Durante la nostra prima giovinezza piuttosto solitaria, stramba, nomade e priva di affiliazioni, c’è stato un posto che, nel corso delle nostre esplorazioni psicogeografiche delle subculture, abbiamo frequentato e amato forse più di tutti gli altri. Per svariati motivi. La musica era molto bella. Tutto sembrava congelato nel tempo come in un set cinematografico abbandonato, e il tempo in cui tutto si era fermato era quello degli anni Ottanta: neon freddi, buio, specchi, divanetti, luci roteanti. C’erano i cessi promiscui, a volte si andava nel cesso delle donne, altre volte in quello degli uomini, e in entrambi si facevano delle gran chiacchiere e un sacco di foto con le usa e getta. Tutti quelli che ci andavano erano freaks. Potevi imbatterti nei re supremi della musica power electronics, in cloni un po’ bolsi di Stephen King con occhiali a fondo di bottiglia e tracheotomia a vista, in punk alte un metro e ottantacinque con la faccia di Claudia Schiffer e la maglia di Earth A.D. che facevano fermare tutto il locale ballando Curami dei CCCP in pista, in elfi malefici dark che ti parlavano della Violenza e della Menzogna, in dominatrix con la faccia di Diamanda Galas e tacco 17 accompagnate da nerd in tuta. Tutte le subculture ci transitavano, dai punk ai metallari, dai dark agli skin. C’erano i marpioni da stazione, i tossici fashion mimetizzati dai glitter, le kinderwhore con il paparino e dei trans brutti e stronzi come il peccato. L’immagine era importante ma andava bene anche se eri scassato, di cattivo gusto, bruttino, poco curato, anoressico, grasso, triste. Non c’era bisogno di nessuna stupida door selection, perché la decadenza era vera, radicale, partiva dal profondo e aveva trovato finalmente un posto in cui fiorire. Per entrarci si saliva una scalinata che si avvitava con una grande rotazione ellittica incredibilmente teatrale e l’aria che si respirava una volta dentro era di grande energia. C’era un’atmosfera contradditoria, di festa grande e di fine della festa, di malinconia felliniana da carnevale dei Vitelloni. Questo posto era molto ospitale, tu ci andavi e, dopo un po’, nonostante i problemi d’autismo, conoscevi tutti.Adempiendo il proprio destino di einstürzende neubauten, questa discoteca è stata ormai demolita e noi non ne abbiamo visto nemmeno le macerie. Ma quest’anno, alla Fiera del Libro a Torino, abbiamo trovato un saggio meraviglioso di Agenzia X che storicizza quell’onda sociale, estetica e culturale che ha portato anche all’esistenza del Condor che tanto abbiamo amato.
Creature Simili esplora la nascita e lo sviluppo del movimento dark in Italia, con come epicentro la Milano degli anni Ottanta. Nel corso di questo articolo faremo una relazione trasversale del trattato di Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà, considerando da una parte la storiografia e la geografia del movimento, e dall’altra due elementi che ci interessano nello specifico da sempre, l’estetica vestimentaria, soprattutto quella virata al nero, e le pubblicazioni autoprodotte. Tosoni e Zuccalà hanno strutturato il saggio con la stessa metodologia di indagine che abbiamo utilizzato anche noi a Cayce’s Lab per la mostra e la fanzine sul punk a Modena (cfr. questo articolo), dando massima rilevanza alle parole dei protagonisti. Dato che niente può essere più rivelatorio delle dichiarazioni di chi ha vissuto un determinato momento e una particolare realtà, anche questa relazione su Creature simili riporterà le citazioni di chi è stato dark a Milano e dintorni nei primi anni Ottanta.
NOMENCLATURA
“Dark” è una definizione che esiste solo in Italia. Questa subcultura, che convenzionalmente nasce in Inghilterra alla discoteca Batcave (di cui abbiamo parlato alla fine di questo articolo), è ora universalmente definita goth, con tutte le declinazioni fashioniste degli ultimi anni, cyber goth, gothic Lolita, gothic aristocrat, fetish goth, tribal goth, goth metal, emo, neo folk. Il termine “goth” non è mai stato esportato in Italia, o comunque non ha mai attecchito fuori dalla cerchia degli affiliati alla marea nera. Quando a Milano iniziano a vedersi i primi punk pallidi, poco propensi alla guerriglia, nerovestiti dalla testa ai piedi e reietti, non esiste una definizione per loro. Alcuni di loro si chiamano con orgoglio gothic punk, come i frequentatori della Batcave. Successivamente, nel corso delle relazioni con i punk ortodossi e i centri sociali, verrà fuori la definizione Creature simili. Infine quella sdoganata ai media di dark. Queste sono anche le due anime della prima scena gotica italiana, Creature simili anarchiche da una parte e dark del giro delle discoteche dall’altra, prima fra tutti l’Hysterika. Un altro universo a parte sono i dark di provincia, che si muovono in territori socialmente molto più ostili di Milano.
