Un’impressione superficiale che può dare la pittura giapponese è quella di essere misurata, piatta, anaffettiva, fatta esclusivamente di paesaggi immobili e donne prive di espressione, con bellissimi kimono e facce tutte uguali, caratterizzate dalla fissità della maschera. Ma l’ordine della pittura giapponese è solo apparente. Al suo interno ci sono molti filoni di assoluta filiazione caotica, votati cioè a rappresentare tutto ciò che destabilizza, turba, spaventa. La maggior parte delle donne raffigurate anche negli ukiyo-e all’apparenza più innocui sono prostitute e cortigiane di alto bordo. Queste beltà vengono ritratte mentre fanno le loro sfilate rituali sulle strade dei kuyaku, i quartieri di piacere, con il loro seguito di servitori e i loro kimono più preziosi, dettando le mode e le maniere, stabilendo il loro inarrivabile ed iper-sofisticato canone di bellezza femminile. Le cortigiane possono essere rappresentate nel loro tempo libero ma anche nell’esercizio della loro professione, creando così il filone artistico degli shunga, le immagini di primavera, denominazione poetica per designare la rappresentazione esplicita dell’atto sessuale. Protagoniste degli shunga non sono solo le cortigiane con i loro clienti, ma anche le coppie unite da regolare vincolo di matrimonio, oppure genericamente gli amanti. Nei secoli scorsi, la prassi di possedere collezioni di opere d’arte shunga è comune anche per le famiglie più rispettabili. Queste opere vengono mostrate ai visitatori come tesori preziosi, causando molto spesso l’imbarazzo e l’indignazione degli occidentali. I partecipanti all’atto sono perlopiù vestiti, per non perdere i virtuosismi sartoriali di panneggi e stampe dei kimono. I loro genitali sono rappresentati in scala più grande rispetto al reale, però sempre con grande eleganza e pulizia formale. L’erotismo delle immagini di primavera è basato su una dialettica di tensione ed abbandono, e i più grandi artisti del mondo fluttuante come Hokusai e Kuniyoshi vi si sono dedicati.
C’è un altro filone artistico destabilizzante, connesso alla paura, al brivido paranormale, alla slabbratura delle leggi fisiche del mondo. Stiamo parlando del filone di rappresentazione quasi inesauribile delle creature soprannaturali. Fantasmi ritornanti, spiriti di suicidi o di persone morte di morte violenta, vampiri mostruosi dal collo lungo, demoni oni armati con mazze ferrate e vestiti di pelli di tigre come Lamù, mostri tengu con lunghi nasi, mostriciattoli kappa dall’aspetto di tartarughe, che amano attirare gli umani e procurare le loro morti per annegamento. Ci sono intere enciclopedie dedicate all’infinita varietà di queste creature del folklore. Il concetto dell’inferno viene introdotto assieme alla religione buddhista, e la sua rappresentazione nell’arte comincia in periodo Kamakura (1185-1333) con il Jigoku zoshi, il Rotolo dell’Inferno, in cui vengono rappresentati i supplizi delle anime dannate. Il periodo Edo (1603-1868) impazzisce per tutto ciò che è soprannaturale, e partorisce il Kaidan, il racconto horror, dall’unione di kai, “raccontare”, e dan, una parola che significa “strano”, “bizzarro”, “weird”. Molti grandi artisti si sono dedicati alla rappresentazione dei kaidan: Kawanabe Kyosai, con i suoi pattern affollati di scheletri intorno alla Cortigiana Infernale ammantata di rosso, Hokusai, che ha raffigurato i fantasmi yurei, Yoshitoshi, che ha prodotto una serie intitolata Le nuove Forme di trentasei fantasmi, Kuniyoshi, con le sue spettacolari rappresentazioni di principesse esperte di stregoneria che evocano enormi scheletri per cacciare gli invasori dal loro regno. Della rappresentazione di oni, yokai, tengu et similia abbiamo già parlato in questo articolo. Per quanto non organici all’arte figurativa propriamente detta, ma piuttosto a quella performativa, ci sono i misemono, degli eventi diffusi in periodo Edo (1603-1868), atti a soddisfare il gusto dell’intrattenimento popolare ma anche quello della deformità. Nei misemono ci sono esposizioni di bizzarrerie mediche, spesso molto crude, fiere delle meraviglie che comprendono combattimenti fra animali, bambole anatomiche, spettacoli di acrobati, persone affette da forti anomalie, mostri, scheletri di balene spiaggiate, esposizioni di donne particolarmente brutte che vengono spacciate per demoni. Vengono esposti e lungamente contemplati animali esotici come cammelli ed asini, con la credenza che guardarli porti fortuna e prosperità, e poi suore albine, bambini senza braccia chiamati bambini bottiglia, gigantesse, nani. Fin qui non possiamo rilevare differenze sostanziali con il canone rappresentativo occidentale. Rispetto agli shunga, anche in Occidente si rappresenta l’atto sessuale, fin dai tempi dei Greci e dei Romani. Quest’usanza, a livello sotterraneo, sopravvive anche alle censure della civiltà cristiana, con il contributo di esimi artisti, da Agostino Carracci a Francois Boucher. Nell’arte ufficiale molte cortigiane e favorite di re vengono ritratte dai maggiori artisti, nei panni di bagnanti, divinità pagane, quando non nei panni della Madonna, proprio come nella pratica artistica giapponese del bijing-a, il ritratto delle “persone di bellezza”, ovvero le beltà dei quartieri di piacere.
