldilà greco è una grande fonte d’ispirazione per la geografia dantesca, che andrà a cristallizzare per immagini l’inferno occidentale. E quindi il confine infernale è costituito dalle acque limacciose e brune dell’Acheronte, il Cocito è il fiume dei gemiti, il Pyro-Flegetonte è un fiume di fuoco, Erebo sono le tenebre eterne, il Tartaro è la regione più profonda dell’Inferno, dove giacciono gli Antichi Dei, sconfitti da quelli nuovi.
Per i Greci il regno dell’oltretomba è un luogo amaro, deserto, di tristezza e dimenticanza. Vi regna Ade, l’oscuro, l’invisibile, un dio che ama lo stupro e che non deve essere mai guardato in faccia. Questo perchè nessuno conosce la forma della propria morte, nè il suo aspetto, nè quello che ci sarà dopo.
La sua sposa è Persefone, colei che tutto nutre e tutto uccide.
Altra divinità ctonia è Ecate, signora dell’eloquenza, della ricchezza e delle arti necromantiche.
A lei si accompagnano svariate creature mostruose, preposte alla putrefazione, alle modalità violente della morte e agli effetti della morte sulla vita. Empusa è un demone femminile che si nutre di carne umana e provoca la moria degli infanti succhiando loro il sangue. Eurinome divora le carni dei cadaveri finchè non rimangono solo le ossa. Le Kere sono demoni provenienti dall’Abisso che si manifestano sui campi di battaglia, per ghermire i corpi dei morenti e nutrirsi del loro sangue. Le Erinni perseguitano chi uccide, comparendo sotto forma di creature alate con teste irte di serpenti, che hanno lo scopo di far impazzire chi le ha evocate.
Un dio di matrice diabolica è Ares, che gode della violenza, del sangue versato e di tutte le devastazioni della guerra, senza nessun tipo di temperanza o senso della giustizia. A lui si accompagnano Fobos, Paura, Deimos, Terrore, ed Eris, Discordia.
Un’altra divinità fortemente demoniaca è Dioniso, giovane femmineo con lunghi, profumati capelli biondi e guance arrossate dal vino, che arriva improvvisamente, spezza tutte le leggi della città, e può indurre sia le donne che gli uomini a fare a pezzi i propri figli. È il signore del doppio contraddittorio, dei fremiti e dei fragori, delle orge nei boschi, degli stati alterati di coscienza. Il suo atto rituale supremo è fare a pezzi una vittima viva con la sola forza delle proprie mani, cibarsi delle sue carni ancora calde e del suo sangue. La vittima rappresenta il dio, come nell’Eucarestia. L’orgia dionisiaca diventerà il modello per i sabba delle streghe e degli eretici. Questo dio straniero, nomade e misterioso, è spesso associato al toro, quindi un essere dotato di possenti corna, come il diavolo cristiano. Dioniso stesso fin da bambino ha piccole corna che spuntano fra i ricci. Uno dei suoi epiteti è Lysios, “colui che scioglie”, che ricorda da vicino la facoltà “Solve et Coagula” associata a Bafometto, l’idolo cornuto che compare nei verbali delle confessioni estorte con la tortura ai Cavalieri Templari. Un altro epiteto di Dioniso è Pyrogenos, “nato dal fuoco”.
La regina degli dei, Era, lo odia perché è frutto di uno degli adulteri di suo marito, e durante la giovinezza lo punisce con un periodo di pazzia, in cui il dio vaga in modo disordinato con il suo corteo e compie atrocità. Una volta guarito e purificato, elegge la malattia di cui aveva sofferto a sua sferza fulminatrice. L’attributo più diabolico di Dioniso è proprio la sua facoltà di far impazzire. Dioniso è il dio del raptus, dell’omicidio e del dilaniamento furioso. Nelle Baccanti pronuncia la tremenda frase “Tu non sai che cos’è la tua vita, né quello che stai facendo, né chi tu sia.” Ma questa frase vale per tutti noi, non solo per i pazzi.