ANNI OTTANTA A MILANO
La Milano degli anni Ottanta costituisce uno scenario in cui spicca il rampantismo, la competizione, l’ascesa della neopolitica berlusconiana, il boom della moda dei grandi stilisti italiani, l’edonismo di massa e la glorificazione della ricchezza. Dietro a tutto questo glamorama di facciata ci sono repressione, eroina e riflusso. La repressione poliziesca è palpabile e universale, non indirizzata unicamente a chi è affiliato a movimenti politici o collettivi di occupazione, ma a chiunque si rifiuti di riconoscersi negli slogan pubblicitari della Milano da Bere. Per fermare qualcuno per strada, alla polizia basta vedere un paio di jeans strappati, dei cinturoni militari o delle manette, o semplicemente qualcuno che non vada loro a genio per qualunque motivo e che in quel momento stia fermo a parlare con più di due persone, fatto che può trasformarsi in un’accusa di “adunata sediziosa”.In generale, non esiste più la spinta a cambiare le cose che aveva avuto la generazione precedente. Questa fiducia nel cambiamento da conquistare è stata soffocata dalla paranoia e dalla paura, che creano il riflusso, un concetto che ancora oggi ci riguarda molto da vicino. A causa dei continui controlli di polizia, degli arresti e dei fermi, avere una vita fuori dagli schemi socialmente accettati, fare politica antagonista dal basso, anche semplicemente andare in giro per strada spesso diventa un grosso rischio. Molti avvertono un senso di paralisi, di impotenza, quindi si chiudono in casa e vivono la loro vita in una dimensione prevalentemente privata. Tosoni e Zuccalà definiscono il riflusso come “ritorno al privato e disintegrazione delle forme di socialità costruite nel decennio precedente.”Uno dei protagonisti della scena, Sergio di Meda, racconta: “(…) Da una parte c’era la Milano da Bere, che ti facevano vedere in continuazione, con tutti che si divertivano e andavano a fare gli aperitivi felici e contenti; dall’altra c’eravamo noi, i ragazzi ai quali così non stava bene, perché ci accorgevamo che stava andando tutto in sfacelo. (…) Io sono un antifascista, non tollero i regimi di destra. E l’impressione che avevo, che avevamo tutti, era di trovarci su quella china, perché c’era effettivamente una sorta di controllo politico e della polizia su tutto quello che facevamo. Mi ricordo di aver detto: “Io ho una grande paura. Ho paura che passeremo da una forma di fascismo abbastanza evidente a un fascismo nascosto, per cui tutto verrà comunque controllato, ma con la finzione che siamo tutti in pace e in armonia, tutti democratici, liberi di fare quello che vogliamo” (…)”
Joykix, un membro delle Creature simili, ha dichiarato: “Incontro tanti ragazzi giovani che mi dicono: Minchia, ho scoperto quel gruppo! Beato te che hai vissuto gli anni Ottanta”. Ma ragazzi, guardate che eravamo nella merda, la metà di noi sono morti: Aids, eroina, incidenti, suicidi … Non era affatto una figata.”
Chi entra a far parte dei movimenti subculturali dei primi anni Ottanta ha come comune denominatore la ricerca di nuovi schemi di vita, fuori dall’imperativo del lavoro come penitenza e sofferenza obbligata, della famiglia tradizionale, della criminalizzazione borghese della diversità. Ed è proprio questa la spinta generativa primaria delle subculture, la non integrazione, la renitenza alle regole e ai codici imposti. Ma, oltre che spinta generativa, è anche il più pericoloso nemico interno, ciò che causa il declino quando i codici di rottura si sclerotizzano e diventano imperativi.
AFFINITA’ E DIVERGENZE FRA PUNK E DARK
Il punk e il dark sono strettamente imparentati.