La rappresentazione dei supplizi infernali occupa un’enorme area della topografia artistica occidentale, connettendosi fortemente con l’ideologia religiosa e l’indottrinamento. Rispetto al Giappone, in Occidente sicuramente è meno forte la presenza di rappresentazioni di creature soprannaturali, dovuta alla condanna da parte della Chiesa delle usanze folcloriche e di tutto ciò che può avere a che fare con la sfera del demoniaco. Nonostante ciò anche l’Occidente ha il suo momento di febbre gotica per i racconti dell’orrore, durante il Romanticismo. Se pensiamo alla nascita del Frankenstein di Mary Shelley e al Vampiro di Polidori, capiremo come le modalità di questo interesse siano simili alla pratica giapponese del Hyakumonogatari Kaidan ka, in cui giovani cortigiani giapponesi si ritrovano sul far della sera in una stanza piena di cento candele accese. Si raccontavano a vicenda dei kaidan quanto più spaventosi e spegnevano una candela alla fine di ogni narrazione, rendendo l’ambiente sempre più pieno di suggestioni, tensione e buio. Sempre durante il secolo romantico fioriscono i freakshow, versione occidentale dei misemono. Ma l’ambito caotico in cui l’arte giapponese eccelle rispetto a quella occidentale è il muzan-e, la rappresentazione dei fatti di sangue. In Occidente vengono dipinti santi martiri mentre vengono scorticati, a cui vengono strappati arti, asportate mammelle, rimossi gli intestini avvolgendoli su apposite macchine a rocchetto, senza che scorra una sola goccia di sangue, e senza che l’espressività dei loro corpi o volti ne venga minimamente influenzata, come se fossero dei manichini anatomici. A parte qualche sporadico caso (generalmente di area fiamminga), le iconografie dei martirii europei risultano asettiche e depotenziate rispetto agli spaventosi muzan-e giapponesi. I muzan-e sono la stampe che raffigurano immagini di “crudeltà” o “atrocità”, e rappresentano avvenimenti cruenti, assassinii, torture, violentissimi scontri fra guerrieri in ambito bellico, gente divorata dalle belve, senza lesinare nello splatter dei versamenti e nel gore della coagulazione. Questo filone artistico mostra esplicitamente mutilazioni, decapitazioni, eviscerazioni, suicidi, crocefissioni, insomma tutto ciò che ha a che fare con le modalità violente della morte. Tsukioka Yoshitoshi, artista di ipnotica eleganza grafica, si dedica intensamente alla produzione di muzan-e negli anni Sessanta dell’Ottocento, in seguito alla morte di suo padre e in concomitanza alla violenza della restaurazione Meiji. Assieme al suo collega e rivale Yoshiiku realizza i Ventotto Omicidi Famosi con Poesia, in cui rappresenta sia fatti di cronaca che fatti di sangue presenti all’interno delle trame del teatro Kabuki. La violenza può essere rappresentata nel momento di acme furiosa, o in quello immediatamente successivo alla tempesta, in cui i gli assassini imbrattati di sangue puliscono le loro lame e contemplano i lacerti dei loro nemici. Possiamo vedere un guerriero che striscia con la schiena crivellata di frecce e macchie di sangue rosso in corrispondenza di ogni colpo. Nella stampa numero 12 c’è una donna seminuda appesa a testa in giù con una legatura shibari. I suoi capelli ondeggiano nel vuoto, e lei è ricoperta di sangue che cola in rivoli a formare una pozza per terra, mentre il suo aguzzino infierisce su di lei con una katana. La poesia recita “Un tempo fiore così orgoglioso della sua alta primavera, ora così dolorosamente nel suo autunno, nella luna di Oi. Il suono della verga di metallo rompe il sogno di una lunga notte. In questo giorno cattivo il vento soffia con forza sulle erbe.”