Di follia si occupa anche l’apparentemente composto Apollo. Follia profetica, ai fini di vedere ciò che non può essere visto, mentre quella causata da Dioniso è iniziatica, ai fini di cambiare con modalità violente. Figlio di Leto, la Notte, Apollo è chiamato con l’epiteto Fosforos, portatore di luce, lucifero in latino. Il sole di cui è il dio è fonte di vita, ma può anche bruciare e distruggere. Sotto la maschera della sua bellezza perfetta, bionda e simmetrica, Apollo ama scatenare pestilenze come i demoni dell’aria mesopotamici, e dedicarsi a pratiche non proprio armoniche, come la scorticazione, a cui sottopone il satiro Marsia. Androgino nell’aspetto come Dioniso e come il diavolo stesso, viene chiamato Lossia, l’oscuro, l’obliquo. Platone, Eschilo ed Euripide concordano nel sostenere che il nome di Apollo proviene dal verbo apollymi, “distruggere”. La stessa radice del nome dell’angelo che scatena la piaga della Quinta Tromba nel libro dell’Apocalisse. “Il loro re era l’angelo dell’Abisso, che in ebraico si chiama Abadòn, Perdizione, e in greco Apollyon, Sterminatore.”
Tutti gli dei greci sono caratterizzati dall’ambiguità morale, “ci spingono a un’azione inevitabile e poi sono costretti a punirci”, utilizzando per tanto il double binding, pratica ben nota ai torturatori militari.
Fondamentale per l’iconografia del diavolo cristiano è l’antico dio Pan, che governa i pascoli e i boschi selvaggi e rappresenta la libertà assoluta, anche in termini sanguinari, della vita prima della civiltà. Adora il sesso, le orge, l’onanismo, lo stupro. Chi lo disturba viene colpito da un tipo peculiare di terrore assoluto, penetrante come una frustata, l’attacco di panico.
Strabone designa i satiri come creature demoniache.
Corrispondente dei satiri nel mondo latino sono i fauni, numi della disordinata forza sessuale degli abitatori dei boschi fuori dalla civiltà. Per quello che invece riguarda il lato demoniaco della morte, gli Antichi Romani avevano i Mani, emanazioni infernali ed indefinite della storia familiare, morti che tornano e vagano fra i vivi il 24 agosto, il 5 ottobre e il 9 novembre, carichi di potenza maligna. Il loro nome, Manes, “i benevoli”, è infatti apotropaico.
Gli Antichi Romani avevano anche un vasto sistema di maledizioni, dette Defixiones, tabelle scritte in antichi dialetti italici mediante le quali determinate persone venivano consacrate alle potenze infernali. Venivano utilizzate delle formule per far sì che le caratteristiche migliori di queste persone, come la potenza sessuale, la fertilità e la bellezza, venissero distrutte grazie all’intervento degli dei delle tenebre. Le tabelle venivano solitamente trafitte con chiodi. C’è ad esempio la tabella di Pozio, che lo consacra a Proserpina: “O pietosa, bella Proserpina … strappa la salute, le membra, il colore, le forze, le virtù a Plozio. Consegnalo a Plutone, tuo marito … Dallo in preda alla febbre quartana, alla terzana, alla quotidiana … lo abbattano, lo schiaccino, finchè gli abbiano strappato l’anima … O Proserpina Salvia, ti consacro le nari, le labbra, le orecchie, il naso, la lingua, i denti di Plozio … il basso ventre, che non possa urinare, le natiche, l’ano, i femori, le ginocchia…”
Vivere nell’Antica Roma, sottostare alle sue agghiaccianti leggi sociali, non era un modello umanamente sostenibile per troppo tempo. Poco prima del declino, fioriscono a Roma dei culti misterici basati sul dualismo. Il marciume del mondo diventa in questo modo tollerabile, perché tanto quello percepito dai sensi non è il mondo reale. Gli adepti del culto di Mithra, ad esempio, si riuniscono in grotte illuminate da torce, per officiare il rito di morte e rinascita del taurobolium. Il neofita si mette sotto ad un altare su cui viene sacrificato un toro, il cui sangue lo inonda iniziandolo alla setta.
SUMERI E MESOPOTAMICI
Le sfere di influenza demoniaca delle popolazioni mesopotamiche sono nuovamente la morte, il sesso, la malattia. Secondo Russell, una peculiarità della cultura mesopotamica è “la sua dimensione di terrore. L’universo andava sempre a pezzi, spesso bruscamente, all’improvviso.”
Nell’Enuma Elish, il dio Apsu viene detronizzato ed ucciso da suo figlio Marduk.
Tiamat, la sposa di Apsu, è furibonda e partorisce una legione di demoni orribili e deformi, ponendola sotto il comando di Kingu. Si scatena così un’immane battaglia. Marduk riesce a fendere Tiamat in due, sconfigge i demoni e usa i resti del loro principe Kingu per plasmare l’umanità. La radice dell’uomo è quindi il male.