Il primo punk italiano nasce sulle ceneri e dai limiti dei movimenti politici degli anni Settanta. C’è una certa comunanza di ideali ma anche un’incompatibilità forte di codici estetici e comunicativi. Durante le manifestazioni a cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta i compagni spesso danno la caccia ai primi punk: pensano che siano fascisti solo perché indossano pantaloni e giacche di pelle nera. Angela Valcavi, un’altra Creatura simile, ricorda che a diciott’anni, dopo essere rimasta folgorata da un articolo sui punk di Londra trovato su Re Nudo, dopo essersi tagliata i capelli cortissimi e vestita di spille da balia, causò una riunione del comitato di occupazione della Casermetta di Baggio, seguita da un processo politico: “Che cosa ti sei messa in testa? Così vanno in giro i fascisti! Chiarisciti le idee e decidi da che parte stare! Datti una regolata perché qua dentro queste cose non vanno bene.”Riguardo alle differenze con i movimenti di contestazione degli anni Settanta, Joykix riferisce che “la ricerca degli spazi di comunicazione e di esistenza non era assolutamente orientata all’egemonia e al proselitismo degli anni Settanta, al contrario: volevamo essere in pochi e vaffanculo, avere i nostri spazi e i nostri club. Non è mai stato usato ufficialmente il termine club, ma fra noi ce lo dicevamo. Comunque era il nostro posto dove facevamo le nostre cose e vivevamo separati.”Roxie, che ora fa la curatrice d’arte contemporanea, racconta che la constatazione della propria diversità ha portato i protagonisti della prima scena dark non a blindarsi in se stessi ma a cercare di edificare la propria eterotopia, il proprio altrove, partendo dalla ricostruzione del proprio aspetto, espandendosi agli arredi dei propri spazi abitativi, fino ad arrivare a trovare o a creare dei luoghi fisici nel mondo esterno.
Per Sara, un’altra protagonista della scena, sia il punk che il dark si basano sullo shock visivo e su un antagonismo nei confronti della propria comunità di appartenenza. Sarah afferma che il dark è storicamente figlio del punk: “Vedo una continuità, sono due facce della stessa medaglia, e questo vale già per la musica: pensate solo a Siouxsie che era una groupie dei Sex Pistols, o a Ian Curtis che con i primi Warsaw aveva tutt’altre sonorità.”Per Gp c’è una differenza di attitudine che parte dagli stessi presupposti di rifiuto: “Il punk era puramente rabbioso, portato alla distruzione, al sabotaggio, al caos, alla rivolta, dunque molto più propenso ad esternare; quello dark era invece più interiore, affascinato dalla decadenza, ma anche con una vena romantica.”
Quasi tutti i protagonisti della prima scena dark italiana transitano dal Virus, un centro sociale occupato che apre in via Correggio 18 all’inizio dell’82. Il Virus è il crogiolo del primo, purissimo movimento punk italiano, di cui racconta Marco Philopat in Costretti a Sanguinare. I virusiani uniscono all’estetica oltraggiosa una costante prassi politica, che deve essere sempre presente nella vita quotidiana: occupazione di spazi, vita in comune all’interno di essi, costruzione ed autogestione della propria cultura mediante l’organizzazione dei concerti e l’autoproduzione, dieta preferibilmente vegetariana, azioni di volantinaggio, manifestazioni contro la guerra e il nucleare. In questo modo nascono molti spazi occupati e centinaia di gruppi musicali interconnessi in una rete europea, all’interno della quale circolano decine di punkzine e grandi flussi di persone. Per Tosoni e Zuccalà questa prassi di vita è connotata da un “antagonismo radicale”. Il Virus è costantemente sotto assedio da parte delle istituzioni, va avanti resistendo di mese in mese. Viene infine sgomberato nell’84, si trasferisce in via Piave, dove continua ad esistere fino all’87. Il Virus, per questioni di autodifesa, è anche molto elitario.Joykix racconta che:“Entrare veramente nel giro del Virus non era facile. (…) Non era facile entrare, relazionarsi. E devo dire che anch’io avevo delle difficoltà personali. C’erano dinamiche interne, sottogruppi: le modalità di un gruppo estremamente chiuso, spaventosamente selettivo. (…) Se avevi suonato anche una sola volta in una discoteca commerciale, potevi scordarti il palco del Virus.”Inoltre ci sono differenze di indole, di attitudine. Sergio di Meda ha riferito: “Con i punk non andavamo del tutto d’accordo: come scrive Philopat in Costretti a sanguinare, ci guardavano un po’ dall’alto al basso perché non avevamo la loro stessa posizione nei confronti della politica. Noi non facevamo politica attiva, quindi ci consideravano fashion, poser. (…) Il problema era che non usavamo il loro metodo, per cui non facevamo politica attiva, come la chiamavano loro, non attaccavamo i manifesti, non organizzavamo i concerti. Alle manifestazioni ci andavamo eccome, molti di noi, ma non come gruppo. C’era inoltre una differenza nei confronti della gente: loro avevano questa spinta ad andare sempre a rompere le palle alle persone in strada, con una certa aggressività, in modo molto provocatorio. Noi pensavamo invece che la provocazione fosse da praticare a livello visivo, creando scompiglio con il nostro modo di presentarci.”