Furuteya Hakirobei viene mostrato mentre uccide una donna in un cimitero. La scena è congelata nell’attimo in cui l’assassino branca la sua vittima, facendo fare ai panneggi del suo kimono un’ardita parabola.La stampa Shiranui inginocchiata di fianco ad un uomo crocifisso fa parte di una serie di centootto opere dedicate ad un ciclo narrativo del Quattordicesimo Secolo, di origine cinese. Gli eroi del Suikoden sono gli eroi del margine del fiume, dei fuorilegge, e la trama di questi racconti mischia il folklore soprannaturale con la violenza e l’idea dell’eroismo.
C’è poi la spaventosa stampa delle due donne di Nojiri: vengono derubate, legate a degli alberi a bassa altezza, e lasciate in balia di un branco di lupi. Gli animali strappano loro la carne delle estremità inferiori, a brano a brano, finchè morte non sopraggiunga.
Questa stampa viene pubblicata nel 1875 su una rivista, la Yūbin hōchi shinbun, dalla quale Yoshitoshi era stato ingaggiato come illustratore di fatti di cronaca e storie soprannaturali. Per questa rivista aveva rappresentato zuffe di prostitute, stupri di gruppo, omicidi, ma anche fatti meno sanguinosi, come una femmina di tasso che difende i suoi cuccioli da un cane, o una bambina saggia che calma un cavallo imbizzarrito mettendogli la sua giacca sul muso.
Yoshitoshi dedica una serie anche a cento guerrieri famosi, rappresentandoli nel momento di possessione da parte degli dei della guerra: quando arrancano con i loro macabri trofei, nell’attimo che precede la loro morte violenta, o quando decidono di suicidarsi in seguito alla sconfitta. Sariki Tamigoro è rappresentato mentre urla nell’attimo stesso in cui si spara un colpo alla gola, circondato da una nube di polvere da sparo e sangue. Anche Torii Hikoemon Mototada è rappresentato nel medesimo momento, ma da una prospettiva più ravvicinata, che evidenzia le pupille ribaltate e le labbra livide. Le stesse di Reizei Takatoyo, che commette un tradizionale seppuku, ovvero un suicidio assistito con l’aiuto di un servo, preposto alla decapitazione del suo padrone, dopo che quest’ultimo si è eviscerato.
Anche Yoshiiku, il rivale di Yoshitoshi, eccelle nel genere muzan-e. Le sue opere sono arricchite da cartigli sorretti da putti paffuti di ispirazione occidentale, e lo stile in cui sono scritte le vicende può essere definito apollineo e classico, in contrasto con l’efferatezza delle scene rappresentate. In un muzan-e di Yoshiiku vediamo una crudele donna tagliare il naso del marito.
In un altro è rappresentata la storia di Kumakichi Nishikiori, un poliziotto dell’era Meiji. Nonostante la sua carica pubblica, inizia a covare un sentimento di impudicizia nei confronti di tre ragazze molto belle e popolari, che lavorano in una sala da gioco, Otsuta, Omitsu ed Otake. Il buio della lussuria lo acceca fino a spingerlo ad ucciderle tutte e tre. Questo muzan-e viene pubblicato dal Tokyo Nichicnichi Shinbun, la cui testata si può tradurre con Tokyo Daily News.
Katsuhira Hokusai si è dedicato alla rappresentazione di atrocità in modo sicuramente meno assiduo, ma possiamo menzionare le sue due teste mozzate e digrignanti in un campo livido come la carne di un cadavere.
