Il macrocontenitore concettuale che accomuna le opere della mostra Mnemosyne di Pietro Bortolotti è la riflessione sulla memoria, sulla fatica del suo recupero e sulla sua progressiva scomparsa dal nostro orizzonte culturale. Una mostra importante, che si pone contro l’egemonia di un eterno presente fondato su attimi ad alta concentrazione emotiva. Quegli attimi cioè in cui il consumatore consuma, quei momenti euforizzanti, che creano dipendenza e non lasciano nulla. La memoria è la sede dell’identità, della tempra individuale e della saggezza collettiva. La pittura di Bortolotti recupera uno spazio psichico notturno e nebuloso, virato in tutti i toni compresi fra il nero, che indica ciò che è stato dimenticato, e il blu, che da forma a figure scorporate che si staccano dal fondale. Il corpo è lo spazio degli affetti, ciò che non vogliamo dimenticare. Ci sono due serie pittoriche che si intitolano I volti e I corpi della memoria.
Corpi avvolti su se stessi, con schiene aguzze piene di bozzi muscolari, fantasmi di corpi femminili intravisti nel buio, corpi distesi che sembrano paesaggi. E poi volti dormienti , con gli occhi chiusi, dietro ai quali sfilano sogni o incubi. I volti della memoria sono indefiniti ed indefinibili. In costanti stati di agitazione, nascosti dal buio, dispersi nelle pastoie del tempo. Sfuggono dalla mente, e a stento si ricorda la loro forma. Bortolotti propone anche una magnifica serie di paesaggi notturni, dei frame di viaggio con masse scure di alberi, fari di automobili, stazioni di servizio, e scie luminose di lampioni sull’asfalto bagnato. Emblemi di viaggio, che è metafora della parabola dell’uomo nel tempo. L’ultima sala propone una sfilata di spettri: tre tele raffiguranti vestiti che contengono un corpo scomparso, di cui rimane solo il ricordo della massa occupata. Come se questi vestiti fossero sopravvissuti ai loro proprietari.
Pubblicato su L’Informazione il 7 Luglio 2009 Download Pdf