Nonostante questo ci sono molte affinità, istanze fondamentali di cui molti esponenti del dark odierno sembrano essersi dimenticati. Dave riferisce che: “Eppure ho iniziato per forza di cose con il punk, le due scene si sovrapponevano facilmente e in comune avevamo una cosa fondamentale: la volontà di non omologarci alla moda dell’epoca, al paninarismo dell’abito firmato, all’ostentare ricchezza, all’ideologia politica di destra, al machismo.”
Dalla natura aliena di alcuni elementi, non riducibile all’ambiente dei punx del Virus, nasce la prima definizione di dark in Italia. Roxie racconta: “Al Virus qualcuno comincia a giocare con i codici del dark ma non a tutti piace: infatti avevo la sensazione di non essere proprio ben vista dagli occupanti. Quando li ho conosciuti, la loro posizione mi sembrava interessante ma rispetto a me, a come ero, la trovavo troppo estremista: io non sarei mai andata nella casa occupata, senza la mia stanza e le mie cose! (…) Alcuni mi dicevano: “Tu non sei punk, tu sei creatura simile”, un’espressione usata da quelli dell’Helter Skelter per definire una serie di persone che avevano attitudini di quel tipo ma non si identificavano appieno con il punk più politicizzato.”
SPECIFICITA’ GOTICA E PERCORSI AUTONOMI
I primissimi dark sono quindi dei fuoriusciti assoluti, sia dalla società dell’edonismo coatto e del benessere di facciata dell’Italia degli anni Ottanta, sia dalla modalità di scontro frontale e copione iperpoliticizzato di comportamento dei punx. Molti di quelli che saranno i protagonisti della scena dark sono accomunati dalla natura freak e problematica: problemi in famiglia, problemi di depressione, problemi di gestione della violenza, problemi alimentari. Rispetto ai punk più duri, che rifiutano tutto quello che la società può offrire, dal lavoro all’istruzione, la maggior parte dei primi goth ha un’istruzione superiore. Molti frequentano il liceo o l’università. Un determinato tipo di cultura è fondamentale nell’identità degli appartenenti a questa subcultura, che non possono prescindere dalla conoscenza dell’arte. E quindi Decadentismo, Esistenzialismo, Surrealismo e Dada sono l’ABC dell’essere dark.Prima del 1983, non esiste nessun gruppo riconoscibile di gothic a Milano. Questa nuova subcultura attraversa varie fasi di gestazione e sviluppo: una prima di rottura estetica con il canone dominante, che condividono con i punk assieme ad altri ideali (come ad esempio l’antimilitarismo), un senso di appartenenza solo parziale ai modus vivendi più radicali, un ripiegamento su se stessi in cui vengono elaborati gusti autonomi e pratiche artistiche solitarie come la scrittura. La darkzine Amen, redatta e creata da Angela Valcavi assieme ad altri collaboratori che vedremo in dettaglio nella seconda parte dell’articolo, nasce prima di ogni altra cosa, e costituirà una sorta di oggetto magico primario intorno a cui si andranno a strutturare le iniziative che porteranno alla nascita delle Creature simili. Un altro tratto molto importante per la subcultura dark è la dimensione di ricerca, che nasce dal non riconoscersi pienamente né nella cultura dominante né nelle sottoculture già esistenti. Quindi bisogna cercare qualcosa in cui riconoscersi, che sia musica diversa dall’hardcore o altre suggestioni culturali, artistiche o letterarie. È sostanzialmente una ricerca delle proprie radici.
I PRIMI CONCERTI, MAREA NERA,
CREATURE SIMILI
Se all’antagonismo preferiscono la secessione, i primi dark vogliono comunque edificare la loro personale eterotopia. Roxie racconta che: “Rispetto a quello che è stato il punk più politicizzato, nel dark non c’è lotta frontale: era più un farsi il proprio mondo parallelo. È la secessione: da resistenza attiva a passiva.”
È tramite l’attività di promozione della darkzine Amen che Angela Valcavi, Lia, Atomo e Vincillo entrano in contatto con lo scenario del folle bar-latteria Strafalari, in cui si fanno “reading geniali che nessuno si caga” e che sta davanti al Leoncavallo. Così le Creature simili, passando attraverso la riunione del comitato di occupazione, riescono ad organizzare il primo concerto, il 10 novembre dell’83. In cartellone ci sono gli Obscurity Age di Milano e i Viridanse di Alessandria. Quelli del Leoncavallo non credono ai propri occhi quando vedono arrivare un migliaio di persone, una vera e propria “marea nera”.