Ci sono determinate figure di atrocità che ricorrono sia nell’arte del XIX secolo e in quella contemporanea. Kawanabe Kyosai ha rappresentato un combattimento fra guerrieri, in un uno sta strappando la faccia all’altro, e lo stesso soggetto è stato ripreso da Yoshitoshi nel muzan-e dedicato a Naosuke Gombei. Infine questo soggetto è stato ripreso dal contemporaneo ed ultra-violento Suehiro Maruo, che l’ha decontestualizzato dall’ambito militare: i suoi due protagonisti sono giovani studenti che si dedicano con troppo trasporto alla parafilia dell’oculolinctus, che consiste nel leccare gli occhi del partner.
Yoshitoshi ha raffigurato il guerriero Sakuma Daigaku mentre beve il sangue dal collo di una testa tagliata. Suehiro Maruo riprende quest’iconologia per rappresentare un serial killer occidentale. Fritz Haarmann era un predatore sessuale cannibale operante nella Germania proto-nazista, che uccideva giovani prostituti e ragazzi di strada, e amava bere il loro sangue. Il contrappasso lo condannò alla decapitazione. Suehiro Maruo lo rappresenta in mezzo a secchi pieni di viscere e arti, davanti ad un torso maschile che pende infilzato su un gancio con la ferita dell’eviscerazione che sembra una grossa, oscena vagina, mentre lecca il sangue che cola dalla testa tagliata della sua vittima. In tutto ciò un gatto nero fugge con una mano in bocca. Questo gatto sembra la citazione di alcune opere precedenti di ambito shunga, firmate da Katsukawa Sunsho e Katsuhira Hokusai. In effetti, dato che Suehiro Maruo rappresenta l’apice del godimento sado-cannibalico del protagonista, possiamo considerare quest’opera come un’aberrante immagine di primavera.
Suehiro Maruo è un campione del muzan-e contemporaneo. Riprende ed aggiorna la serie dei Ventotto Omicidi Famosi con Poesia di Yoshitoshi, in esplosioni splatter di sangue, raffigurando scene prese dalla cronaca contemporanea, soprattutto relativa agli assassini seriali, con un occhio di riguardo, come abbiamo visto, alla Germania nazista. Sua è un’orripilante rappresentazione di Peter Kurten, il Vampiro di Dusseldorf, ritratto (con licenza poetica) mentre eiacula addentando un pezzo di intestino sopra ad un corpo fatto a pezzi, e anche un’immagine di Hitler mentre si fa saltare le cervella. Oltre a fatti di cronaca nera, Suehiro Maruo si è occupato anche di favole classiche, come quella di Cappuccetto Rosso, colta nel momento in in cui il cacciatore tenta di estrarre la bambina dallo stomaco del licantropo e si ritrova per le mani uno scheletrino predigerito ma ancora animato, che proclama: “Non ho paura del sangue perché sono una ragazzina.” Degli artisti contemporanei Suehiro Maruo è sicuramente il più estremo, come conferma il muzan-e in cui rappresenta la novella di Shunichi, in cui un ragazzino, disperato per la morte della madre a causa di un cancro, estirpa il cancro dal ventre della madre e se ne ciba, per morire egli stesso.
Tatako Yamamoto ha realizzato alcuni muzan-e, come l’immagine di San Sebastiano crivellato dalle frecce con una testa scuoiata demoniaca in mezzo alle gambe, ma in generale l’ambito in cui opera è ascrivibile all’ero guro di matrice tradizionale. L’ero guro nasce come un movimento artistico che esprime la cultura popolare della Tokyo degli anni Venti e Trenta, è una tipologia di erotismo che si connette con il piacere dell’orrido, del bizzarro, di ciò che è deforme e fuori norma. Le sue atmosfere attingono alla tradizione occultista giapponese, sono decadenti, oscure, permeate di nichilismo edonista. Ha lo stesso gusto del paradosso e del non senso del Dadaismo europeo. L’ero guro è una sorta di elaborazione tardiva della scoperta, avvenuta in seguito al contatto con gli occidentali, dell’idea di perversione sessuale, che tanta fortuna aveva avuto nella società vittoriana. Dedicate alle discussioni in questo campo, negli anni Venti nascono delle riviste specializzate, Hentai Shiryo (Materiale Perverso, 1926), Kisho (Libro Strano, 1928) e Gurotesuku (Grottesco, 1928). Il termine hentai, che ora designa la pornografia a cartoni animati, può essere tradotto con queer. Tatako Yamamoto attinge a quest’estetica, ma anche a modelli occidentali, come Von Bayros e Beardsley, che cita apertamente.