Il signore degli inferi assiro-babilonesi è Nergal, dio della guerra e della distruzione, guerriero sfrenato, preposto all’eversione e alla pestilenza. Il suo nome significa “furioso”, “signore grande e forte” “signore della Città Grande” ovvero l’aldilà, che ospita le anime dei morti da che mondo è mondo e che è detto anche Kurnugia “la terra senza ritorno”. Gli appellativi di Nergal sono “grande toro”, “drago sublime”. Rappresenta la forza e l’inesorabilità della morte. Il suo messaggero è Namtar, il demone della peste che piomba sugli uomini e mantiene la presa tramite i loro fianchi. La sua sposa è Ereshkigal, principessa della Grande Terra, divinità della magia nera che tiene nascosta la fonte di vita, grazie alla quale i morti potrebbero resuscitare.
Nergal inizialmente siede alla mensa degli dei, e una volta offende il messo di Ereshkigal evitando di alzarsi quando lei viene nominata. Ereshkigal si fa portare Nergal per ucciderlo, ma lui abbatte tutte le 14 porte dell’inferno, penetra nella casa della dea, le afferra i capelli e minaccia di tagliarle la testa. In questo modo si mettono insieme.
Humbaba è il demone del vento del deserto “ha voce che è un uragano, una bocca che è fuoco, un soffio che è morte”.
I Sumeri ritenevano che tutte le forme di malattia e prostrazione, dall’insolazione, alla peste, all’emicrania, fossero opera di demoni che andavano esorcizzati.
Sag-Gig faceva dolere la testa: “La sua forma è quella di un turbine, la sua apparenza quella dei cieli ottenebrati, il suo volto è oscuro come la profonda ombra della foresta. (…) Maltratta le membra come fossero vaso d’argilla, ottura le narici come polvere, spezza le dita come corda tesa al vento, fende in due il petto come stelo di henné.”
Le popolazioni mesopotamiche avevano anche dei demoni del sesso, quello infecondo e lussurioso che porta all’ossessione. Il Lilu è un demone notturno maschile che possiede le donne durante il sonno, come l’incubus latino, la sua paredra è Lilitu e la loro serva Ardat-Lili. Originariamente sono rappresentazioni del vento e dell’uragano, come nel V canto dell’Inferno dantesco.
Gli Etimmu sono ombre di morti che perseguitano i vivi nottetempo, facendo rizzare loro i capelli in testa e svuotandoli della forza vitale. Queste entità sono morti non soddisfatti, a cui non sono stati tributati i dovuti onori, o morti con esistenze senza senso, troncate in malo modo, che non riescono a staccarsi dal ricordo della loro vita.
Re assoluto delle malattie epidemiche è Pazuzu “re dei maligni spiriti dell’aria che escono dalle montagne, violentemente, facendo strage”. Questo demone compare a Babilonia intorno al VII secolo a.C., e viene raffigurato come una spaventosa chimera, amalgama dei peggiori predatori delle diverse specie: ha il muso di sciacallo saprofita, il becco adunco da rapace, le zampe assassine dei leoni, la coda velenosa degli scorpioni. È dotato di quattro ali come i serafini, ha il corpo ricoperto di scaglie e il pene eretto, terminante in una testa di serpente.
Porta la pestilenza, la morte, le locuste, la carestia. È talmente terrificante da mettere in fuga le altre entità demoniache, tanto che le donne babilonesi incinte spesso indossavano dei ciondoli a sua immagine, per proteggere il nascituro da influssi nefasti. Pazuzu acquisterà un forte status iconico grazie all’Esorcista di William Friedkin.
Le caratteristiche della demonologia dei Sumeri, dei Babilonesi e delle popolazioni mesopotamiche confluiranno in quella dei popoli semitici, per poi arrivare al cristianesimo.
Fine prima parte _ La seconda parte sarà sul dàimon greco, ma la nostra Storia del Diavolo non verrà pubblicata in sequenza. Ci sono altri articoli che abbiamo in lavorazione che si andranno a intersecare fra le varie parti _ Stay Tuned!
Bibliografia
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AA.VV. La Sacra Bibbia, CEI-UECI, 1971
Jeffrey B. Russell. Il diavolo nel mondo antico. Editori La Terza. 1977
Alejandro Jodorowsky, Marianne Costa. La via dei tarocchi. Feltrinelli. 2004
Euripide. Le Baccanti. Bur. 2004
https://it.wikipedia.org/wiki/Dioniso
http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Dee_Diodioniso.htm
http://defixionesmagiaesuperstizione.blogspot.it/
http://www.metmuseum.org/exhibitions/listings/2014/assyria-to-iberia/blog/posts/pazuzu