Angela Valcavi racconta: “Scoprimmo un intero universo di solitari vestiti di nero. Era tangibile la sensazione che queste persone si trovassero finalmente in un ambito in cui riconoscersi. Vedevamo per la prima volta riuniti tanti individui che probabilmente avevano molto in comune, che avevano sviluppato degli interessi in comune in modo defilato, intimista, legato ad ambienti chiusi. (…) In quel momento non esisteva ancora un circuito, ed era sorprendente vedere per la prima volta così tanta gente accomunata da un’identità.”
Il 12 gennaio dell’84 c’è il secondo concerto, con Weimar Gesang e Faded Image. Alla terza iniziativa organizzata al Leoncavallo suonano i Voices e gli Art of Waiting. Il quarto concerto viene firmato con le testate delle darkzine Amen, Fame, Hydra Mentale, S.D.M. e Creature simili, il cui collettivo era nato all’inizio di quell’anno all’interno del Virus. “Ci piaceva il nome Creature simili perché il termine “creature” fa pensare alla creazione, a qualcosa che prima non c’era e attraverso un gesto, un atto, comincia ad esistere. Fa pensare a un percorso, artistico e filosofico. “Simili” rimanda invece alla somiglianza, alla vicinanza a un percorso: dà l’idea di identità e condivisione.” (Angela Valcavi)
Le Creature simili iniziano a mostrarsi sempre di più in via Torino, alla fiera di Sinigaglia, alle Colonne di San Lorenzo, che all’epoca sono i luoghi di ritrovo più alternativi di Milano. Fanno un flash mob con performance sanguinolenta al convegno sulle bande giovanili a Palazzo Isimbardi, dove si guadagnano il rispetto politico dei punk più oltranzisti. Successivamente, il 5 maggio dell’84 le Creature simili tentano un’occupazione del Teatro Miele, che è un luogo abbandonato molto bello, in cui c’erano stati concerti degli Area e degli Skiantos, ma vengono sgomberati in nemmeno un giorno. A proposito dell’esperienza delle Creature simili, Angela Valcavi ha dichiarato: “Creature simili era la firma sotto la quale alcuni individui, che facevano riferimento a micro collettivi di matrice punkanarchico e situazionista spontaneista, decisero di unirsi in unica entità politica per rivendicare la necessità di spazi di aggregazione.“
HELTER SKELTER
Alla fine, il collettivo del Leoncavallo concede a questo gruppo di proto-goth politicizzati la gestione di uno scantinato della palazzina esterna. Nasce così lo spazio autogestito Helter Skelter, che diventerà la casa delle Creature simili. Il nome racconta di caos, vertigine, guerra dei mondi, riunendo Charles Manson, i Beatles e Siouxsie and the Banshees. Il modello di riferimento sono i locali Paradiso di Amsterdam e il Kukuk, un centro policulturale a Berlino. All’Helter Skelter l’offerta culturale è molto diversificata, vengono organizzati concerti, mostre, cineforum.
All’Helter Skelter le Creature simili organizzano concerti a prezzi politici dei primi gruppi dark italiani, e poi dei Wretched, delle Officine Schwartz, ma anche di Henry Rollins e dei Sonic Youth, che vengono ospitati a dormire a casa di Joykix a Rogoredo. Gomma, punk del Virus e figura centrale della scena cyberpunk italiana, descrive le impressioni di (e su) Henry Rollins all’Helter Skelter: “Il gig è citato anche dallo stesso Rollins su un suo libro di poesie che descrive l’Helter Skelter come superunderground, un luogo con tappeto fatto di lattine di birra vuote e abbestia che ravanano nei bidoni in cerca di roba da mangiare. Lui teneva abbastanza le distanze, sbirciando da lato, e alla mattina faceva jogging, pratica a noi aliena. Ma stava sul palco come Satana in persona. Una cosa pazzesca. Sudava come pochi ed essendo letteralmente fradicio il microfono gli restituiva delle scariche elettriche, dalle quali si riparava con una maglietta avvolta sullo stesso. Faceva anche un freddo porco (eravamo senza finestre), ma lui non si è mai lamentato. E questo dimostra che è un grande.” All’Helter Skelter viene proiettata una rassegna di film di Richard Kern, che suscita molte facce perplesse fra le fila dei compagni. Alla prima di Decoder, distopia lisergica sui media e sul controllo in cui recitano Christiane F., William Burroughs e Genesis P-Orridge, è anche presente il regista Klaus Maeck, assieme ad un pubblico di circa 300 persone. Poco tempo dopo, alcune Creature simili confluiranno nel cyberpunk, creando una rivista internazionale underground, che riprende appunto il nome Decoder. Decoder è contraddistinta dalle illustrazioni di Professor Bad Trip e sceglie deliberatamente di ignorare i classici dibattiti post-comunisti, per teorizzare concetti ulteriori. Uno di questi è quello della cappa immaginativa, l’impossibilità di immaginare alternative all’esistente, frutto della repressione e del riflusso. Decoder è decodificatore, per capire il codice