In generale l’iconografia dei muzan-e ha trovato nuova e più sanguinosa linfa nell’arte giapponese contemporanea.
La ricerca relativa a questo articolo è stata svolta per decrittare le opere di Toshio Saeki. La sua poetica unisce le tre grandi tradizioni figurative giapponesi che abbiamo definito caotiche (o dionisiache), ovvero la rappresentazione di fantasmi, gli shunga erotici, e i cruenti muzan-e, con l’aggiunta di una cromia sgargiante di gusto pop. Un altro ingrediente molto rilevante è il bondage shibari, la tecnica di legatura nata nel Quattordicesimo Secolo, come mezzo di cattività, in un paese povero di metalli per costruire gabbie o sbarre. La bellezza estetica della legatura è in questo contesto un segno di prestigio, che va ad aumentare l’onore del samurai. Lo shibari compare anche nelle opere di Yoshitoshi. Il kinbaku, ovvero l’arte della legatura erotica si sviluppa nel Diciannovesimo Secolo, grazie a Seiu Ito, che ne è considerato il padre. Shibari e kinbaku sono ingredienti fondamentali delle opere di Toshio Saeki, assieme ad un gusto per la classificazione da psychopathia sexualis, derivante forse dall’ambito dei cartoni animati pornografici giapponesi. Toshio Saeki rappresenta atti sessuali estremi, che avvengono a stretto contatto con la morte, o per l’imminente decesso di uno dei partecipanti, che viene ucciso dall’altro (quando non muoiono entrambi), o per la mescolanza sessuale dei vivi e dei morti nella pratica della necrofilia, o per l’appartenenza di uno dei partner allo shaba, ovvero al mondo dei morti, in qualità di ritornante o demone.
Riguardo all’ambito del sadismo estremo, in cui psicopatici sessuali immobilizzano ed uccidono le loro vittime durante amplessi aberranti, abbiamo un fabbricante di parrucche che scalpa una ragazza mettendole a nudo il cervello mentre è ancora viva, un mad doctor che cuce dei gatti vivi dentro alla pancia di una ragazza sotto anestesia, un taglialegna bavoso che sega un blocco di legno posizionato sulla vagina di una studentessa, e un orribile vecchio che si prepara a stuprare una ragazza con un falcetto. Anche la ragazzina che si masturba dopo aver impiccato il suo gatto sembra avere un futuro promettente nell’ambito del sadismo sessuale, e probabilmente è la stessa che progredisce strangolando un guardone mentre gli mostra le sue parti intime.
Ci sono alcune raffigurazioni di donne date in pasto ad animali, che rimandano al capolavoro del genere di Yoshitoshi. Saeki rappresenta una guerriera che viene fatta prigioniera dai suoi nemici, spogliata, legata ad un tronco e data in pasto ad uno stormo di corvi. Un’altra viene designata come bersaglio in un combattimento di polli, richiamando alla mente gli spettacoli a base di combattimenti fra animali delle fiere misemono.
Rispetto alle pratiche necrofile, un’opera rappresenta un operatore funebre di mezza età che immobilizza una giovane ragazza su un tavolo per autopsie e le mette addosso pezzi di cadaveri. Oppure abbiamo anche una monaca rasata che lecca un teschio titillandosi con le ossa di una mano scheletrita. Vediamo una geisha praticare un shinjiu, un suicidio d’amore, mediante un atto sessuale in cui frappone fra i suoi genitali e quelli del suo partner legato la lama di una katana.
Il ragazzo che masturba il bacino scheletrico di una donna in abito tradizionale è ascrivibile piuttosto alla rappresentazione di kaidan e fatti soprannaturali. Raffigura il racconto del XVII secolo del Botan Doro, di cui esistono diverse varianti, ma che sostanzialmente racconta dell’attrazione fatale di un samurai, Hagiwara Shinzaburo, nei confronti di Otsuju. Quest’attrazione va oltre la morte. Otsuju, credendosi abbandonata dal suo amato, muore di dolore. Diventa una Hone-Onna, una donna d’ossa che si mostra come fanciulla bellissima per adescare gli uomini e suggere la loro forza vitale. A nulla servono gli esorcismi. Shinzaburo ha ripetuti rapporti sessuali con la Hone-Onna, e alla fine della storia viene ritrovato morto, avvinto ad uno scheletro femminile.Sempre di ambito folclorico abbiamo un’opera in cui demoni tengu usano il loro lungo naso per pratiche erotiche su una ragazza legata.Un uomo ha catturato una ningyo, ovvero una sirena, e la tormenta con un bastoncino, probabilmente prima di cibarsi delle sue carni per ottenere la longevità. Un altro va al sodo ed unisce le due pratiche.Un impiegato si accoppia con un demone rokurokubi in chimono tradizionale durante un picnic bucolico.
Oni con un unico corno in mezzo alla fronte deflorano una ragazzina legata ad un albero, godendosi la scena da un punto di vista privilegiato. Uno dei due demoni è un aka-oni, un demone rosso.Un demone femminile con pelle bianca e corna di mucca addenta l’addome di un ragazzo mutilato e legato ad un palo. L’Hannya è un demone femminile cornuto, preposto alla gelosia e alle ossessioni.
Toshio Saeki mostra svariati ritratti di scene primarie, in cui bambini spiano i loro genitori mentre fanno sesso. In uno di essi al sesso si aggiunge la componente demoniaca. I nukekubi sono demoni che di giorno sembrano persone normali, mentre di notte sono in grado di separare la testa dal corpo, e spedirla in giro in cerca di prede umane da mangiare. Un bambino scopre che sua madre è un nukekubi quando la vede impegnata in una pratica masturbatoria di cunnilingus. Timothy Leary ha definito Toshio Saeki un “ingegnere erotico”, che “tesse reti di programmata demenza”.
La parola demenza indica un allontanamento da tutto ciò che è razionale. In effetti, intelletto e ragione non rientrano negli stilemi figurativi che abbiamo analizzato in questo articolo, se non come contrapposizione dialettica, o in veste di techne, perizia dell’artista. L’artefice prende tutto ciò che turba, spaventa, fa orrore, ovvero disordine, disgregazione, morte, strazio e dolore, e lo rende formalmente gradevole, interessante, stupefacente, mirabile. Questo gioco ha a che fare con qualcosa di molto profondo, un mistero radicale che riguarda non solo l’arte giapponese, ma l’arte (e la civiltà) tutta.
Rigraziamo la senpai Ayako per le fantastiche traduzioni
Bibliografia
Su Tsukioka Yoshitoshi il completissimo ed inesauribile
www.yoshitoshi.net
Sullo shibari http://www.hikarikesho.com/ita/shibari.php?cat=5
Sui misemono http://www.teatroestoria.it/administrator/upload/pdf/7markus.pdf
http://morbidanatomy.blogspot.it/2010/09/medical-woodblock-prints-japan-19th.html
Sui kaidan http://www.tuttogiappone.eu/lo-hyakumonogatari-kaidankai/
Su ero guro http://intersections.anu.edu.au/issue12/mclelland.html
Mark Mclelland, Queer Japan from the Pacific War to the internet Age, Rowman & Litllefield Publishers, 2005.
Sulla civiltà giapponese: Edward Kidder, Martina Fuga, Giappone. Arte, storia, civiltà. Electa, 2002
Rossella Menegazzo, Giappone, Dizionari delle Civiltà Electa, 2007.
Sul folklore : Marta Fanasca, Giappone Soprannaturale. Mostri, demoni e animali mutaforma nell’immaginario del Sol Levante. Hoepli
http://www.cvltnation.com/yokai-supernatural-japanese-monster-art/
Shigeru Mizuki, Enciclopedia dei Mostri Giapponesi, Kappa Edizioni, 2009
Shigeru Mizuki, Enciclopedia degli Spiriti Giapponesi, Kappa Edizioni, 2009
Ishigami Aki, Yamamoto Yukari, Shunga, L’Ippocampo edizioni, 2014.
Andrew Forbes, David Henley, 28 Famous Murders: Tsukioka Yoshitoshi, Cognoscenti Books.
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