del presente e riuscire a rovesciarlo. Tutto questo nasce dentro all’Helter Skelter e Joykix, uno delle Creature simili, fa parte della redazione.I compagni del Leoncavallo sono stupiti dall’enorme affluenza all’Helter Skelter, caratterizzata da un melting pot di individui diversi che è tipico dei locali superlativi nei loro momenti d’oro. Oltre alle Creature simili, ci sono i compagni anni Settanta del Leoncavallo, i punx orfani del Virus appena sgomberato, i dark attenti al look che frequentano perlopiù il giro delle discoteche, dei goth polacchi che si fustigano, dei goth slovacchi che scambiano idee sulla autogestione delle iniziative culturali. Ci sono performance di Annie Anxiety e un giorno viene avvistata Lydia Lunch.L’Helter Skelter chiude nell’87, un anno terribile per tutto quello che è l’underground milanese, che vede anche la chiusura definitiva del secondo Virus.
I DARK DELLE DISCOTECHE E L’HYSTERIKA
In questa prima fase, attraverso l’Helter Skelter, c’è uno scambio attivo fra le Creature simili più politicizzate e il giro più commerciale delle discoteche, che ruota intorno al locale di culto Hysterika. L’Hysterika nasce sulle ceneri del Taxi, aperto nel 1979 in via Redi. Il Taxi ha una gestione familiare in cui la mamma sferruzza nel gabbiotto del guardaroba. La selezione musicale è composta da Talking Heads, Lou Reed, Bowie, Culture Club, Soft Cell, Depeche Mode. Il dj del Taxi, René, è amico dei Krisma, compare nel video di Lola e lancia a Milano la moda New Romantic, a cui abbiamo già dedicato questo articolo. René organizza serate di Halloween nell’82, quando in Italia non si sa nemmeno cosa sia. Al Taxi vanno in massa eleganti new waver, rockabilly impomatati, i primi New Romantics truccati e pieni di trine e i primi dark, mescolati a membri dei Depeche Mode, dei Visage e dei Christian Death. Nel novembre dell’83 si tiene al Taxi il Funeral Party, riconosciuto come il primo dark party italiano.
Nel 1984 il Taxi si trasforma in Hysterika, con come logo la bocca imbronciata di Nina Hagen. Antonella Pala descrive il locale così: “Ricordo ancora l’ingresso, buio, angusto, tutto nero, con la porta di ferro. Era una sorta di cantina del locale che stava sopra, e accanto c’era un cinema porno. Dietro il bancone del bar partiva la posta con i divanetti intorno. Di fronte, un’intera parete a specchi ricoperta di impronte di mani, scritte e baci con il rossetto, che rifletteva il nostro tipico ballo cadenzato avanti e indietro. Sulla sinistra, in alto, il gabbiotto del dj; dietro, accanto alla pista, c’era il bagno dove si svolgeva sempre un gran fermento! E sulla destra della posta c’era la scala verso l’uscita di sicurezza, che spesso veniva utilizzata per ben altri scopi…”Ci sono serate il venerdì e il sabato con i dj Pietro Perozzi e Tannox. Ma il top è la domenica pomeriggio con il combo dj Alex più Pino Carafa, ovvero dj Lupo. Alex e Lupo suonano insieme, alternandosi alle luci e alla musica e mettendo gli allora sconosciuti Christian Death, i CCCP, i Death in June, i Cramps, gli Alien Sex Fiend. Questo stato di grazia dura tutte le domeniche dall’86 fino all’89. Ci sono concorsi annuali di Miss Hysterika, in cui il primo criterio per vincere non è l’aspetto ma la personalità. La gente spesso arriva con bottiglie imboscate nelle borse, ma il gestore fa finta di niente, basando i propri introiti soprattutto sugli ingressi. A volte Renè lascia liberi per il locale i suoi cincillà, e si sente la gente urlare perché si è appena seduta per sbaglio su qualcosa di vivo, peloso e sdegnato. Inizialmente la scena è molto unita, tutti si conoscono, condividendo gusti musicali, estetica e interessi. Ci sono molte compagnie diverse. Ma anche all’Hysterika si vengono a creare forme di elitarismo, non più legate a connotazioni politiche, perché le connotazioni politiche sono assenti nello scenario delle discoteche, ma all’estetica. Le contrapposizioni si fanno sentire soprattutto fra i dark milanesi e quelli di fuori. Andrea di Varese racconta: “Noi non eravamo particolarmente esigenti in fatto di look: indossavamo jeans neri, anfibi, cappotto oppure chiodo. Là invece erano tutti con i pizzi e le scarpe a punta. È vero, forse eravamo un po’ paesanotti, ma c’era uno stacco netto tra il nostro modo di socializzare e il loro. Le prime volte che ci entravi avevi di fronte delle persone consapevoli di essere i padroni di casa, e così avevano un atteggiamento snob verso chi proveniva da fuori. Molti erano alla mano, ma lo zoccolo duro era abbastanza snob. E prima di poter scambiare quattro parole con uno di questi ce ne voleva. Ma in fondo noi li prendevamo in giro, non li vedevamo affatto come dei miti da riverire. Diciamo che, alla fine, il fatto di ubriacarsi metteva d’accordo tutti.”
Dopo la virata commerciale dei gruppi storici come i Cure, dopo l’abbandono di dj Lupo nell’89 e un travaso della scena fashion del Plastic, dopo che i codici estetici di regolari e fuoriusciti si iniziano a mescolare fino a diventare indistinguibili, nel 1991 l’Hysterika chiude definitivamente.Lo scenario dei frequentatori delle discoteche è caratterizzato da nomadismo, per cui ci si sposta molto a esplorare locali dark di altre città, come il Condor a Modena o lo Charming di Torino, dove già nell’ ’86 si fa solo musica industriale. Questa vocazione nomade amplifica il senso di appartenenza.Oltre al Virus, all’Helter Skelter, all’Hysterika di via Redi, ci sono altri luoghi rilevanti per la subcultura goth milanese. Roy racconta che: “A San Giuliano Milanese, il Viridis faceva serata il venerdì: era un posto veramente bellissimo. Però lì era una guerra, nel senso che ogni volta che arrivavi c’era qualcuno a cui stavi sul cazzo. Io ho preso botte dappertutto. Mi ricordo soprattutto di questo skin: Lino lo Skin. Era brutto, cattivissimo. Una volta mi ha beccato. Gli stavo sui coglioni. (…) Mi ricordo anche del Motion, a metà strada fra Milano e Bergamo. Anche questo era un posto bellissimo ma pure lì erano sempre liti. (…) Fino all’85-’86 in questi posti misti è stata una guerra. E lo era anche in città. Uscire a divertirsi voleva dire tornare a casa ferito. Morto no, non voglio esagerare, ma ferito sì. A me è capitato e più volte. Perché oltre alle coltellate e ai pugni, le sberle che ho preso non le conto: mi è rimasta la faccia un po’ gommosa per tutte le sberle che ho preso! La situazione inizia a calmarsi un po’ alla fine degli anni Ottanta, lì si vedeva che qualcosa era cambiato nel mondo alternativo.”
A questo proposito, Sergio di Meda racconta che Milano era divisa in vere e proprie zone tribali, e che sconfinare spesso voleva dire prendere delle gran botte. “In via Torino c’era un passaggio dove da una parte c’era la Standa e dall’altra Wendy, un buco di fast-food. I punk si mettevano dalla parte della Standa, mentre davanti a Wendy c’era qualche darkettino, qualche rockabilly, un paio di skin: gente mista. I punk all’inizio ce l’avevano abbastanza su con noi, e ci pigliavano per il culo: ci dicevano “froci”, “corvetti”, cose di questo tipo. Non succedeva niente, però piuttosto che avere rogne coi punk passavi dalla parte degli skin. Due anni dopo la cosa era completamente diversa: gli skin ti tiravano i calci, ti dicevano “rossi”, e da lì non potevi più passare. In corso Vittorio Emanuele, davanti al muretto vecchio, c’erano gli skater, i primi breaker e anche i paninari un po’ sul fondo. I metallari invece stavano in una vietta dietro a Palazzo Reale, al negozio Transex. Praticamente in via Torino, dove adesso c’è la libreria prima della farmacia, c’erano i rockabilly mentre prima delle Colonne, sulla destra, dove oggi c’è l’enoteca, allora c’era la birreria Oktober Fest e lì stavano gli skin veri, quelli che menavano sul serio, per cui tu dovevi fare tutto un giro per arrivare ai negozi. Non potevi passare di là: se transitavi dall’altra parte loro facevano finta di niente, ma se gli camminavi davanti come minimo prendevi uno schiaffo. Proprio come minimo. E verso l’86-’87 le cose hanno iniziato a farsi ancora più pesanti. Già in passato ne erano successe: nell’85, per esempio, al vecchio muretto erano arrivati gli skin di Zurigo e ne avevano mandati un paio all’ospedale, conciati male. Avevano aperto la testa a un paio di persone, cosa che secondo me ha contribuito a far sciogliere quella compagnia. (…) Quando oggi sento gente dark che mi dice di essere di destra, mi fa ridere, e mi fa anche un po’ specie: noi siamo sempre stati odiati da quelli di destra, tutti i movimenti di destra ci consideravano nemici. Anche con i rockabilly qualche problema ce l’avevamo, ma lì erano questioni più che altro di prese per il culo. Con il giro dei motociclisti invece nessun problema: a qualcuno di questi piaceva il kraut-rock, l’elettronica tedesca, per cui ogni tanto venivano all’Hysterika. Però si facevano i fatti loro: tu non gli dovevi rompere i coglioni, altrimenti erano guai, ma loro non venivano a rompere a te. Stessa cosa per i metallari: andavi da Transex a comprare due borchie, non ci si guardava benissimo ma non abbiamo mai avuto problemi con un metallaro. Sempre su Vittorio Emanuele, sulla sinistra, verso metà c’era una sala giochi, e lì dentro c’era un grosso gruppo di Milano: erano i cinesi, i china. Ne conoscevo qualcuno, non ce l’avevano con noi di norma, loro ce l’avevano con i sanbabilini, i fascistelli. Non li potevano vedere: ogni volta che li incontravano erano botte, ma botte sul serio. Ho visto delle scene incredibili. Era un movimento grosso all’epoca. Tra l’altro non saprei definire neanche adesso cos’è di preciso un cinese: è una sorta di figlio dei fiori spostato negli anni Ottanta, per cui con i capelli lunghi però con le Clarks perché sono di sinistra, e con i jeans stretti.”Roy, che a diciassette anni è stato aggredito da una trentina di paninari beccandosi due coltellate, racconta: “Intorno all’82-’83 sono arrivati i paninari, che hanno fatto da collante per tutti i diversi gruppi: hanno fatto sì che la maggior parte si coalizzasse contro di loro, perché hanno iniziato subito a rompere i coglioni con atteggiamenti arroganti, e a fare a botte con tutti. (…) Per altro la storia del mio accoltellamento aveva fatto salire la tensione: non perché io fossi chissà chi, ero un pirla qualsiasi, però era girata la voce. Da qui è partito una specie di armistizio di tutti contro i paninari.”Altri luoghi fondamentali per la topografia dark a Milano nei primi anni Ottanta sono i negozi di dischi. I più importanti sono il Fluxus n 2 in via Bergamo, Supporti Fonografici in viale Cogni Zugna, che rimarrà aperto per vent’anni proponendo anche produzioni di minuscole etichette indipendenti, ed Ice Age. Emanuela Zini ricorda che “Il Fluxus aveva una scenografia incredibile. Quando entravi c’era una sedia con dei cavi che si ispirava al quadro di Francis Bacon su Innocenzo X.” Angela Valcavi ricorda che il sabato pomeriggio era obbligatorio andare in pellegrinaggio rituale a vedere e comprare dischi nuovi. Ci sono anche i parrucchieri dark, come Tato a Seregno che arriva con ore di ritardo ma che poi mette su i dischi dei Cure e dei Christian Death, o anche Hair For Heroes. C’erano anche negozi di abbigliamento specializzato, che vedremo meglio nella seconda parte del pezzo.
_ Fine prima parte. La seconda parte dell’articolo sarà dedicata alle pubblicazioni autoprodotte e ai primi codici di abbigliamento di questa subcultura. Stay Tuned attraverso la pagina Facebook di Kainowska_
Grazie a Simone Tosoni, Sergio di Meda, Joykix, Angela Valcavi e Donatella Bartolomei per le info integrative e le immagini.
Bibliografia
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Marco Philopat, Costretti a sanguinare. Shake Edizioni. 1997
Su Decoder
https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=mY2JfGTbZOU
Sul Virus
https://www.youtube.com/watch?v=_wWI1irCgOc
http://www.ecn.org/leoncavallo/storic/helt.htm
su Henry Rollins all’Helter Skelter
http://www.gomma.tv/photoz/henry-rollins-live-at-helter-skelter-1987/index.html
sull’intervento al Convegno sulle Bande Giovanili
sui flyer punk in Italia negli anni Ottanta (e non solo)
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